Fare la RivoluzionePA con la partecipazione. Come e perché
Siamo sicuri che basti l’ennesima Riforma della Pubblica Amministrazione a consegnarci un’amministrazione che “serva” al vivere sociale ed economico di noi cittadini? Per rispondere a questa domanda, il primo passo è interrogarsi su quanto la Riforma in corso (c.d. Riforma Madia) tenga conto delle aspirazioni e dei modelli emergenti nella società, a cui in ultima istanza l’operato della PA stessa si rivolge.
6 Aprile 2016
Chiara Buongiovanni e Gianni Dominici (a cura di)
Siamo sicuri che basti l’ennesima Riforma della Pubblica Amministrazione a consegnarci un’amministrazione che “serva” al vivere sociale ed economico di noi cittadini? Per rispondere a questa domanda, il primo passo è interrogarsi su quanto la Riforma in corso (c.d. Riforma Madia) tenga conto delle aspirazioni e dei modelli emergenti nella società, a cui in ultima istanza l’operato della PA stessa si rivolge.
La risposta è abbastanza evidente: più volte è stato sottolineato come l’annunciata “rivoluzione” si vada cristallizzando in decreti delegati che ci consegneranno (se andrà bene) una PA rinnovata ma anche profondamente uguale a se stessa, soggetto diverso e lontano dalle dinamiche sociali e culturali in atto in questo paese (e oltre confine).
Obiettivo reale della Riforma è far funzionare meglio la PA che abbiamo (cosa ottima e missione già abbastanza epica) ma qui – dove per “qui” intendiamo questo tavolo di sperimentatori e pensatori con cui da qualche anno a Forum PA ci ritroviamo – la domanda è un’altra: la PA che abbiamo è quella che ci serve?
A questa si aggiunge una seconda, se volete più orientata al “come”, una sorta di secondo passaggio nella discussione sul futuro della nostra amministrazione.
Dunque, seconda domanda: siamo poi sicuri che la grande riforma sia, a questo stadio delle cose, lo strumento giusto, quello più efficace per la RivoluzionePA che cerchiamo perché avvertiamo come necessaria? Da quanto emerso nel confronto al Tavolo dello scorso maggio, pare proprio di no. O quanto meno non è da lì che il principio attivo della Rivoluzione varcherà trionfalmente i pesanti portoni delle nostre pubbliche amministrazioni. Si tratta piuttosto di un approccio sperimentale che sta già iniettando, qua e là, un gene modificato attraversando le fessure lasciate aperte, colpendo una persona o un gruppo di persone che tendono a contagiarne altre non necessariamente prossime per postazione o funzione.
Il punto è verificare quanto la nostra amministrazione, ai suoi diversi livelli, sia in grado di “trasformarsi” per garantire effettivamente – non per mera e pedissequa fedeltà a codici e regolamenti – il buon andamento e l’imparzialità del suo operare.
Insomma, se la PA è composta da persone chiamate a “servire” la società, su quali fronti, in che misura e con quali strumenti potrà “geneticamente” modificarsi per non ostacolare pratiche e approcci sperimentali e trasformarsi nel contesto che cambia?
Su queste premesse, elaborando a partire dal lavoro degli anni precedenti e preparando il terreno per l’incontro 2016, questo quaderno raccoglie i contributi del FoGG – Future of Government Group di FPA emersi durante l’incontro dello scorso anno (maggio 2015).
La chiave di questa raccolta di riflessioni e contributi nati dall’esperienza è senza dubbio la “partecipazione”, declinata nelle dinamiche e nelle evoluzioni che emergono e che registrano interessanti “focolai” proprio in Italia.
A fronte di tanti termini e concetti che prendono piede tra gli addetti ai lavori, dopo essere stati masticati delle più ristrette cerchie dei cosiddetti “edgers” (coloro che vivono sulla frontiera e che vedono il “nuovo” prima che arrivi) abbiamo scelto di “rispolverare” la partecipazione per un motivo sostanziale.
La partecipazione racchiude due elementi chiave (ingredienti base per capirci) per la realizzazione di quel processo di rinnovamento che immaginiamo talmente radicale da meritarsi il titolo di RivoluzionePA. Il primo è il sentirsi parte, ovvero riconoscere che una questione, un problema o un’opportunità è “anche affar mio”, mi riguarda. Il secondo è la predisposizione ad agire per risolvere un problema o per produrre un effetto.
Nei diversi livelli della partecipazione – dall’informazione al co-design – questi due elementi sono attivi in grado ed intensità diversa, in relazione alle finalità del processo avviato. Ma ciò che trasforma le cose è il fatto che ci siano e/o che si lavori affinché ci siano. Questo vale nella PA come fuori dalla PA e vale soprattutto negli spazi di cucitura tra il dentro e il fuori in cui gli ambasciatori più rappresentativi di questa PA del tutto nuova sono proprio quelle persone che lavorano nella PA e che non dimenticano di essere anche cittadini, con la loro intelligenza e le loro intuizioni, le loro passioni e le loro relazioni vive e attive “qua dentro” come “là fuori”.
Da qui, complici le trasformazioni epocali base del nuovo ordine economico che sta emergendo (c.d. “sharing economy”), in collegamento con la diffusione massiva delle piattaforme collaborative, il passo verso la collaborazione è breve e (quasi) inevitabile, tanto che nelle analisi dei settori più diversi – dall’amministrazione pubblica al marketing aziendale – si legge che a furor di millenials siamo entrati nell’età del “co”.
Qui ci fermiamo, per introdurre quella che, nel suo piccolo, speriamo possa rappresentare un’utile fonte di ispirazione per chi lavora con e nella pubblica amministrazione. Insomma un quaderno di lavoro, dedicato alle persone e non alle strutture. La rivoluzione, come ricorda Margaret Mead, quando si è realizzata è sempre stata opera di un gruppo di cittadini ispirati e appassionati, non importa quanto piccolo.
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a cura di G. Dominici e C. Buongiovanni, 2016 Edizioni Forum PA