Il metro politico, il decimetro dell’azione e il centimetro del cambiamento
Il Ministro della Pubblica amministrazione ha dichiarato che è necessario mettere in cantiere la riforma della pubblica amministrazione. Proposito meritorio e condivisibile, sul quale può essere utile fare qualche considerazione. Anche perché quasi mai le riforme legislative hanno prodotto automaticamente cambiamenti significativi.
26 Marzo 2014
Stefano Sepe*
Il Ministro della Pubblica amministrazione ha dichiarato che è necessario mettere in cantiere la riforma della pubblica amministrazione. Proposito meritorio e condivisibile, sul quale può essere utile fare qualche considerazione. Anche perché quasi mai le riforme legislative hanno prodotto automaticamente cambiamenti significativi.
Il Ministro della Pubblica amministrazione – in linea con le indicazioni e le promesse del presidente del Consiglio – ha dichiarato che è necessario mettere in cantiere la riforma della pubblica amministrazione. E che occorre farlo rapidamente. Proposito meritorio e condivisibile, sul quale può essere utile fare qualche pacata considerazione. Con il solo intento di contribuire al dibattito.
Il tema è scottante e urgente: chi potrebbe negarlo. Al riguardo, Carlo Mochi Sismondi ha esposto con chiarezza, su queste colonne, i nodi fondo. Non serve quindi ripetersi. Un cambio di passo del sistema pubblico è indispensabile per evidenti ragioni di riequilibrio del bilancio pubblico: “fare meglio spendendo meno”, recitava nel 1993 il titolo del Rapporto Gore negli Usa; concetti analoghi si rinvenivano nel medesimo anno nel Rapporto predisposto dall’allora ministro della Funzione pubblica, Cassese. Ma una migliore qualità del sistema pubblico è indispensabile non meno (anzi, principalmente) per contribuire allo sviluppo del paese e alla sua competitività e per migliorare la qualità di vita dei cittadini. Aspetto, quest’ultimo, che dovrebbe rappresentare in realtà la finalità essenziale dell’operato delle pubbliche amministrazioni.
Dunque, al lavoro. Ognuno per suo conto, ciascuno con le sue responsabilità, ciascuno con le sue forze. Spinte e controspinte, si sa, non mancheranno. Ma adesso non è il caso di soffermarsi su questo dato di fatto, basta averne contezza. La partita è difficile, il percorso sarà duro e costellato di ostacoli. Nondimeno occorre avere tenacia e determinazione. Elementi che sembrano non fare difetto al premier e che di certo non mancheranno al ministro Madia e al sottosegretario Rughetti che dovranno condurre le danze. Con l’intento – lo ha opportunamente – fatto presente il sottosegretario alla Presidenza, Delrio di produrre risultati visibili entro l’anno.
Su queste “pagine virtuali” ci si sforza da sempre di evitare i minuetti, cercando piuttosto di andare direttamente al punto. A volte persino ruvidamente. È quello che si proverà a fare nelle righe che seguono.
Prima questione. Evitare di avventurarsi in proclami che enfatizzino promesse difficili da mantenere, provando a instaurare un corretto rapporto con i media basato sui fatti. Si eviterà anche di divenire ostaggi del gioco al rilancio tipico del meccanismo mediatico. Del pari, evitare di impantanarsi nelle paludi di estenuanti prassi di concertazione. Il confronto è indispensabile, ma non deve diventare, come è stato fin troppe volte, un paravento che cela l’immobilismo.
Seconda questione. Di lessico che diventa sostanza. Cercare di limitare al massimo (meglio addirittura eliminare) alcune espressioni divenute esiziali, perché logorate, rese intollerabili per la loro vacuità. A cominciare dalla parola “riforma”, che ha perso completamente di senso specialmente se riferita all’amministrazione pubblica. Analogamente, rifuggire dall’abuso del termine innovazione. Anche qui per una ragione di sostanza. Il più delle volte, basta una buona manutenzione dell’esistente. Lavoro più oscuro, si potrebbe dire “di retrobottega”, ma indispensabile, che evita oltretutto di lastricare di macerie la strada da percorrere.
Terza questione. Parlare di (e puntare sul) cambiamento. Anche perché, come la storia insegna, quasi mai le riforme legislative hanno prodotto – automaticamente cambiamenti significativi; al contrario, si sono risolte spesso in ulteriori aggravamenti delle disfunzioni. Quindi, rovesciare l’orientamento: provare a produrre cambiamenti effettivi, anche parziali, cercando di estenderne progressivamente la presa sull’intero sistema. Chi è chiamato a guidare il difficile processo di cambiamento dell’amministrazione pubblica, dovrebbe fare maggiormente tesoro delle novità, delle sperimentazioni, delle proposte che – tanto a livello locale, quanto nelle amministrazioni centrali – proviene da chi sta operando da tempo per rendere migliori servizi ai cittadini e alla società nei suo insieme. Censire, capire, analizzare (tutto rapidamente) è un elemento fondamentale per imboccare la strada giusta. Il patrimonio di esperienze esistenti è cospicuo. Valorizzarlo implica, indirettamente, abbandonare l’italico vizio dei governi, che cominciano quasi sempre buttando nel cestino quello che era stato fatto o proposto da altri.
Quarta questione. Una modesta proposta rivolta direttamente al Ministro Marianna Madia. Gli intenti, quasi sempre ammirevoli, di coloro che si sono accinti a migliorare l’amministrazione pubblica italiana, si sono infranti – oltre che sulla vischiosità delle forme di concertazione e sulla notevole opacità dei rapporti tra comando politico e gestione amministrativa – sulla scarsa attenzione al fattore organizzazione. Sottovalutazione grave. Suggerimento: perché non cominciare dal riposizionamento del Dipartimento della Funzione Pubblica, che è (e resta) l’indispensabile volano dell’azione politica di cambiamento dell’amministrazione? Molto più di quanto non lo sia, il Dipartimento deve riuscire a diventare un reale fattore di propulsione, una struttura interamente (o almeno primariamente) dedicata a coordinare le iniziative, a selezionare e mettere in comune le proposte migliori, a far conoscere le esperienze più valide affinché possano essere sperimentate in contesti diversi. Un Dipartimento che, più che emanare "circolari" esplicative, faccia “circolare” le idee.
Per chiudere, una metafora geometrica che si richiama alla nota questione del “governo misurabile”. Le opzioni politiche dovrebbero rappresentare il “metro” dei risultati attesi; le proposte concrete, il “decimetro” dell’azione di governo; il “centimetro”, servire a misurare i cambiamenti ottenuti. Cambiamenti da misurare in centimetri perché – anche se piccoli – saranno decisivi, se condivisi e assimilati effettivamente. Andare rapidamente è necessario, fare le cose in fretta serve a poco.
* Stefano Sepe