Il piano nazionale anticorruzione come opportunità di cambiamento della PA

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Da alcuni anni il legislatore, complice non poco la spinta sociale di indignazione dovuta a molti episodi di corruzione svelati dalla magistratura, ha posto in essere diversi interventi normativi ad ampio raggio finalizzati al contrasto del fenomeno corruttivo nel nostro paese.Il piano normativo avviato con la L. 190/2012 ha voluto leggere il fenomeno in una accezione più ampia. Il legislatore ha infatti, esteso la disciplina individuando accanto alle fattispecie penalmente punibili, tutti quei comportamenti sintomatici di una “mala amministrazione” che sono terreno fertile per il proliferare di condotte penalmente rilevanti ma, soprattutto causa di quell’idea di corruzione e malaffare della pubblica amministrazione che viene percepita dal paese.

9 Aprile 2015

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Elena Zennaro

Articolo FPA

Da alcuni anni il legislatore, complice non poco la spinta sociale di indignazione dovuta a molti episodi di corruzione svelati dalla magistratura, ha posto in essere diversi interventi normativi ad ampio raggio finalizzati al contrasto del fenomeno corruttivo nel nostro paese.

Il piano normativo avviato con la L. 190/2012 ha voluto leggere il fenomeno in una accezione più ampia. Il legislatore ha infatti, esteso la disciplina individuando accanto alle fattispecie penalmente punibili, tutti quei comportamenti sintomatici di una “mala amministrazione” che sono terreno fertile per il proliferare di condotte penalmente rilevanti ma, soprattutto causa di quell’idea di corruzione e malaffare della pubblica amministrazione che viene percepita dal paese. La norma è finalizzata a disciplinare interventi di carattere amministrativo con finalità preventiva, che si aggiungono alle fattispecie penali.

Il Piano Nazionale Anticorruzione segue per l’appunto tale direzione, detta le linee generali che le pubbliche amministrazioni devono applicare adattandole ed unendole alla loro struttura organizzativa, all’attività, alle dotazioni organiche e risorse. Utilizzando un’espressione che l’ANAC inserisce nel proprio rapporto annuale, il PNA è uno strumento “programmatico a scorrimento”, ossia uno strumento di per se in continua evoluzione, perché sottoposto annualmente ad aggiornamento, secondo quanto viene suggerito dagli indicatori posti (tra quelli indicati: la misurazione dell’efficacia delle politiche di prevenzione, la formazione, best practice, iniziative di prevenzione trasversali), allo scopo di adeguarlo agli obiettivi strategici prefissati.

Gli obiettivi principali sono tre: ridurre le opportunità di corruzione, aumentare la capacità di scoprire casi di corruzione, creare un contesto sfavorevole al suo realizzarsi. Per riuscire in questo risultato, facendo proprio l’approccio c.d.“complessivo” tenuto da altri paesi, il legislatore ha predisposto interventi su più fronti, che possono essere suddivisi in quattro grandi aree, che comprendono altrettanti interventi volti a dettare ulteriori discipline specifiche.

  • Trasparenza: strumento fondamentale per poter prevenire o evidenziare forme di illegalità nella PA. Sulla tematica il legislatore è poi intervenuto con il d. Lgs. 33/2013.
  • Pubblici dipendenti: è seguito a tal proposito il D.p.r. 62/2013 che ha introdotto il nuovo codice di comportamento per i lavoratori della pubblica amministrazione il quale individua la responsabilità disciplinare in aggiunta alle altre (civile, penale ed amministrativa) nei casi in cui il comportamento tenuto integri quanto previsto dalla norma anti corruzione. In tale area di intervento si inseriscono regole di comportamento per tutti i dipendenti pubblici, quali ad esempio la gestione dei casi di conflitto di interesse, pantouflage (riguardante i tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro).
  • Formazione: come elemento fondamentale per far entrare la cultura della legalità intesa nel senso più ampio del termine. La formazione deve avere diverse finalità in relazione a coloro a cui viene somministrata. Se da un lato dunque sarà finalizzata a formare i responsabili della prevenzione alla corruzione secondo le azioni richieste dal PNA, dall’altro avrà il compito di sensibilizzare tutti i dipendenti alla legalità, con appositi programmi ed attività.
  • Organizzazione: tutti i precedenti aspetti necessitano di una programmazione non meramente settoriale. Questo è ciò a cui si tende con il piano triennale anti corruzione richiesto a tutte le amministrazioni che, attraverso la valutazione del rischio, dovranno realizzare un programma organizzativo in grado di individuare le loro aree a rischio, oltre quelle già indicate nel P.N.A., e strutturare, attraverso processi organizzativi adeguati, l’attività e gli obiettivi con la finalità di mantenere su questi un controllo ed un monitoraggio costante, in grado di limitare o nelle migliori ipotesi escludere, fenomeni di illegalità.

Viene da se che il PTPC va legato alla programmazione dell’attività e al controllo di gestione.

Tale piano può pertanto essere visto come la naturale prosecuzione del disegno di amministrazione posto in essere dal d.lgs. 90/2010, finalizzata ad un concetto più manageriale e maggiormente organizzativa, in applicazione ai principi di efficienza, efficacia ed economicità che ora più che mai sono fondamentali.

Sembra inevitabile chiedersi a questo punto quanto nel PNA possa provocare ulteriore aumento di burocrazia, nemica della trasparenza e dell’efficienza della p.a. e come tale, foriera di possibili comportamenti di mala amministrazione o diversamente indirizzare a nuovi percorsi per la creazione di un’amministrazione efficiente e trasparente, proiettata in un’ottica di legalità.

Come per tutti gli interventi normativi l’importanza della riuscita dipende da come viene accompagnato il processo di attuazione dello stesso, ma al contempo da come viene “accolto” da coloro che ne sono diretti destinatari.

Il ruolo svolto dall’ANAC quale organo di raccordo, vigilanza e controllo, l’attenzione e la continua pressione che il legislatore fa sulle amministrazioni destinatarie, dato anche il valore che la tematica anti-corruzione riveste nell’agenda politica, sono elementi che accompagnano l’attuazione della norma e che danno un contributo alla sua applicazione.

Ma un ruolo fondamentale quale ago della bilancia lo riveste sicuramente il dipendente pubblico in qualità di destinatario di quelle condotte e responsabilità disciplinate dal testo normativo. L’approccio dei dipendenti pubblici alla normativa è infatti determinante per l’applicazione di una riforma che non si limiti ad aspetti esclusivamente burocratici normativi, ma che porti ad avviare un processo di ammodernamento della PA tale da eliminare i condizionamenti indotti da radicate condotte di mala amministrazione, e di supportare il mutamento verso un approccio dinamico e trasparente.

Tuttavia, affinché quanto previsto dalla norma possa trovare terreno fertile e non ostile, è fondamentale l’atteggiamento aperto e propositivo agli obiettivi posti dalla norma e, date le diverse caratteristiche dei dipendenti pubblici, l’attività di formazione ad hoc diviene importante strumento al fine di trasmettere un messaggio costruttivo e partecipativo alla riforma in atto.

Tra gli elementi di spinta verso questo approccio “propositivo” può avere importanza lo strumento del whistleblowing finalizzato a denunciare non solo comportamenti che rientrano in fattispecie di reato ma anche forme di strumentalizzazione della pubblica amministrazione per scopi privati. Utilizzando questo strumento chiunque viene responsabilizzato ad osservare e denunciare comportamenti che fino ad ora spesso venivano tollerati, o sui quali “non era opportuno” o “conveniente” interferire.

In questi giorni sono oggetto di consultazione da parte dell’ANAC le linee guida dettate al fine di impostare le modalità e la gestione delle segnalazioni, attraverso il supporto di strumenti e procedure informatizzate, per garantire la tutela della identità dei segnalanti. L’apertura a coloro che saranno i diretti interessati e destinatari a partecipare alla consultazione pubblica è un forte segnale per un processo di coinvolgimento ad una partecipazione congiunta per la riuscita della normativa.

Cercando di dare una risposta alla domanda che ci siamo posti potremmo affermare che se da un lato il dettato normativo, per gli strumenti individuati e l’approccio ad ampio raggio che ha previsto, nonché per lo spazio di libera organizzazione che lascia alle amministrazioni, può essere ritenuto uno strumento valido per dare avvio a nuovi meccanismi di organizzazione e di gestione della PA, molto dipende da come viene utilizzato lo strumento. Il ruolo dei dipendenti nel supportare la spinta alle modifiche è fondamentale, perché la resistenza non riesca a far ricadere in mere procedure burocratiche, mai comprese o peggio subite, strumenti anche piccoli di cambiamento. La più ampia risonanza e conoscenza del PNA e degli strumenti a disposizione, può avere l’effetto di aiutare il lento processo di adattamento della PA alle esigenze e bisogni della società odierna.

 

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