Enti locali e modelli organizzativi: perché usare il “pensiero laterale” per cambiare la PA

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Partire da domande “laterali” per mettere in discussione non solo il reskilling delle persone, non solo l’organizzazione degli enti locali, non solo i processi e le procedure catalogate e reingegnerizzate, ma tutto il sistema nel complesso. Una riflessione su come usare il pensiero laterale e creativo per rivedere modelli consolidati e provare a cambiarli

12 Maggio 2021

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Andrea Tironi

Project manager Digital Transformation, Consorzio.IT

Photo by Marius Masalar on Unsplash - https://unsplash.com/photos/CyFBmFEsytU

Nell’ultimo anno si è parlato molto di cambiamento nella Pubblica Amministrazione, su più livelli. In questo articolo facciamo un breve riassunto dei temi più dibattuti, per poi proporne uno nuovo, che richiede coraggio…ma del resto il coraggio è un presupposto necessario per superare il periodo che stiamo vivendo.

Con l’avvio della pandemia, quindi ad inizio 2020, si è iniziato a parlare di lavoro remoto, più per necessità che per convinzione. Erogare i servizi a distanza è diventata per la PA una necessità (fatta eccezione, ovviamente, per quelli che non potevano passare a questa modalità, come i servizi sanitari) per garantire il distanziamento sociale a salvaguardia sia dei cittadini che degli operatori.

Lavoro da remoto e impatto sui modelli organizzativi

Il lavoro remoto ha portato a ragionare su due livelli:

  • la necessità di reskilling dei dipendenti della PA che (come quelli del privato) si sono trovati da un giorno all’altro a dover migliorare le proprie competenze digitali;
  • la necessità di rivedere l’organizzazione e i processi alla luce del cambiamento nei concetti di spazio e tempo associati al lavoro. Lo spazio è infatti diventato “in presenza” o “remoto” (in futuro probabilmente diventerà anche “ovunque”) e il tempo di lavoro va e dovrà essere gestito in relazione alle fasce di raggiungibilità, ai momenti di presenza, alle nuove libertà derivanti dall’accountability associata alla riorganizzazione e al lavoro remoto, al diritto alla disconnessione.

Il lavorare in remoto ha portato inoltre a ripensare la modalità di lavoro tradizionale, caratterizzata da forte gerarchizzazione e burocratizzazione, elementi che non favoriscono l’efficacia e la creatività. Laddove, infatti, la gerarchia è troppo stringente, la burocrazia l’unica unità di misura, e la comunicazione è solo verticale, la struttura è imbrigliata in regole che non ne permettono l’espansione e l’espressione.

Si è quindi rimessa in discussione l’organizzazione degli enti locali (parliamo degli enti locali perché sono quelli che come Consorzio.IT conosciamo meglio) e nelle sperimentazioni che stiamo facendo si sono messi al tavolo tutti gli stakeholder (segretari, amministratori, dipendenti dei vari uffici) per capire al meglio come procedere.

Partire dall’analisi dei processi

Si è quindi iniziato ad analizzare i processi in utilizzo, per capire come poterli comunque completare sia in presenza che da remoto. Questo ha permesso di distinguere quelli che erano facilmente remotizzabili e quelli che presentavano vari tipi di vincoli, che li rendevano più difficili da erogare in remoto:

  • vincolo di basi di dati (es. dati ancora su carta -> risolvibile con dematerializzazione)
  • vincoli di processo (es. contatto con i colleghi -> risolvibile con strumenti di comunicazione come office 365, google workspaces e altri)
  • vincoli procedurali (es. impronte digitali per la CIE, di cui parleremo anche più avanti)
  • vincoli tecnologici (es. uso di stampanti ad aghi)
  • vincoli umani (necessità di parlare con il cittadino -> risolvibile con sportelli digitali)
  • altro

Il percorso realizzato ha permesso di elencare i processi per ogni ufficio (cosa non fatta nelle “epoche precedenti della pa”) e di analizzarli alla luce delle nuove possibilità tecnologiche (“avvicinate e sentite più familiari” dai singoli grazie alla pandemia) e alle nuove visioni organizzative (rese possibili dal periodo che stiamo vivendo, che le ha messe in discussione).

Revisione dei processi negli enti locali: limiti e prospettive

A livello di ente locale non è possibile fare molto altro, se non indirizzarsi verso una semplificazione delle scelte interne all’amministrazione, andando in due direzioni:

  • considerato che i procedimenti comunali non vengono decisi dai comuni ma dalla normativa esistente, il comune può al massimo semplificare i regolamenti di sua competenza;
  • il comune può inoltre rendere fattibile la gestione di pratiche sia in presenza che in remoto, mediante strumenti digitali che aiutino il dialogo con l’utente finale (gestione istanze, sportelli telematici, stanze del cittadino).

Nel frattempo il singolo ente deve agire sul capitale umano, formando i suoi dipendenti in modo che siano:

  • più preparati tecnologicamente, vedendo quindi la tecnologia come un alleato e non come un ostacolo;
  • più preparati alla gestione del cambiamento derivante dalla riorganizzazione del lavoro, causata dal misto di lavoro remoto e locale, ma soprattutto da un mindset shift dove si passa da lavoro per ore a lavoro per risultati, ovvero dal “ti dico quando e come fai questa cosa” (capo) al “condivido obiettivi, risultati e valore atteso e ti chiedo di trovare la miglior strada per raggiungerli” (leader).

Il pool di procedimenti quindi rimane inalterato, vengono “solo” semplificati alcuni regolamenti, migliorati gli aspetti organizzativi, migliorate le skill dei dipendenti. Dire “solo” è riduttivo, perché in una pubblica amministrazione locale (comuni) grazie alla pandemia è risultato chiaro che:

  • gli amministratori sono protempore, a volte anche poco illuminati. Nei cinque anni a volte non riescono nemmeno a capire come funziona la PA (ovvero che non funziona l’approccio “arrivo io e risolvo tutto”), figuriamoci l’impatto della loro capacità di cambiamento;
  • i segretari comunali sono sempre più a scavalco su più enti, quindi faticano a dare una direzione e quando vi riescono spesso è solo amministrativa, ma non manageriale o progettuale;
  • i dipendenti sono “brave persone”, che lasciati un po’ a se stessi fanno quello che possono, con le risorse che hanno, nel tempo che hanno, a personale ridotto, con regolamenti che cambiano da comune a comune etc etc

Il tutto chiaramente non può produrre risultati ottimi, ma solo risultati secondo il principio del “questo abbiamo”. Tutto ciò crea inevitabili inefficienze, nonché esperienze completamente diverse da un ente a un altro, sia organizzative che rispetto alla percezione del cittadino.

Tornando al “solo”, è chiaro che se gli enti pubblici locali riuscissero a fare reskilling dei dipendenti in ottica digitale, a semplificare i loro regolamenti, e migliorare gli aspetti organizzativi, sarebbe comunque un grosso e importante cambiamento. Ma sarebbe al solito a macchia di leopardo e troppo dipendente dal singolo ente, e dalle persone che lo compongono. Considerato che gli amministratori cambiano ogni 5 anni, i segretari più o meno allo stesso modo se non con più frequenza, i dipendenti ormai sono una sorta di “calcio mercato” causa la riduzione del personale negli ultimi 10-15 anni, è evidente che i risultati non possono essere uniformi.

PNRR e “Buona Amministrazione”: mappare e reingegnerizzare tutte le procedure 

Il PNRR ha cercato quindi di fare “system thinking” con cambiamenti che siano sistemici e per tutti gli enti, come segue. A pagina 47, Capitolo “B – Buona Amministrazione” si legge che:

L’ Agenda prevede:

  • La mappatura dei procedimenti e delle attività e dei relativi regimi vigenti
  • L’individuazione del catalogo dei nuovi regimi, l’eliminazione delle autorizzazioni non giustificate da motivi imperativi di interesse generale, l’eliminazione degli adempimenti non necessari o che non utilizzano le nuove tecnologie, l’estensione Scia, il silenzio assenso, la comunicazione e l’adozione di regimi uniformi condivisi con Regioni e Comuni
  • La completa reingegnerizzazione in digitale e semplificazione di un set di 200 procedure critiche, selezionate sulla base della consultazione degli stakeholder

Il risultato atteso finale è quello di avere per la prima volta in Italia un catalogo completo uniforme e aggiornato di tutte le procedure e dei relativi regimi, con piena validità giuridica su tutto il territorio nazionale (almeno 600 procedimenti), La stessa attività di reingegnerizzazione verrà realizzata in modo sistematico su tutti i procedimenti. Completa il processo la modulistica standardizzata online e la digitalizzazione dei procedimenti per edilizia e attività produttive.

Abbiamo evidenziato in grassetto le parti interessanti: avere un catalogo delle procedure, reingegnerizzate in ottica di semplificazione (e di strumenti digitali ora disponibili, come spid, cie, anpr, pagopa, io, firme digitali, dati machine readable, eventualmente attribute authority …) porterà certamente un cambiamento epocale, esteso a tutti gli enti locali e soprattutto uniforme.

Visto che il PNRR si è spinto a ragionare a livello di sistema, la proposta di questo articolo è di alzare ulteriormente il livello.

Il pensiero laterale come strumento per trasformare la PA

Se le amministrazioni locali possono migliorare “solo” quello di loro competenza, stando all’interno del miglioramento del loro “minimo locale” (per parlare di rappresentazione in più dimensioni di un sistema), il PNRR è passato al tentativo di migliorare tutta la funzione, individuando il punto di massimo globale (le 600 funzioni da rendere uguali per tutti e reingegnerizzare). La proposta finale è di cambiare la funzione completamente, vediamo come.

Il pensiero laterale che si può utilizzare in questo ambito si contrappone al pensiero logico e razionale, la cui esecuzione è tipicamente lineare e a partire dall’esistente. Non che il pensiero laterale non parta dell’esistente, del resto non preclude strade solo perché “si è sempre fatto così” o perché “non è possibile farlo”.

Il pensiero laterale può manifestarsi in molti modi, tra cui:

  • pensieri completamente innovativi e considerati folli fino a che non implementati;
  • unendo puntini di uno stesso dominio che sembrano non unibili, generando nuove soluzioni intradominio;
  • unendo puntini di domini diversi creando nuovi livelli di relazioni tra idee e generando nuove soluzioni (cross fertilization);
  • altri modi non qui elencati.

Il pensiero laterale permette di alzare ulteriormente il livello di ragionamento, cambiando le domande che portano alle migliori soluzioni.

Nello specifico proponiamo due domande di esempio per capire cosa e come si può mettere in discussione:

  1. il comune è ancora l’unità minima di erogazione di servizi ai cittadini più efficace (in fondo ha qualche centinaio di anni come istituzione) nell’epoca digitale? (attenzione, non parliamo di efficienza, ma di efficacia);
  2. la carta di identità elettronica (CIE) ha ancora senso che venga erogata dagli enti locali o potrebbe essere erogata da centri specializzati governati da Poligrafico e Zecca dello Stato?

Come si può ben capire, queste domande “laterali” mettono in discussione non solo il reskilling delle persone, non solo l’organizzazione degli enti locali, non solo i processi analizzati alla luce delle competenze del singolo ente, non solo le procedure catalogate e reingegnerizzate, ma tutto il sistema (la prima) nel complesso e un processo nel suo modo di operare (la seconda).

Essendo noi in un periodo “di guerra”, come dichiarato ad inizio pandemia dall’attuale Presidente del Consiglio, forse più come auspicio per un nuovo modo di pensare e di risolvere problemi che non con la convinzione che pandemia=guerra, probabilmente dobbiamo avere il coraggio di essere “MOLTO laterali” nel pensiero, visionari e ambiziosi e provare a rivedere modelli che fino ad oggi hanno funzionato (ma hanno davvero funzionato o potevamo cambiarli prima?) e provare a cambiarli.

Qualche esempio di “pensiero laterale” applicato alla PA

Prendiamo il primo caso. Il comune è ancora l’unità minima di erogazione di servizi ai cittadini più efficace (in fondo ha qualche centinaio di anni come istituzione) nell’epoca digitale? (attenzione, non parliamo di efficienza, ma di efficacia).

Parliamo di efficacia perché l’epoca del NPM (new public management) – ovvero del management nel settore pubblico fatto come se ci si trovasse nel settore privato (orientato solo all’efficienza economica) – è forse tramontata. L’efficienza è importante, ma l’efficacia è sicuramente più rilevante per la pubblica amministrazione: impiegare cinque minuti di meno ha meno valore rispetto ad erogare un servizio di maggiore qualità. Il comune è ancora il soggetto migliore per erogare alcuni servizi? Davvero le centinaia di comuni sotto i 1000 abitanti (ma forse sotto i 5000) sono ancora in grado di seguire “l’iperstoria” digitale nel cambiamento del mondo ed erogare servizi adeguati, non rendendo i loro cittadini di serie B? 

La soluzione non è detto che sia eliminare i comuni (anche se sotto certi limiti di abitanti probabilmente sarebbe ragionevole), ma può essere aggregare i servizi di un’area in modo che ci sia un centro di erogazione e i comuni limitrofi diventino degli hub. 

Un’analisi ed esperimento del genere l’abbiamo fatto in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, in maniera informale: nella provincia di Cremona abbiamo provato a fare degli esperimenti di aggregazione, parametrando per numero di abitanti dell’aggregato e massima distanza dal “comune principale” (che non vuol dire massima distanza dallo sportello, che può rimanere territoriale). Il risultato si vede nell’immagine sottostante.

I colori sono i cluster. Sia chiaro che non è una proposta definita o definitiva, è solo un esempio.

Prendiamo il secondo caso. L’esperienza di erogazione della CIE varia da comune a comune:

  • alcuni usano agenda cie per le prenotazioni
  • alcuni permettono prenotazione
  • alcuni non permettono prenotazione
  • alcuni fanno quattro ore a settimana di erogazione cie
  • alcuni permettono di andare a ottenere la cie quando è aperto lo sportello anagrafe
  • alcuni sono colmi di richieste quindi i tempi di attesa sono di settimane

Perché l’esperienza cittadino deve essere così variegata? La proposta, sempre nell’ambito del pensiero laterale, è che l’erogazione sia governata da Poligrafico e Zecca dello Stato, con dei punti sui territori. In tal modo si potrebbe avere un’unica esperienza territoriale, con una distribuzione dei carichi di lavoro in base ai tempi di attesa ed ottimizzazioni derivanti da una sola governance.

Conclusioni: dall’esempio alla pratica

Ovviamente non è tutto così facile come sembra dagli esempi, ma serviva per far capire che possiamo alzare ulteriormente il livello del ragionamento, cambiando davvero alla radice la PA e il rapporto della PA con il cittadino, rivedendo nel complesso come è fatta la PA locale, non solo come lavora.

In fondo i soldi ci saranno, sia grazie al PNRR che grazie al settennato UE 2021-2027. Sta a noi, ora che lo shortage di risorse hard non è più un problema, cambiare il soft (le persone) e la cultura, spingendo al limite il nostro pensiero e le nostre idee, per generare vero cambiamento con un approccio “rivoluzionario”, allo scopo di generare un nuovo ordinamento organizzativo della PA. Non per noi, ma per le future generazioni che vedranno gli effetti di questi cambiamenti.

Si sta parlando di cambiare la sanità a livello locale, perché non cambiare la PA in toto a livello locale?

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