I volti della trasparenza dopo il d.lgs. 97/2016
Prima di oggi, avevamo una trasparenza procedimentale e un “diritto a conoscere” condizionato. Ora ci sono problemi aperti e possibili criticità. Ma una cosa è certa: esiste una libertà di accesso finora inedita nell’ordinamento. E avere o meno una libertà fa in ogni caso la differenza
10 Gennaio 2017
Fernanda Faini, presidente Circolo dei Giuristi Telematici
Il d.lgs. 97/2016 cosa cambia nel nostro Paese? Perché si parla di Freedom of Information Act italiano? Avremo un autentico “diritto a conoscere”?
Il d.lgs. 97/2016 cambia significativamente la disciplina della trasparenza e gli strumenti per garantirla.
Prima della riforma, l’ordinamento giuridico italiano non prevedeva un vero e proprio diritto all’informazione nei confronti delle istituzioni: il legislatore si affidava esclusivamente a un meccanismo di pubblicità obbligatoria di specifici documenti, dati e informazioni, garantiti dalla possibilità di azionare il diritto di accesso civico, sprone per le amministrazioni, in quanto strumento azionabile dai cittadini in caso di inadempimento degli obblighi di pubblicazione. Ma al di fuori dei confini disegnati dal legislatore per mezzo della definizione dei casi di pubblicazione obbligatoria, “fortificati” da strumenti come l’accesso civico, la trasparenza restava facoltativa, a scelta discrezionale dell’amministrazione, e l’unico modo per conoscere era consegnato allo strumento del diritto di accesso della legge 241/1990, che prevede, però, la necessità di una legittimazione soggettiva e di una motivazione.
Pertanto, prima di oggi, avevamo una trasparenza procedimentale e un “diritto a conoscere” condizionato.
In considerazione di questi limiti e alla luce della tutela del right to know nei cosiddetti Freedom of Information Act in molti Paesi del mondo, anche a seguito delle sollecitazioni della società civile, l’Italia ha approvato il decreto legislativo 97/2016 che, in virtù della delega di cui all’art. 7 della legge 124/2015, ha modificato il d.lgs. 33/2013, al fine di garantire un autentico “diritto a conoscere” della collettività nei confronti delle istituzioni.
La riforma cerca di far diventare la trasparenza “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni” sostanzialmente (e non solo lessicalmente, come nel passato quando “totale” certo non era), con l’esplicitato scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.
E così, accanto alla “trasparenza proattiva” (proactive disclosure), realizzata con la pubblicazione di documenti, informazioni e dati, viene fortificata la “trasparenza reattiva” (reactive disclosure), che si ottiene in risposta alle istanze di conoscenza avanzate dagli interessati. Sotto questo profilo il d.lgs. 97/2016 introduce significative novità: il nuovo diritto di accesso civico “generalizzato” fa parlare di Freedom of Information Act (FOIA) italiano.
A seguito della riforma, di conseguenza, nell’ordinamento giuridico italiano vigente si trovano a convivere diverse forme di accesso, quali strumenti di “trasparenza reattiva”: l’accesso ai sensi della legge 241/1990, che non viene modificato, e l’accesso civico “generalizzato” ai sensi del d.lgs. 33/2013, che viene introdotto dal d.lgs. 97/2016 e si affianca adesso all’accesso civico “semplice”, strumento già previsto come risposta all’inadempimento degli obblighi di pubblicazione.
La riforma si è resa necessaria per tutelare il right to know. Infatti il diritto di accesso della legge 241/1990 prevede un diritto a conoscere condizionato, dal momento che sono necessari alcuni requisiti per poterlo esercitare: la legittimazione soggettiva, che spetta a tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso (art. 22) e la motivazione, in quanto l’istanza deve essere motivata (art. 25).
La distanza dalla freedom of information si coglie anche nel limite al controllo generalizzato: “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni” (art. 24, comma 3, legge 241/1990). Il diritto di accesso, ai sensi della legge 241/1990, si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi (la norma parla solo di documenti): l’amministrazione ha un termine di 30 giorni per rispondere, altrimenti la richiesta si intende respinta; vige di conseguenza il cosiddetto silenzio diniego. Sono previste ampie esclusioni e limitazioni nell’art. 24, relative alla difesa di interessi pubblici e privati.
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Si atteggia in modo significativamente diverso il diritto di accesso civico “generalizzato”, previsto nell’art. 5 del d.lgs. 33/2013, come modificato dal d.lgs. 97/2016.
Il principio fondante, posto già dalla legge delega, è il riconoscimento della libertà di informazione, garantita non solo dalla pubblicazione, ma anche dall’accesso civico “generalizzato”, che permette a chiunque senza motivazione di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalla pubblica amministrazione, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria: oltre al diritto di chiunque di richiedere documenti, informazioni o dati di cui sia stata omessa la pubblicazione obbligatoria (accesso civico “semplice”), l’ordinamento prevede oggi il diritto di accesso civico su documenti e dati diversi e ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria (accesso civico “generalizzato”). Chiara ed esplicita la ratio della disposizione: lo strumento è teso a “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e nell’utilizzo delle risorse pubbliche” e a “promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”.
L’esercizio del diritto di accesso civico cosiddetto “generalizzato”, a differenza del diritto di accesso della legge 241/1990, non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente, non richiede motivazione e non prevede il limite del controllo generalizzato. L’istanza di accesso identifica i dati, le informazioni o i documenti richiesti, può essere trasmessa in via telematica e presentata alternativamente a una pluralità di uffici dell’amministrazione, previsti dalla norma. A seguito di istanza, il procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento espresso e motivato nel termine di 30 giorni (non è ammesso il silenzio diniego) e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso devono essere motivati con riferimento ai casi e ai limiti stabiliti: grava, di conseguenza, sull’amministrazione provare l’esistenza di motivazioni che impediscono di soddisfare l’istanza. La normativa dispone che questo possa avvenire per evitare un “pregiudizio concreto” alla tutela degli interessi pubblici e privati protetti dall’ordinamento e previsti dall’art. 5-bis: da più parti è stato sollevato che le eccezioni disposte sono numerose, ampie e talvolta indeterminate e generano la necessità di operare difficili bilanciamenti fra interessi contrapposti, che potrebbero limitare le concrete possibilità di conoscere.
Proprio ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti dell’accesso civico, sono state approvate con determinazione n. 1309 del 28/12/2016 le Linee guida recanti indicazioni operative, adottate dall’ANAC, d’intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza Unificata: alle Linee guida è attribuito un ruolo particolarmente significativo nell’attuazione concreta della riforma.
In conclusione, la riforma del d.lgs. 97/2016 dà vita nell’ordinamento a volti diversi della trasparenza, che dovranno coesistere.
Nelle fattispecie concrete di accesso civico, le amministrazioni dovranno svolgere complessi bilanciamenti fra interessi contrapposti. Non è peraltro prevista la presenza di sanzioni a tutela dei richiedenti, perché seppur contenute nella delega, sono state “dimenticate” nel decreto legislativo: certo esistono vari rimedi a iniziativa del richiedente in caso di diniego (riesame del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, ricorso al difensore civico, in caso di atti locali e regionali, e ricorso al TAR), ma non sono presenti sanzioni a carico delle amministrazioni in caso di inottemperanza alle disposizioni normative in materia di accesso (che opportunamente l’art. 7 della legge delega 124/2015, invece, aveva previsto).
Il d.lgs. 97/2016, inoltre, pone un collegamento stretto fra trasparenza e apertura, fra diritto a conoscere e diritto a riutilizzare, anche per dati, informazioni e documenti oggetto di accesso civico ulteriori rispetto agli obblighi di pubblicazione (art. 3 d.lgs. 33/2013), operando sicuramente in linea con la filosofia di open government e quindi in modo apprezzabile, ma provocando, altresì, alcune riflessioni sulle modalità di concreta applicazione, anche nel bilanciamento fra interessi in gioco.
Questi sono alcuni problemi aperti e possibili criticità. Ma una cosa è certa: esiste una libertà di accesso (secondo le parole che usano le norme stesse) finora inedita nell’ordinamento. E avere o meno una libertà fa in ogni caso la differenza.