La PA produttrice di positive news? Proviamoci!

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Per chi lavora nel settore pubblico, trasformare un contenuto positivo in
qualcosa di rilevante per l’opinione pubblica è una sfida quotidiana. L’obiettivo di medio-lungo termine che ogni amministrazione dovrebbe darsi è sviluppare al proprio interno la capacità di raccontare e di raccontarsi in maniera positiva. Ecco qualche riflessione su come cominciare.

11 Dicembre 2015

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Pierluigi De Rosa*

Leonardo, 732 grammi alla nascita, deve la vita ai medici e agli operatori del Reparto neonatologia e terapia intensiva dell’Ospedale Civile di Brescia; Davide, sovrintendente di polizia della questura di Belluno, ha salvato la vita a una ragazza che si era gettata nelle acque del lago del Mis; a Castelvetrano, in provincia di Trapani, nei terreni confiscati alla mafia è nata una orto-fattoria gestita da disabili; il Comune di Castel San Pietro, 20mila abitanti in provincia di Bologna, ha raccolto dalla collaborazione con l’Agenzia delle Entrate oltre un milione di euro in tre anni, destinandoli al finanziamento di spese straordinarie, ta cui una nuova sala studio nella bibiloteca comunale e il completamento della tribuna nel campo sportivo di Osteria Grande.

Cosa hanno in comune queste quattro storie? Sono evidentemente storie positive, provengono da diversi settori della Pubblica amministrazione e soprattutto sono diventate “notizie”. Per chi si occupa di comunicazione pubblica e in generale per chi lavora nel settore pubblico, trasformare un contenuto positivo in una notizia, vale a dire in qualcosa che può essere rilevante non solo per i diretti interessati (la famiglia di Leonardo, il poliziotto e la ragazza, l’associazione disabili e i cittadini di Castel San Pietro) è una sfida quotidiana. Diversamente da quanto avviene per le bad news, non sempre una buona pratica della PA diventa un contenuto notiziabile, e ancora più raramente diventa “virale”. Ecco, una buona prassi della Pubblica amministrazione che sia anche virale, è ancora oggi per molti operatori pubblici una chimera; conquistare in pochi mesi 6 milioni di visualizzazioni e oltre 800mila condivisioni, come ha fatto un giovane blogger diffondendo notizie false, a sfondo razzista, come racconta Maurizio Di Fazio in un articolo de l’Espresso di qualche settimana fa, rappresenta un livello di engagement impensabile per un sito istituzionale.

Come riuscire a invertire la tendenza? Per cominiciare, bisogna abbandonare le tentazioni miracolistiche: i social media non possono essere la soluzione, al limite uno strumento. Né si possono attribuire le responsabilità del racconto, prevalentemente negativo, della Pubblica amministrazione esclusivamente agli operatori dell’informazione o agli algoritmi che sembrano governare i flussi comunicativi nel web 2.0. Come sempre, occorrerebbe partire dalle fondamenta, dalla qualità del prodotto/servizio offerto al cittadino, dallo sviluppo professionale degli operatori pubblici, da una migliore conoscenza delle esigenze e delle aspettative del cittadino. Tuttavia, quando anche vi sono buone prassi o enti virtuosi, spesso queste restano confinate nel ristretto ambito degli addetti ai lavori, non arrivano al grande pubblico dei media tradizionali né ai pubblici delle community.

Come usare dunque la leva comunicativa per valorizzare le buone prassi della PA? L’obiettivo di medio-lungo termine è sviluppare nella PA la capacità di raccontare e di raccontarsi in maniera positiva. Il raccontarsi allude al primo, ineludibile passo di questa nuova narrazione del settore pubblico: la necessità di partire dall’interno, di rafforzare nei dipendenti pubblici il senso di appartenenza e il commitment. Sicuramente il percorso non è privo di ostacoli, ma il punto di arrivo dovrebbe essere quello di coinvolgere i dipendenti come brand ambassadors, facendone i primi “testimonial” dell’organizzazione. Ancora, vi sono condizioni preliminari che andrebbero soddisfatte per costruire le basi di un nuovo racconto: ad esempio, nei singoli enti, una gestione strategica della propria identità (anche digitale) e della reputazione, l’istituzione di uffici di ricerca sociale/marketing per garantire una adeguata profilazione dei target, l’acquisizione o lo sviluppo di competenze tecniche necessarie a costruire prodotti audio-video innovativi, in generale una sensibilità comunicativa in grado di valorizzare i plus dell’organizzazione e delle sue persone.

Poste queste premesse, possiamo individuare almeno tre ambiti di intervento per costruire un racconto positivo dell’organizzazione pubblica attraverso la funzione di comunicazione istituzionale.

a) Personalizzare la relazione. Nei limiti delle possibilità, il rapporto con il pubblico nei diversi touch point (front office, sito internet, call center, ecc.) dovrebbe essere concepito non come un contatto “apri e chiudi” ma come una leva strategica per costruire relazioni di lungo periodo. In questo ambito, la funzione di comunicazione può dare un apporto significativo nel capitalizzare l’imponente mole di contatti che un ente pubblico gestisce quotidianamente con i propri pubblici di riferimento, attraverso la costruzione di data-base, la creazione di mailing list e il coinvolgimento nelle proprie piattaforme social . In qualche caso, specie quando la reputazione dell’ente è debole, può essere opportuno accompagnare questo processo con iniziative di comunicazione below the line, creando occasioni di contatto faccia a faccia con la propria utenza, in aggiunta ai tradizionali punti di erogazione dei servizi. Un importante contributo alla costruzione di una relazione forte con gli utenti passa anche attraverso una maggiore accessibilità ai testi della PA: da qui, l’esigenza di ispirare i testi pubblici alla chiarezza e alla comprensibilità, ma anche alle nuove modalità di fruizione, basate sempre di più sui dispositivi mobili.

b) Potenziare l’accountability. È questo il tema che forse più di tutti incide sulla relazione fiduciaria tra cittadino e Stato: la necessità di dar conto dell’azione pubblica, di spiegare la missione istituzionale e di condividerla con tutti gli stakeholder. In una parola, rispondere a chi chiede “che fine fanno i miei soldi?”. Se nella fiscalità generale questo tentativo appare ancora lontano dal tradursi in forme comunicative immediate, nella gestione dei tributi locali e regionali la relativa brevità della filiera può facilitare l’adozione di forme di accountability efficaci. Da questo punto di vista, non solo il bilancio sociale ma anche i report periodici, i book illustrativi e le applicazioni all’ambito pubblico del data-journalism, possono fornire un contributo determinante. Le piattaforme Open Civitas, OpenBilanci e soldipubblici.gov.it offrono un primo banco di prova.

c) Rinegoziare i criteri di notiziabilità. Una terza macro-area di intervento consiste nella creazione o nello sviluppo di un sistema di notiziabilità interno all’organizzazione pubblica. In altri termini, occorre allenare gli operatori pubblici e in particolare i comunicatori a individuare – e quindi valorizzare in modo adeguato – le buone pratiche, il lavoro quotidiano delle istituzioni e delle loro persone, l’impatto sociale sulle comunità di riferimento, l’uso efficiente delle risorse pubbliche, il valore aggiunto creato dall’amministrazione pubblica. Ci sono moltissime storie positive, simili a quelle riportate in apertura, che restano inespresse, incomunicate, talvolta perché non rispondenti ai criteri di notiziabilità tradizionali (Indro Montanelli ricordava a questo riguardo come un “Un professore non dovrebbe costituire una notizia, se si presenta regolarmente in classe; se fugge a Las Vegas con la bidella, lo diventa”), talvolta perché mai trasformate in contenuti notiziabili. Anche in questo caso non esistono bacchette magiche, ma possibili ipotesi di lavoro. Una delle più proficue è quella delle positive news, fenomeno emergente nel panorama giornalistico internazionale, da qualche mese approdato anche in Italia: sono le buone notizie, le risposte ai problemi sociali, le soluzioni adottate, le buone pratiche, la capacità delle comunità di fare fronte alle crisi. Il Corriere della Sera e il Tg2, solo per citare due tra le testate giornalistiche più note, hanno riservato a questi contenuti una specifica rubrica, in cui tuttavia non compaiono le “buone notizie” dalla PA . Il prossimo passo potrebbe essere quello di riuscire a convogliare i contenuti positivi delle amministrazioni pubbliche nel racconto dei vecchi e nuovi media, attraverso report periodici sulle positive news da parte di ciascun ente, posizionamento delle stesse nei canali tradizionali e social, ricorso sistematico agli strumenti di storytelling, focalizzazione sulle storie. Si tratta, evidemente, solo di alcuni spunti che dovranno essere calibrati e sviluppati negli specifici ambiti di intervento del settore pubblico.

*Pierluigi De Rosa http://www.slideshare.net/pigius
Le opinioni espresse appartengono al solo autore e non impegnano l’amministrazione di appartenenza

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