Innovazione in tempo di crisi
La prossima giornata nazionale dell’innovazione del 9 giugno può essere una buona occasione per ripensare a come promuovere innovazione nel Paese in questo tempo di crisi.
Vedo infatti molti problemi, molti rischi e, in fondo in fondo, anche qualche opportunità.
8 Giugno 2009
Carlo Mochi Sismondi
La prossima giornata nazionale dell’innovazione del 9 giugno può essere una buona occasione per ripensare a come promuovere innovazione nel Paese in questo tempo di crisi.
Vedo, infatti, molti problemi, molti rischi e, in fondo in fondo, anche qualche opportunità.
Partiamo dai problemi: a mio parere il più grave è una irrisolta questione di governance. Chi ha in carico l’innovazione e la ricerca (binomio inscindibile a meno di non fare pasticci) in Italia? Almeno tre ministri (Sviluppo economico; Istruzione, Università e Ricerca; PA e innovazione) a cui si aggiunge un’agenzia che ancora deve cominciare a farsi sentire, un sistema di Enti pubblici di Ricerca piuttosto “articolato” per usare un eufemismo (con 12 enti vigilati direttamente dal MIUR, un’altra ventina di Enti pubblici di ricerca diversi, un numero imprecisato di enti di ricerca regionali e territoriali), il sistema delle Università, la ricerca direttamente dipendente dal Ministero dello Sviluppo economico e quella dipendente o vigilata da altri Ministeri, una ricerca privata incentivata in misura molto difforme da zona a zona e da comparto a comparto.
E’ necessario che in un Paese che si appresta ad essere sempre più federale si trovi il modo di istituire tavoli stabili di confronto e di co-progettazione altrimenti il rischio che ognuno vada per la sua strada è inevitabile.
Il secondo problema è dato dall’illusione che in tempo di crisi ci sia altro cui badare che non spendere soldi per la ricerca e l’innovazione. Già molti fondi che erano a tal fine destinati stanno deviando verso il sostegno alle imprese inteso come facilitazione per l’accesso al credito e come strumenti di sostegno straordinario. Certo se la casa brucia per prima cosa cerchiamo di spegnere il fuoco, ma attenzione a non buttare combustibile, invece che usare un estintore. Depotenziare la ricerca e l’innovazione non può che voler dire infatti aver più crisi domani, avere un Paese meno competitivo, avere imprese meno agguerrite sui mercati internazionali.
Il terzo problema che vedo è dato dal rischio di una scarsa reattività alla pur prevista e certa fine dei fondi strutturali europei, almeno come ora li conosciamo. Di fronte ad una programmazione 2007-2013 che sarà l’ultima due sono le storture: da una parte non riusciamo, a metà del 2009 (!) a farla partire effettivamente, dall’altra ci comportiamo come se dovesse succedergli un’altra programmazione settennale uguale. Peccato che non ci sarà!
E le opportunità? Sono date dalle potenzialità dei nostri giovani, dalla ricchezza di innovazione di molte piccole imprese, dalle energie vitali presenti in molti territori che pure stentano a fare sistema.
Nel convegno del 9 giugno partiremo da lì, con la speranza di dare inizio ad un percorso virtuoso.