I sei obiettivi del Ministro Madia
Il Ministro della PA e della semplificazione ha presentato ieri le sue linee programmatiche alla Camera: in cinque pagine sono racchiusi sei obiettivi programmatici precisi che spaziano dal personale pubblico alla trasparenza, dalla dirigenza alla semplificazione, dalla revisione della spesa alle pari opportunità. Nel rimandarvi al documento originale, abbastanza breve e scritto in italiano e non in politichese, provo a mettere in evidenza alcuni passaggi chiave e a proporvi un primo commento. Un ‘impressione “over all”: per essere innovativi essere giovani non basta… ma aiuta! Non concordo infatti con chi ha commentato che “sono sempre le solite cose”, vedo molte cose nuove. La sfida sarà portarle a casa.
3 Aprile 2014
Carlo Mochi Sismondi
Il Ministro della PA e della semplificazione ha presentato ieri le sue linee programmatiche alla Camera: in cinque pagine sono racchiusi sei obiettivi programmatici precisi che spaziano dal personale pubblico alla trasparenza, dalla dirigenza alla semplificazione, dalla revisione della spesa alle pari opportunità.
Nel rimandarvi al documento originale, abbastanza breve e scritto in italiano e non in politichese, provo a mettere in evidenza alcuni passaggi chiave e a proporvi un primo commento.
Un‘ impressione “over all”: per essere innovativi essere giovani non basta… ma aiuta!
Non concordo infatti con chi ha commentato che “sono sempre le solite cose”, vedo molte cose nuove. La sfida sarà portarle a casa.
Obiettivo 1: Semplificare l’amministrazione, il suo linguaggio, la sua azione: sulla fatica di Sisifo di semplificare l’amministrazione, noto tre punti interessanti nel discorso del Ministro Madia: una ritrovata attenzione alla semplificazione del linguaggio (vi ricordate? Fu un cavallo di battaglia di molti ministri, poi lasciato scappar via); un’enfasi notevole sulla governance del processo: fare sì insieme a tutti i livelli amministrativi, ma con una guida forte e riconosciuta (questa rivendicazione di leadership politica è un po’ il leit motive di tutta l’audizione); la volontà di non ricominciare da zero, ma di sfruttare il lavoro già fatto.
Obiettivi e metodo condivisibile: suggerirei solo due aspetti. Il primo è che non si può tagliare il nodo gordiano della complicazione solo con la spada della volontà, ma bisogna avere la pazienza ed il coraggio di districarlo piano piano, nodino dopo nodino, altrimenti sembra sciolto, ma ci avvilupperemo più di prima. Il secondo è di puntare tre o quattro obiettivi visibili, importanti e diffusi e portarli a casa il più rapidamente possibile, sfruttando poi l’effetto traino. Io punterei sulla dichiarazione dei redditi pre-compilata (ma attenzione a non promettere se non siamo in grado di farla bene) e sui moduli più usati uguali per tutte le amministrazioni locali e centrali.
Obiettivo 2: Garantire la trasparenza con azioni concrete: tre aspetti della trasparenza vengono messi in luce inerenti alle persone, ai costi e ai dati. Per le persone c’è la volontà di maggiore chiarezza nelle nomine di vertice e il Ministro fa l’esempio degli interpelli pubblici per il Presidente dell’Istat e per i membri dell’Autorità Anticorruzione. Per i costi viene ribadito l’impegno già preso da Renzi in sede di dichiarazione programmatica di rendere visibile ogni soldo speso. Infine per i dati si parla di ritardi clamorosi negli Open Data e di una carenza “strutturale” di dati certi che rende difficili le decisioni politiche, ma anche l’accountability verso i cittadini. Si sottolinea anche, molto opportunamente, che la trasparenza che più ci serve (la Madia la chiama “finale”, noi preferiamo chiamarla “dinamica”, ma cambia poco) è quella sui risultati dell’azione pubblica. Infine su questo punto nell’audizione si rimanda alla necessità di una regia forte dell’agenda digitale. Speriamo.
Su questo obiettivo, di cui come sapete ci occupiamo da molti anni prima del suo divenire di moda, non posso che essere soddisfatto degli impegni presi. Mi limito solo a suggerire di vedere il vasto tema dell’open government nel suo complesso fatto di trasparenza, collaborazione e partecipazione; sarebbe importante poi avere sempre una grande attenzione a come coinvolgere i cittadini e la cittadinanza organizzata nell’uso dei dati aperti. Altrimenti possiamo anche pubblicare dataset, ma nulla cambia. E’ quello che noi chiamiamo “seconda fase” o “Open Data Engagement” di cui abbiamo ampiamente parlato.
Obiettivo 3: Riportare le persone e le loro competenze al centro dell’azione amministrativa: è questo l’argomento centrale dell’audizione che si articola in tre obiettivi: più giovani e sblocco del turnover; più mobilità; rispetto non cieco dei diritti acquisiti.
Che dire? Sono cose per cui io personalmente e tutto FORUM PA si batte da anni. Come abbiamo detto cento volte i dipendenti pubblici non sono troppi: sono troppo vecchi, mal distribuiti e meno qualificati che nei Paesi nostri concorrenti. Ben venga quindi uno svecchiamento. Sia pure con tutte le garanzie e le cautele del caso, per altro ben elencate dal Ministro, per favore non ci fermiamo e apriamo ai giovani con concorsi certi, periodici e discriminanti (non due prove scritte di diritto amministrativo!). Sulla mobilità nulla da dire, tranne che qui le norme ci sono, basta solo farle rispettare e controllare che tutti le rispettino.
Obiettivo 4: Dirigenti pubblici protagonisti delle riforme: il dato più “nuovo” su questo punto, nuovo non è, anzi è un ritorno e concerne il ruolo unico della dirigenza che nacque con Bassanini nel Governo Prodi 1996-1998. Personalmente mi sembra un buon ritorno: va ovviamente articolato meglio e riadattato alle novità dei quasi vent’anni passati, ma il principio era buono. Molto più difficile sembra la promessa uniformità retributiva: quando ci si accosterà il Ministro si renderà conto che la giungla è persino più intricata di come la immagina: buona fortuna!
Molto dibattuti sono il secondo e il terzo punto di questo obiettivo, che a mio parere vanno visti insieme: ossia l’attribuzione degli incarichi e la loro temporaneità, insieme alla valutazione continua, e l’osmosi tra pubblico e privato dando nuovo slancio alle possibilità di passaggio dal pubblico al privato, con licenza di tornare indietro, e dal privato al pubblico usando di più e meglio gli incarichi dirigenziali ad “esterni”. Qui se condivido sino in fondo lo spirito e l’obiettivo finale, non posso che mettere in evidenza che l’anamnesi è fortemente negativa: sino ad ora gli incarichi non hanno sempre portato dentro professionalità eccezionali, ma spesso persone “fedeli”. Niente di male, ma chiamiamo le cose con il loro nome. Ciò detto credo, come ho già scritto più volte, che di vincoli ne abbiamo sin troppi e quindi una maggiore libertà di passaggio tra i due mondi non può che essere auspicabile.
Obiettivo 5: Conciliazione dei tempi di vita e pari opportunità nei ruoli di vertice. Il Ministro parte da una considerazione oggettiva: le donne rappresentano la metà della forza lavoro nella pubblica amministrazione. Tuttavia non sono valorizzate abbastanza, in particolare nelle posizioni di vertice di tutte le carriere pubbliche. Si propone poi di agire per nuove forme di lavoro flessibile, per una migliore conciliazione tra tempi di vita e di lavoro per una maggiore elasticità nei tempi.
Tutto giusto, ma temo non serva per quello che, a mio parere, è il maggior gap che riguarda gli incarichi di vertice di tipo fiduciario, in cui le donne sono pochissime, mentre crescono dovunque si arriva ai vertici per concorso. Che fare allora? Credo che una riflessione sulle quote di genere in questi campi (ad es. per la direzione generale delle aziende sanitarie, per gli ambasciatori, per gli incarichi di capo dipartimento o capo di gabinetto, per le presenze nei consigli di amministrazione pubblici) sia necessaria. Magari temporanee, magari solo per rompere con piccone il tetto di cristallo, ma temo che se ci affidiamo solo alla buona volontà di chi sceglie non andiamo molto avanti.
Obiettivo 6: Utilizzo efficiente del denaro dei cittadini. Su questo punto il ministro è molto ambiziosa: non solo raggiungere gli obiettivi messi dal c.d. “piano Cottarelli”, ma andare ancora avanti nei risparmi, tanto da poter contare su un tesoretto per futuri investimenti.
Il documento non dettaglia i provvedimenti, rimandando al “piano Cottarelli”, ma manca, a mio parere, una più approfondita considerazione dei risparmi che possono derivare, in tutto il campo di azione della PA digitale e, più in generale, dall’innovazione nei processi che la tecnologia permette (ma non impone: perché, come sappiamo, si può ahimè digitalizzare anche solo l’esistente o persino l’inutile). Quello della costruzione di una PA digitale, interconnessa, con processi ripensati e standardizzati non è un “di cui”, ma è il centro del problema. Va messo al centro dell’agenda per una nuova PA che, se deve riformarsi, non può che rinascere “nativa digitale”.