La cultura dell’openness per una PA che si rinnova

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È evidente che non possiamo rimanere fermi a guardare. La crisi che attanaglia la nostra come le principali economie mondiali si riflette sulla pubblica amministrazione che si trova ogni giorno a dover dare di più spendendo di meno. Ne abbiamo già parlato in diverse occasioni e l’ultima edizione di FORUM PA è stata l’opportunità per ospitare riflessioni e approfondimenti sull’attuale situazione e, soprattutto, su quali potrebbero essere i nuovi modelli operativi e gli strumenti in grado di dare nuova forma ed efficienza a una pubblica amministrazione in cerca di ruolo .

13 Luglio 2011

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Gianni Dominici

È evidente che non possiamo rimanere fermi a guardare. La crisi che attanaglia la nostra come le principali economie mondiali si riflette sulla pubblica amministrazione che si trova ogni giorno a dover dare di più spendendo di meno. Ne abbiamo già parlato in diverse occasioni e l’ultima edizione di FORUM PA è stata l’opportunità per ospitare riflessioni e approfondimenti sull’attuale situazione e, soprattutto, su quali potrebbero essere i nuovi modelli operativi e gli strumenti in grado di dare nuova forma ed efficienza a una pubblica amministrazione in cerca di ruolo .

Non possiamo rimanere fermi pensando che superata la crisi tutto ricomincerà come prima. Gli ultimi anni hanno dimostrato che in crisi non sono solo i mercati ma anche i modelli operativi con cui fino ad oggi abbiamo gestito lo sviluppo e governato il territorio. Su queste pagine abbiamo in più momenti messo in evidenza programmi e politiche che in altri paesi sono stati avviati nel tentativo di sperimentare nuovi modelli di sviluppo.

È il caso della Big Society  portata avanti dal governo inglese di Cameron e così descritta da Nat Wei, Consulente capo del Governo di Cameron sul programma Big Society.: “una partnership che coinvolge il settore pubblico, il settore  privato e quello sociale centrata sui bisogni dei cittadini e delle comunità e non su quelli del governo". Il punto è “costruire una società in cui sia assicurata una migliore qualità della vita, a partire dalla convinzione che spesso le persone sono capaci di risolvere i problemi che hanno a cuore, se (e sottolinea se) gli si fornisce il giusto supporto”. 

Un approccio simile a quello portato avanti da Goldsmith con il suo “Governo della Rete” tema che ha dato il titolo all’ultima edizione di FORUM PA e ben interpretato da Mauro Bonaretti in una lectio magistralis che abbiamo trascritto e pubblicato per le nostre edizioni. Riflettendo sul nuovo ruolo dei Comuni nel governare il territorio, Bonaretti scrive: “Il Comune diviene il centro del governo di una rete di attori che, complessivamente e in modo concertato, si assumono collettivamente la responsabilità di realizzare un progetto strategico complessivo di territorio al di là degli specifici ruoli e interessi individuali. Così, se al pubblico viene chiesto di impegnarsi nello sviluppo economico, al di là delle proprie ristrette competenze amministrative, così agli altri attori viene chiesta l’assunzione di nuove responsabilità, rispetto all’equilibrio del sistema sociale e alla sostenibilità ambientale nel lungo periodo. Alle imprese viene chiesto di contribuire alla sostenibilità o al welfare locale, ad esempio attivando convenzioni con gli asili o le case protette per i familiari dei propri dipendenti oppure partecipando concretamente all’integrazione dei propri lavoratori stranieri. Nuovi progetti di welfare aziendale, integrati con le politiche locali, prendono il posto dei vecchi benefit o delle pratiche filantropiche. Così, nello stesso modo, le azioni dei soggetti del terzo settore escono dall’estemporaneità individuale e si connettono entro visioni condivise di benessere collettivo”.

Per ultime, le iniziative legate al tema dell’innovazione sociale a cui abbiamo dedicato sul nostro sito uno speciale dossier continuamente aggiornato, raccogliendo materiali ed interviste su questo tema emergente. In un’intervista Andrea Bassicosì descrive questo approccio: “ Nel termine di innovazione sociale rientrerebbero nuovi modelli e pratiche di realizzazione di politiche pubbliche che vedono la compartecipazione delle persone che sono, poi, i soggetti oggetto delle politiche medesime. Il risultato principale di questa "applicazione" è la creazione di network che rimangono dopo (e a prescindere dal fatto) che i risultati di progetto siano stati del tutto o in parte raggiunti. Parlo, quindi, di reti durature e stabili sui territori.“

Tre approcci formalmente diversi, ma che condividono dimensioni e obiettivi per sostenere e sperimentare nuovi modelli e pratiche di governo pubblico. Tutti e tre gli approcci hanno in comune, infatti:

  • La centralità per il capitale sociale e dei beni relazionali:
  • La partecipazione civica nella creazione di valore pubblico;
  • L’attenzione per i beni comuni;
  • La centralità delle reti sociali.

L’importanza che è data a queste dimensioni presuppone l’acquisizione di una nuova centralità della pubblica amministrazione finalizzata a:

  • Svolgere un ruolo attivo nella gestione della governance locale. Il coinvolgimento dei cittadini, delle imprese, delle associazioni nella gestione dei beni comuni presuppone un ruolo di guida e di governo dei diversi attori coinvolti;
  • Favorire e sostenere i fenomeni emergenti valorizzando le proposte che vengono dal basso e le iniziative spontanee. Un esempio è proprio la recente iniziativa lanciata da Goldsmith nella città di New York
  • Facilitare l’empowerment di cittadini e comunità tramite programmi di formazione, la creazione di figure di
  • Investire in formazione interna così da adeguare le competenze di chi all’interno della pubblica amministrazione si trova ad affrontare nuove sfide per sostenere il passaggio da una organizzazione basata sulle procedure ad una organizzata per obiettivi. Come scrive Eggers si tratta di effettuare la transizione da "rematori" a "timonieri".

Una centralità che la PA può acquisire anche grazie ad un accurato uso delle nuove tecnologie che facilitano la messa in comune di risorse fisiche e competenze quali l’open source, l’open data e il cloud computing [a tale proposito segnaliamo gli atti del convegno conclusivo di FORUM PA 2011 in cui si è parlato proprio di questo].

Nel caso più recente del Cloud Computing non a caso gran parte dei governi dei principali paesi occidentali ha avviato iniziative relative all’adozione di questo approccio in ambito governativo, il cosiddetto G-Cloud.
Uno dei primi paesi a muoversi è stato il Canada con il suo “Cloud Computing and the Canadian Environment” presentato nel 2009. A seguire il noto documento di Vivek Kundra, Federal Chief Information Officer del governo degli Stati Uniti “State of Public Sector Cloud Computing”. Molto interessante, ancora, l’iniziativa portata avanti nel Regno Unito sintetizzata nel documento “Government Cloud Programme”, così come le iniziative dei governi australiano, danese e giapponese.

In tutti questi casi, le tecnologie vengono utilizzate per accelerare dei processi di cambiamento i cui obiettivi comuni a tutte le iniziative sono:

  • ridurre i costi di esercizio della macchina pubblica;
  • migliorare i servizi pubblici esistenti e introdurre di nuovi;
  • razionalizzare le risorse esistenti;
  • sostenere la crescita economica e la creazione di posti di lavoro;
  • ridurre l’inquinamento.

In Italia, purtroppo, ancora niente e alla crisi, particolarmente minacciosa in questi ultimi giorni, si risponde con tagli lineari che paralizzano l’attività pubblica. Per eliminare gli sprechi, dimostrano gli altri paesi, non è necessario o comunque sufficiente tagliare le spese ma è indispensabile investire in innovazione, intesa nel senso più ampio dal punto di vista culturale, organizzativo e tecnologico. Modelli e strumenti ci sono, si tratta “semplicemente” di farli propri. 

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