EDITORIALE

La crisi. E poi?

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Negli ultimi trentatré anni, dal primo FORUM PA del 1990 a oggi, le crisi che ho visto sono arrivate a diciassette su ventuno Governi che si sono succeduti, ma ancora non mi ci sono abituato. Né rassegnato. E questa volta è anche peggio. Non è necessario che elenchi tutte le emergenze con cui dobbiamo lottare in questi giorni per cui l’ultima cosa che ci sarebbe voluta è uno stop. Ne cito soltanto due: la crescita esponenziale delle disuguaglianze e la lotta al cambiamento climatico. E la PA, in tutto questo? In un momento di così estrema confusione, l’amministrazione deve dimostrare la propria capacità di esercitare un’autonomia responsabile, evitando la paralisi e la scelta di “non fare”, solo per comodità, anche quanto sarebbe possibile

21 Luglio 2022

Carlo Mochi Sismondi

Presidente FPA

Era circa dieci anni fa quando scrivevo che “Oltre l’ottimismo della volontà ci vuole anche una grande pazienza per ripartire di nuovo a confrontarci con una crisi di Governo. In ventitré anni di FORUM PA di Governi ne ho visti nascere e spegnersi quindici, pochissimi di morte naturale alla fine di una legislatura, quasi tutti soppressi per l’affollarsi di contrastanti e provvisoriamente urgenti interessi. Ad ogni crisi il rimpianto per le cose non fatte si confonde con una tenace speranza…”.

Ora ci risiamo, di nuovo la crisi. In questi trentatré anni le crisi e le morti premature che ho visto sono arrivate a diciassette, su ventuno Governi che si sono succeduti dal primo FORUM PA del 1990 a oggi, ma ancora non mi ci sono abituato. Né rassegnato. E questa volta è anche peggio.

Nessun Governo è perfetto e neanche questo lo era, ma certamente non è necessario che io mi metta ad elencare le emergenze con cui dobbiamo lottare in questi giorni per cui l’ultima cosa che ci sarebbe voluta è uno stop. I giornali di oggi, e ancor più lo saranno quelli di domani, sono pieni di adempimenti che rischiamo di mancare, di opportunità che perderemo, di provvedimenti che tornano al via, in un triste Monopoli in cui prendiamo sempre la carta sbagliata. Dal mio osservatorio, certamente parziale, mi permetto solo di sottolineare quanto sarebbe pericoloso sottovalutare le due grandi emergenze che rischiano, specie ora in una vacatio di agibilità politica, di portare il Paese a vivere drammi che mai avremmo immaginato.

La prima emergenza, la più immediatamente destabilizzante, è la crescita esponenziale delle disuguaglianze. L’inflazione, la crisi economica come la pandemica e la crisi energetica non picchiano egualmente su tutti, ma anzi, come gli acuti articoli dell’amica Linda Laura Sabbadini ci insegnano, colpiscono maggiormente i fragili, i più poveri, le donne, le prospettive dei giovani, le aree marginalizzate. Forse non si stava facendo abbastanza in questo campo, ma interventi di sistema che erano nel programma del Governo Draghi (penso ai progetti per l’occupabilità dei lavoratori, per la creazione di servizi di base come gli asili nido e le scuole materne, per l’assistenza degli anziani, ecc.) possono dare risultati solo se sono tempestivi e coraggiosi. In questo campo quella che era ancora deficitaria era la capacità di ascolto delle comunità locali, lo sforzo della coprogettazione degli interventi e per la partecipazione. Ma come faremo ora che una parte, quella palazzochigicentrica, ridurrà necessariamente la propria flessibilità e quindi la propria possibilità di adattare i programmi alla realtà vissuta dei territori? Con chi parleranno i sindaci nei lunghi mesi che ci separano ahimè da un Governo nel pieno dei suoi poteri?

La seconda emergenza la stiamo vivendo tutti sulla nostra pelle sudata: il cambiamento climatico, che già lo scorso anno era costato oltre 250 miliardi di dollari solo per gli eventi estremi (stima EmDat per il 2021), quest’anno si presenta con un aspetto ancor più severo, battendo tutti i record nelle ondate di calore, a cui faranno certamente seguito eventi potenzialmente catastrofici, scatenati dall’enorme energia atmosferica che queste comportano. Anche qui certamente il Governo Draghi poteva fare di più, ma finalmente avevamo un programma lungimirante di “infrastrutture sostenibili” messo a punto da uno dei ministri che più mi dispiace di perdere perché, pur non essendo un politico (o forse proprio per quello), ha sempre in mente una visione del Paese non per i prossimi dieci giorni, ma per i prossimi dieci anni. Parlo di Enrico Giovannini, naturalmente.

Ma le politiche per mitigare gli effetti di queste emergenze sarebbero impossibili senza un’amministrazione pubblica profondamente rinnovata. Ed è qui il terzo grave rimpianto. La strada intrapresa dal Governo Draghi e dal Ministro Brunetta era corretta. Le quattro azioni per il reclutamento, la semplificazione, la formazione e la digitalizzazione sono del tutto condivisibili. Anche qui si poteva e si può forse fare di più, ma la direzione era quella giusta ed era giusto lo spirito di urgenza democratica che ho letto dietro alle norme. Ancora in parte carente anche qui appariva la partecipazione, l’accompagnamento delle amministrazioni sul territorio, l’effettivo cambiamento di importanti prassi che le norme non bastano a smantellare, come ad esempio la qualità delle commissioni di concorso e delle relative prove, ma, ripeto, eravamo sulla buona strada. Pensare che un nuovo Governo e un nuovo ministro ricomincino da capo, tenendo in poco conto quanto fatto dal predecessore, come purtroppo è accaduto quasi sempre con un cambio di Governo, mi spaventa moltissimo.

Infine, il digitale. Su questo non c’è bisogno che elenchi quel che c’è ancora da fare. L’ottimo articolo del mio collega Andrea Baldassarre, a cui vi rimando, lo fa egregiamente. Ricordo solo che sono oltre 40 gli investimenti previsti per la digitalizzazione della PA per oltre 6.8 miliardi di euro tra fondi europei e fondo complementare italiano. Tra questi quello che mi sta particolarmente a cuore riguarda le politiche per le competenze digitali di cittadini, lavoratori, studenti nell’ambito della strategia nazionale per le competenze digitali. Non può esistere una PA digitale né servizi digitali avanzati a fronte di cittadini che non abbiano gli strumenti di base per la cittadinanza digitale, che non è un’altra categoria di diritti, ma è il moderno accesso alla libertà positiva che permette a ciascuno di noi di realizzare a pieno i propri fini. Anche qui tremo al pensiero che un nuovo Governo, come ho visto troppe volte, possa ricominciare da capo, ridiscutere ancora sulla stessa presenza di un ministro dedicato, rivedere obiettivi e strumenti. Non ce lo possiamo permettere in nessun campo, ma qui, dove tutti i Paesi europei corrono, e dove noi non siamo certo nella pattuglia di testa, sarebbe addirittura disastroso.

Oggi non riesco a finire con una nota di ottimismo, ma finirò con una raccomandazione ai miei amici e colleghi che ogni giorno fanno funzionare le amministrazioni. Anche qui mi affido all’incipit di un articolo che scrissi qualche crisi fa:

Cari burocrati, in questo momento di confusione della politica attenti alla paralisi isterica.
I vostri muscoli hanno un buon tono, ma potreste rischiare una “frattura della possibilità del fare” se attribuiste troppo peso alla temporanea assenza della politica: molto, moltissimo potete, anzi dovete fare da soli.

L’amministrazione, qui e ora, deve dimostrare la propria capacità di esercitare un’autonomia responsabile. Ricordiamoci: si può fare tutto quello che non è esplicitamente proibito e il non fare appare a volte più comodo, ma non è quello che dalla PA si aspettano i cittadini e le imprese.

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