EDITORIALE

Il nuovo Governo e la PA: l’eterno cantiere della dirigenza

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Proseguiamo il nostro esame delle questioni aperte che il nuovo Governo e il nuovo ministro della Pubblica Amministrazione si troveranno sul tavolo riguardo alla qualità delle amministrazioni pubbliche e alla loro capacità di rispondere alle grandi sfide che abbiamo davanti. Con questo articolo, non senza una qualche prudenza, riprendiamo il tema della dirigenza pubblica e mettiamo in evidenza alcuni aspetti che, seppure spesso consentiti dalla normativa, non sono ancora parte dei comportamenti delle amministrazioni: dirigenza aperta, diritto di sbagliare, equilibrio tra indipendenza e incarichi fiduciari, parità di genere, formazione dei dirigenti

28 Ottobre 2022

Carlo Mochi Sismondi

Presidente FPA

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Abbiamo un nuovo Governo e un nuovo Ministro della Pubblica Amministrazione, l’on. Paolo Zangrillo, a cui facciamo un grande augurio di buon lavoro e a cui assicuriamo, come FPA-FORUM PA, di continuare il nostro ormai più che trentennale impegno per promuovere l’innovazione in amministrazioni pubbliche aperte, trasparenti, semplici, vicine ai bisogni dei cittadini, soprattutto quelli più deboli, rispettose delle diversità, orientate ai risultati piuttosto che agli adempimenti e, infine e soprattutto, attente alle persone.

È con questo spirito che proseguiamo il nostro esame delle questioni aperte che il nuovo Governo e il nuovo ministro si troveranno sul tavolo riguardo alla qualità delle amministrazioni pubbliche e alla loro capacità di rispondere alle grandi sfide che abbiamo davanti. Con questo articolo, non senza una qualche prudenza, riprendiamo il tema della dirigenza pubblica. La prudenza deriva dalla anzianità del tema, dalla sua intrinseca difficoltà se non si ha il coraggio di definirne i confini, dal fatto di essere, come si dice ora, un tema divisivo, anche perché va ad incidere profondamente nel funzionamento delle amministrazioni e perché, troppo spesso ha visto posizioni manichee.

La diciottesima legislatura, e segnatamente il governo Draghi e il Ministro Brunetta, hanno dato il via a nuove norme importanti relative all’accesso alla dirigenza. Ricordiamo la resurrezione dei concorsi per dirigenti di prima fascia, dopo un lungo periodo di sospensione, le nuove importanti linee guida della SNA per l’accesso alla dirigenza pubblica, le nuove modalità concorsuali con l’introduzione della valutazione delle capacità, attitudini e motivazioni individuali. In prima istanza direi quindi che quel che ora ci manca non siano le norme. Anzi probabilmente in questo campo, come in molti altri relativi alla vita delle amministrazioni pubbliche, non c’è bisogno di nuove leggi e ben venga la tanto nominata e mai attuata “moratoria legislativa”. Ciò detto non possiamo certo dirci soddisfatti di quel che vediamo, né soddisfatti sono i cittadini, specie i più fragili, né le imprese. Riprendiamo quindi, anche in questo campo, alcuni “fondamentali”.

Partiamo dalle cose più evidenti che non vanno. La dirigenza pubblica, dopo la mancata riforma Madia, vive oggi in una frammentazione che comporta spesso una giungla retributiva in cui molti, pur a disagio per condizioni di lavoro spesso inadeguate, tengono stretti i propri piccoli o grandi privilegi. È necessario quindi, nella prassi più che nelle norme, riportare l’equità, rispettare l’indipendenza “al solo servizio della Nazione”, esaltare il ruolo, la responsabilità, la professionalità e l’autonomia, ma rispettare anche la necessaria dimensione di rischio e di discrezionalità propria di ogni manager e la dipendenza dai risultati di outcome.  L’apertura, la permeabilità, la capacità di “governo con la rete”, la capacità empatica di relazione con le persone, la voglia di crescere e di far crescere, la spinta ad imparare continuamente, la vocazione a sperimentare e a mettersi in gioco, anche rischiando di sbagliare, la costruzione flessibile di una carriera che sia un personale e continuo progetto di crescita, la dedizione al compito di creare “valore pubblico”: queste le caratteristiche del manager pubblico che vogliamo. Per questo risultato mettiamo in evidenza alcuni aspetti che, seppure spesso consentiti dalla normativa, non sono ancora parte dei comportamenti delle amministrazioni.

  • Una dirigenza aperta: abbiamo sempre più bisogno di una dirigenza “aperta” e di favorire quindi al massimo l’osmosi della dirigenza pubblica con quella privata, non perché questa sia meglio di quella, ma perché possano contaminarsi le culture diverse e le diverse strategie di management. Deve essere promosso e ritenuto normale il passaggio dal privato al pubblico, ma anche dal pubblico al privato. Il dirigente deve accettare poi anche di essere intrinsecamente mobile, ossia di immaginare la propria carriera come un susseguirsi di esperienze diverse. La carriera diventa quindi, come per tutti i manager moderni, un progetto personale e continuo di crescita, dove le competenze acquisite e i risultati raggiunti sono le uniche garanzie.  Nulla di più lontano dalla sostanziale stanzialità del dirigente attuale che entra in un’amministrazione e spesso ci passa tutta la vita.
  • Il diritto di sbagliare: non è possibile innovare se non avendo la possibilità di percorrere strade che poi possono rivelarsi errate. Ogni innovazione è figlia di tentativi falliti. Se il manager pubblico rischia solo se sbaglia e non se non sperimenta nuove soluzioni non c’è alcuna possibilità di migliorare. Due strade possono portare a questo cambio di atteggiamento nei confronti delle sperimentazioni, necessario per rassicurare i dirigenti onesti e innovatori: dapprima è importante che gli errori siano conosciuti. Quando sento parlare tanto della diffusione delle best practice vorrei che si diffondessero anche le worst practice in modo che gli errori diventino segnali di attenzione per evitare ad altre amministrazioni e ad altri dirigenti di infilarsi in strade che non portano a nulla. Poi è importante avere la possibilità di sperimentare in deroga. È tempo di cominciare a mettere in pratica una metodologia di attuazione delle innovazioni che sia largamente sperimentale. È del tutto velleitario sperare che “tutta” la macchina amministrativa, fatta di tre milioni di addetti, si muova insieme nello stesso verso e che questo verso sia da subito quello giusto. Le sperimentazioni in deroga, possibili per il nostro ordinamento, ma pochissimo usate, possono aiutarci a tarare i provvedimenti e le metodologie per la loro attuazione. L’applicazione in questo campo del metodo c.d. “proof of concept”, usato efficacemente nella costruzione di programmi complessi, potrebbe essere una guida per individuare, sulla base di numeri, di risultati, di esperienze, una via che troppo spesso è dettata solo da intuizioni o giudizi preliminari non verificati.
  • Trovare un equilibrio tra indipendenza e incarichi fiduciari: dobbiamo partire dalla constatazione che i dirigenti non sono tutti uguali. Tutti ovviamente devono muoversi all’interno delle regole, ma c’è chi ha il compito di garantire la legittimità dei procedimenti e degli atti, chi ha compiti autorizzativi, chi di controllo e poi chi deve invece avere compiti manageriali di attuazione delle politiche. Se dobbiamo con forza rivendicare l’indipendenza degli uni, che non possono neanche essere soggetti alla “fiducia” di quella politica di cui devono controllare e giudicare la legittimità degli atti, altrettanto ha poco senso impedire alla politica di avere come manager esecutivi di vertice dirigenti che ne condividono le politiche e che sono disposti ad accollarsene i rischi. In questo momento della vita politica, in cui è attivo un ricambio dei vertici amministrativi a seguito del giuramento del nuovo Governo, ma anche sulla base della distinzione che abbiamo ricordato sopra, diventa fondamentale individuare organi di garanzia autonomi e “neutrali” responsabili di un processo continuo di “check & balance”. Tali organismi sono più che mai indispensabili all’interno di una dirigenza che rispetti la diversità di funzioni.
  • Una vera parità di genere non è più rinviabile perché non è più accettabile una situazione come quella riportata dal Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato che riporta che tra i dipendenti pubblici le donne sono il 57%, ma sono il 26% tra i dirigenti.
  • La formazione dei dirigenti è stata per troppo tempo trascurata. Se è necessaria l’attenzione alla qualità personale e professionale dei dirigenti neoassunti, altrettanto importante è una continua, efficace e competente formazione sul campo delle decine di migliaia di dirigenti attualmente in servizio. I dirigenti spesso non si formano né sono formati. Al massimo studiano le novità di una legislazione, così sovrabbondante da riempire tutto il tempo che possono dedicarle. Ma intanto il mondo corre: le tecnologie escono dal ghetto del sapere tecnico e diventano sapere strategico; la società diventa più complicata e presenta nuove emergenze e nuovi bisogni; i cittadini non sono più gli stessi e diversificano al massimo le loro esigenze; il modo di gestire le persone cambia altrettanto velocemente. Una innovativa ed efficace formazione continua, che duri per tutta la carriera professionale e spazi su tutti gli aspetti strategici, diventa quindi una condizione indispensabile per essere all’altezza delle sfide che le amministrazioni hanno davanti, ma anche per giustificare il mantenimento di una posizione che non può essere considerata raggiunta per sempre, ma che richiede, come sempre succede, di essere continuamente messa alla prova.

Nota per il lettore: alcune di queste riflessioni erano già contenute in un mio articolo di quasi tre ani fa che potete trovare qui. Da allora molte cose sono cambiate nelle norme, meno nei comportamenti perché, come diceva Giorgio Gaber “Se potessi mangiare un’idea…avrei fatto la mia rivoluzione!”

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