Il nuovo Giornalismo pubblico come leva della trasparenza totale

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Siamo di fronte ad una potenziale svolta sul punto nevralgico del “front office” della pubblica amministrazione, a tutt’oggi regolato da una legge di 17 anni fa, la 150/2000, nata con funzioni didattiche – “illustrare e favorire la conoscenza delle disposizioni normative, al fine di facilitarne l’applicazione”. È molto diffusa nella comunità dei comunicatori pubblici italiani la tensione verso una revisione della legge 150, una “legge 151” che realizzi una definizione organizzativa razionale ed efficiente della nuova comunicazione all’interno delle PA

13 Dicembre 2017

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Sergio Talamo, Direttore Comunicazione, Editoria, Trasparenza e Progetti Speciali Formez PA, Giornalista professionista, Docente in comunicazione pubblica e trasparenza

Dei circa 20 decreti attuativi della Riforma PA, sono due quelli che riguardano direttamente il cittadino e la qualità dei servizi pubblici: il 97/2016, che riforma il sistema della Trasparenza fissato dal dlgs 33/2013, introducendo “l’accesso civico generalizzato” (cd. “Foia italiano”), e il 179/2016, che riforma il Codice dell’amministrazione digitale del 2005 e adotta il principio della “PA digital first”. Viene così in evidenza la necessità di una profonda riorganizzazione del sistema pubblico, in alcuni casi di vera riconversione professionale. Il comune denominatore della Riforma è infatti la piena e consapevole partecipazione dei cittadini alle attività pubbliche. Ai cittadini vengono infatti riconosciuti nuovi e incisivi diritti. Ad essere messa in soffitta è la tradizionale gerarchia fra l’amministrazione-emittente, di impostazione giuridico-formale, insindacabile nei suoi modi e tempi di lavoro, e il cittadino-ricevente, relegato in una condizione passiva. Il cittadino è oggi titolato a verificare la qualità del servizio, valutarne la congruità con il “patto” insito nelle funzioni dell’ente o, meglio ancora, nelle carte dei servizi, e infine contribuire a migliorarlo e re-indirizzarlo. Un sistema, per dirla in sintesi, non più fondato sulle priorità dell’amministrazione o sul solo rispetto delle procedure, ma sulla “citizen satisfaction”.

Una funzione che più di altre merita di essere ripensata e rilanciata è quella della comunicazione pubblica. Nella nuova concezione di prestazione pubblica insita nella Riforma, infatti, la comunicazione con il cittadino assume un ruolo decisivo. Non a caso, la circolare sulla Trasparenza del ministero PA (la n. 2 del 2017) attribuisce enorme rilevanza al “dialogo con i richiedenti” e alla “pubblicazione proattiva”, che “appare fortemente auspicabile – dice la circolare – quando si tratti di informazioni di evidente interesse pubblico o che siano comunque oggetto di istanze ricorrenti”. In pratica, la pubblicazione proattiva consiste in un’erogazione di informazioni anticipatrice della domanda del cittadino e fortemente radicata nei social media, il cui uso è concepito non più come episodico ma come sistematico e professionale. A questo incisivo pacchetto di indicazioni di “trasparenza comunicativa”, lontanissima dai formalismi così tipici della PA, si aggiunge un forte richiamo alle media relations: “Occorre tener conto della particolare rilevanza, ai fini della promozione di un dibattito pubblico informato, delle istanze di accesso provenienti da giornalisti e organi di stampa o da organizzazioni non governative, cioè da soggetti riconducibili alla categoria dei social watchdogs”.

Siamo di fronte, come si può notare, ad una potenziale svolta sul punto nevralgico del “front office” della pubblica amministrazione, a tutt’oggi regolato da una legge di 17 anni fa, la 150/2000, nata con funzioni didattiche – “illustrare e favorire la conoscenza delle disposizioni normative, al fine di facilitarne l’applicazione” -, quando il web era ancora a livelli primordiali e nelle amministrazioni i siti erano delle vetrine statiche e in alcun modo interattive. L’impianto della 150 era peraltro sbilanciato a favore dei rapporti con la stampa rispetto a quelli con gli utenti, nonché imperniato su una rigida divisione di ruoli – Ufficio Stampa, Urp e portavoce – piuttosto irreale già all’epoca, ed oggi del tutto superata dalla necessità di un lavoro di squadra per gestire al meglio un progetto comunicativo ambizioso come quello delineato dal Foia e dalle successive linee guida e circolari applicative.

In questa prospettiva, è molto diffusa nella comunità dei comunicatori pubblici italiani la tensione verso una revisione della legge 150, una “legge 151” che realizzi una definizione organizzativa razionale ed efficiente della nuova comunicazione all’interno delle PA. Una sorta di “codice unico della comunicazione pubblica”, capace di superare la dispersione delle energie che spesso oggi caratterizza le attività all’interno delle singole amministrazioni, nelle quali le azioni comunicative sembrano rispondere, più che a disegni strategici, ad una sorta di “volontariato istituzionale”. In attesa di una auspicabile revisione normativa, il modello ottimale è quello dell’“Ufficio Comunicazione, Stampa e Servizi al Cittadino”, proposto dall’associazione #PAsocial e ora contenuto nella piattaforma della Federazione nazionale della Stampa Italiana in discussione in sede Aran, riguardo al nuovo profilo professionale del giornalista pubblico. In sintesi, una moderna organizzazione della comunicazione pubblica dovrebbe presidiare, con le necessarie professionalità, “5 desk” diversi: a) i contatti con il pubblico e, per connessione logica, la gestione dell’accesso civico (che peraltro la legge riserva anche agli Urp); b) la redazione delle notizie, il trattamento delle informazioni e i rapporti con i media; c) le analisi di citizen satisfaction in riferimento alle Carte dei servizi e la rilevazione sistematica del feedback del cittadino, nonché le azioni tese a favorire la partecipazione civica (anche attraverso consultazioni pubbliche regolate); d) le campagne di comunicazione e l’organizzazione di eventi; e) la comunicazione interna a fini di circolazione delle informazioni e team building.

Oggi il giornalista pubblico è – deve essere – il professionista che opera sulla frontiera fra PA e utenti finali; colui che fa da trait d’union con il cittadino e le imprese, per valutare, e se necessario re-indirizzare in modo condiviso la prestazione pubblica; l’account executive di una Pubblica Amministrazione che vuole produrre valore (un valore certificato dal gradimento finale). Una missione professionale che punta all’informazione di servizio come vocazione e all’accountability come esito finale. Un’erogazione di notizia che non va “al cittadino” ma è costruita “per il cittadino” e sempre più “con il cittadino”.

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