Docenti e scuole: la sperimentazione sul merito. Opportunità o rischio?
Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Fulvio Benussi, docente di scuola secondaria superiore, giornalista pubblicista e Professore a contratto di Informatica giuridica pubblica presso l’Università degli studi di Milano Bicocca. Si è occupato di formazione iniziale e in servizio degli insegnanti e dei Dirigenti scolastici e ha tenuto corsi di formazione professionale e F.S.E. sulle nuove tecnologie.
11 Febbraio 2011
Fulvio Benussi
Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Fulvio Benussi, docente di scuola secondaria superiore, giornalista pubblicista e Professore a contratto di Informatica giuridica pubblica presso l’Università degli studi di Milano Bicocca. Si è occupato di formazione iniziale e in servizio degli insegnanti e dei Dirigenti scolastici e ha tenuto corsi di formazione professionale e F.S.E. sulle nuove tecnologie.
Sono due i progetti sperimentali sul merito promossi dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca con l’obiettivo di disegnare un modello per la valutazione delle istituzioni scolastiche autonome chiaro, affidabile, condiviso e basato su elementi “oggettivi”. Attraverso la sperimentazione si vuole, in particolare, individuare e premiare le migliori performance, introducendo così meccanismi di stimolo ad intraprendere percorsi di miglioramento nelle scuole, nonché testare e mettere a punto protocolli di misurazione e valutazione sul campo per individuare un modello di sistema che possa entrare a regime nel medio termine.
Se gli obiettivi delle due sperimentazioni sono comuni, le caratteristiche sono tuttavia un po’ diverse:
- il “Progetto sperimentale per premiare i docenti che si distinguono per un generale apprezzamento all’interno della scuola” – in cui sono coinvolti gli istituti scolastici delle province di Milano, Torino e Napoli (progetto seguito dalla Fondazione S. Paolo e da Treellle) – considera come elemento fondamentale il curriculum del docente. Verrà effettuata un’autovalutazione professionale tramite un documento predisposto ad hoc, si valuterà l’apprezzamento dell’utenza acquisito in forma strutturata e opportunamente validato e infine, alla luce del fatto che l’esito dell’attività docente è fortemente connessa all’attività collegiale svolta nella scuola, verrà monitorato l’apprezzamento che il docente riscuote tra il personale della scuola stessa;
- il “Progetto sperimentale per un sistema di valutazione finalizzato all’erogazione di premi e di azioni di supporto agli istituti scolastici” – cheriguarda Cagliari, Pisa e Siracusa (il progetto è seguito dalla Fondazione Agnelli) – avrà una durata triennale ed è maggiormente strutturato e legato a modelli di valutazione internazionali. L’analisi degli esiti del servizio scolastico viene monitorata utilizzando le prove INVALSI e segue un approccio di valutazione basato sull’utilizzo di informazioni standardizzate a fini diagnostici per il miglioramento della didattica e degli apprendimenti. Ai fini dell’individuazione delle scuole da premiare la graduatoria stilata sulla base degli esiti delle prove INVALSI verrà integrata con la graduatoria redatta dal team di osservatori composto da un ispettore del Ministero e da due esperti indipendenti.
L’urgenza di innescare processi virtuosi di miglioramento del servizio scolastico è ampiamente condivisa e la sua necessità, che emerge dalle comparazioni internazionali (OCSE-PISA, PIRLS, etc), è stata recentemente evidenziata nel documento Bambini e adolescenti ai margini. Un quadro comparativo sulla disuguaglianza nel benessere dei bambini nei paesi ricchi pubblicato dall’UNICEF che segnala come nell’istruzione (oltre che nella salute e nel benessere materiale) sono Italia, Stati Uniti, Grecia i paesi che lasciano più indietro i loro bambini svantaggiati. Nonostante questo, la quasi totalità dei docenti chiamati ad esprimersi ha rifiutato l’opportunità di partecipare alla sperimentazione con motivazioni che è bene analizzare per poter inquadrare correttamente e discutere la risposta e la posizione che complessivamente emerge dalle scuole.
I motivi del no
In un articolo pubblicato l’11 gennaio scorso, Carlo Mochi Sismondi propone alcune possibili motivazioni al rifiuto della valutazione da parte dei docenti.
Altre motivazioni, più ideologiche, raccolte nelle scuole e in occasione di assemblee ed incontri di insegnanti, suonano così: “con il pretesto di premiare il merito si vuole non solo introdurre delle differenze retributive fra chi svolge le stesse mansioni, ma anche prevedere obbligatoriamente, e a prescindere dalle effettive capacità dei singoli, una fascia di meritevoli e una fascia di ‘non meritevoli’, che sarebbero quindi più ricattabili e perfino licenziabili…”
Alcune visioni risentono poi delle recenti iniziative legislative che hanno comportato dolorosi tagli alle scuole: “perché premiare i pochi ‘meritevoli’ mentre nella scuola si taglia su tutto e si smantella un modello scolastico di grande qualità quale quello del tempo pieno nella scuola primaria?”.
Altri docenti esprimono perplessità più legate alle specifiche proposte di sperimentazione: “Che senso ha premiare qualcuno una tantum? Quali garanzie per il diritto di libertà dell’insegnamento? La sperimentazione (premio ai docenti più apprezzati) è troppo vaga e non oggettiva: perché non attribuire valore a Master, dottorati di ricerca, ecc.? e perché il Ministero non esplicita bene cosa e come le scuole devono procedere nella valutazione dei docenti?”. Infine c’è il timore che “se la sperimentazione venisse attuata creerebbe nella scuole un ambiente malsano fatto di campagne acquisti e corse al favoritismo, dannoso soprattutto per la didattica e lo sviluppo del sapere”.
Sulla base di queste e altre motivazioni stiamo assistendo ad un rigetto delle sperimentazioni quasi plebiscitario. Un simile esito di certo non gioverà alla scuola e nemmeno alla società italiana. Il fermo rifiuto della valutazione degli insegnanti potrebbe indurre il Ministero a rinunciare all’impresa oppure, cosa che appare più probabile, a procedere senza confronto e ad elaborare comunque una soluzione senza una base sperimentale. Partecipare alle sperimentazioni consentirebbe invece di “costruire criticando” e di affrontare finalmente con maggiore serenità, anche nel nostro Paese, la questione della valutazione degli insegnanti. Ma perché questo avvenga bisogna prima di tutto ristabilire un clima di fiducia tra Ministero e corpo docente e poi lasciare all’autonomia delle scuole l’individuazione di soluzioni per il riconoscimento delle forme di premialità individuali, facendone uno degli oggetti della sperimentazione. Una seria politica di valutazione e di sviluppo di carriera del personale scolastico non può essere istituita “contro” i docenti. È indispensabile prevedere forme di partecipazione delle Organizzazioni Sindacali e delle Associazioni professionali dei Docenti e di Dirigenti scolastici al percorso innovativo, pur nell’idea che le scelte definitive sui percorsi di carriera possano essere definite poi per via normativa.
I motivi del sì alle due sperimentazioni
Il progetto sperimentale per la valutazione degli istituti scolastici nasce da esperienze già praticate (Piano Nazionale Qualità e Merito) o in via di attuazione (progetto cl@ssi2.0). È formulato con riferimento a esperienze europee di valutazione e monitoraggio degli apprendimenti che perseguono lo scopo di attivare processi di autovalutazione e miglioramento delle scuole e ha caratteristiche di scientificità tali da garantire l’oggettività della valutazione. Questi i motivi del sì al progetto, anche se bisogna soffermarsi su un fattore di “rischio”, quello per cui enfatizzando troppo l’importanza delle prove di valutazione si potrebbe incappare nelle stesse problematiche emerse proprio nelle scuole in testa alle classifiche internazionali. Queste sono state sottolineate su The New York Times in un articolo intitolato Shanghai Schools’ Approach Pushes Students to Top of Tests[1]: “Il sistema educativo della nazione è eccessivamente orientato agli esami, le scuole tendono a soffocare la creatività e le pressioni dei genitori spesso privano il bambini delle gioie dell’infanzia. “Sono due facce della stessa medaglia: le scuole cinesi preparano molto bene gli studenti alle prove standardizzate”, sostiene Jiang Xueqin, vicepreside alla scuola superiore dell’Università di Pechino, aggiungendo però che le scuole cinesi enfatizzano troppo gli esami creando studenti senza curiosità e senza la capacità di pensare in modo critico e indipendente. È una lamentela diffusa in Cina. Le aziende straniere confermano di avere difficoltà a trovare quadri intermedi in grado di pensare in modo creativo e risolvere problemi.”
Analizziamo adesso “i motivi del sì” al progetto sperimentale per la valutazione dei docenti e lo facciamo considerando, una ad una, le perplessità dei docenti stessi.
- Quali garanzie per il diritto di libertà dell’insegnamento? Proprio la rilevanza e la delicatezza della funzione, costituzionalmente protetta, svolta dai docenti comporta la necessità di agire con le dovute precauzioni e perciò la scelta di sperimentare prima di procedere appare oltremodo opportuna.
- La sperimentazione (premio ai docenti più apprezzati) è troppo vaga e non oggettiva: perché non attribuire valore a Master, dottorati di ricerca, ecc.? e perché il Ministero non esplicita bene cosa e come le scuole devono procedere nella valutazione dei docenti? La questione potrà essere facilmente risolta se proprio la presenza di limitate indicazioni operative si tradurrà, come auspicabile, in un’effettiva accettazione delle scelte effettuate autonomamente dalle scuole. Basterà che i Collegi dei docenti prima e il Nucleo di valutazione poi attribuiscano un maggiore peso nella valutazione alla presenza di certificazioni, titoli ed esperienze professionali documentate e inserite nel curriculum del candidato. Questa scelta è fortemente auspicabile in quanto tali elementi renderebbero maggiormente oggettiva, e quindi socialmente più accettabile, la valutazione.
Tra i vari elementi di valutazione, inoltre, è presente la customer satisfaction, cioè l’apprezzamento dell’utenza opportunamente rilevato: una prassi consolidata nelle Università italiane per cui non deve scandalizzare il ritrovarla in una sperimentazione a scuola. Credo che il problema sia invece la determinazione del peso da attribuire ai riscontri così ottenuti. Anche in questo caso, il Collegio dei docenti potrebbe fornire le necessarie indicazioni operative al Nucleo di valutazione.
Infine va evidenziato l’impegno per i docenti partecipanti a elaborare un documento di autovalutazione professionale con riferimento alle competenze di cui all’art. 27 CCNL[2], cosa che li porterà ad accostarsi al proprio lavoro “agendo un percorso di riflessività”. E la riflessività è considerata da vari autorevoli autori competenza irrinunciabile del docente[3]. Il dover analizzare il proprio lavoro quotidiano confrontandolo con quanto previsto dal vigente contratto di lavoro relativamente al Profilo professionale degli insegnanti[4] completerà il quadro.