La riforma Brunetta e le persone
Una delle critiche che è più frequente sentire contro la riforma della PA introdotta dal decreto legislativo 150/09 è che è fatta “contro” i dipendenti pubblici. Se dovessi esprimermi su questa opinione diffusa, che pecca comunque di eccessiva semplificazione, me la caverei salomonicamente dicendo che “dipende da come è attuata”.
19 Aprile 2011
Carlo Mochi Sismondi
Una delle critiche che è più frequente sentire contro la riforma della PA introdotta dal decreto legislativo 150/09 è che è fatta “contro” i dipendenti pubblici. Se dovessi esprimermi su questa opinione diffusa, che pecca comunque di eccessiva semplificazione, me la caverei salomonicamente dicendo che “dipende da come è attuata”.
Se il ciclo della performance, il piano della valutazione, le progressioni di carriera basate sulle competenze, l’attribuzione degli incarichi e delle responsabilità basate su una professionalità sviluppata e attestata dal sistema di misurazione e di valutazione non sono solo parole e nuovi adempimenti burocratici, ma informano tutta l’attività dell’amministrazione, allora possiamo dire che la riforma è non contro, ma a favore del merito e quindi a favore delle persone.
Non è certo obiettivo di questo breve editoriale riesaminare il corpus legislativo che viene dalla legge delega 15 del 2009, ma sono partito dall’attenzione alle persone perché è questo il punto di vista che vogliamo usare per discutere della riforma a FORUM PA 2011 (dal 9 al 12 maggio all Nuova Fiera di Roma): è il punto di vista dello sviluppo dei talenti, del riconoscimento del merito, della crescita professionale.
Una riforma, infatti, che non servisse a far crescere competenze, professionalità e persone sarebbe una riforma di carta e quindi, questa volta sì, intrinsecamente “contro” i lavoratori pubblici.
Il filo del ragionamento si dipana quindi intorno a tre poli principali: lo sviluppo delle persone, la contrattazione e la dirigenza.
Il tema dello sviluppo delle persone nella PA soffre secondo me di due luoghi comuni: il primo è che non si possono sviluppare le risorse umane se non con incentivi economici. È un pregiudizio sbagliato sia nella teoria, sia nell’evidenza di tutte le ricerche effettuate sul campo. Il riconoscimento, che sta alla base dello sviluppo, dipende anche da altri importanti fattori: clima aziendale, possibilità effettiva di imparare on the job, fiducia che la progressione di carriera dipende dal merito e non dalle appartenenze.
Se noi leggiamo la lettera della legge ci sentiamo rassicurati. L’articolo 25 della legge di riforma (d.lgs. 150/09) scrive infatti:
1. Le amministrazioni pubbliche favoriscono la crescita professionale e la responsabilizzazione dei dipendenti pubblici ai fini del continuo miglioramento dei processi e dei servizi offerti.
2. La professionalità sviluppata e attestata dal sistema di misurazione e valutazione costituisce criterio per l’assegnazione di incarichi e responsabilità secondo criteri oggettivi e pubblici.
Se invece guardiamo la pratica della gestione delle risorse umane nelle amministrazioni, soprattutto quelle centrali, lo siamo un po’ meno…
Di questo si parla a FORUM PA 2011 in un convegno diretto dal Capo Dipartimento della Funzione Pubblica che, tra l’altro, presenta due rapporti: uno da parte della Prof.ssa Del Boca che fa il punto sulla lotta all’assenteismo, l’altro di PromoPA sulla visione che della amministrazione ha la dirigenza.
Il tema della dirigenza è visto da un’ottica originale che con uno slogan potremmo dire impedisce “di far senatore un cavallo”. Si parla delle figure apicali, di cerniera tra politica ed amministrazione, che sono quasi sempre scelte con incarico fiduciario. Come certificarne l’effettiva competenza? Come accompagnarne il percorso? Come garantire la necessaria libertà di scelta della politica con la garanzia per il cittadino che l’ente (pensiamo ai city manager) non sia diretto da un incompetente, magari cugino dell’assessore di turno?
Su questo dilemma ha lavorato l’Associazione dei Direttori Generali degli Enti Locali (Andigel), facendosi aiutare dalla prestigiosa Fondazione Alma Mater dell’Università di Bologna e da FORUM PA. Ne è venuto fuori un modello, anch’esso presentato a FORUM PA 2011 che, proprio per sottolineare la funzione di permettere l’accesso alle posizioni, lo sviluppo delle professionalità e delle competenze, la valutazione indipendente dei profili e delle performance è stato chiamato “Movimentitaly”. Insomma l’immagine di un’ Italia in movimento, un po’ meno bloccata nella crescita delle professionalità apicali.
Infine uno spazio importante è dedicato al tema della contrattazione: forse il più spinoso di quelli trattati dalla riforma, anche a seguito degli effetti combinati del d.lgs 78/10 che impedisce qualsiasi incremento retributivo e della recente intesa sindacale del 4 febbraio 2011 che rende impossibile qualsiasi riduzione salariale a seguito dell’applicazione della riforma. Siamo quindi in una situazione in stallo: non un soldo in più, non un soldo in meno. A meno di non provare a far materializzare quella idea per ora impalpabile del “dividendo dell’efficienza”.
Su questo tema il Commissario straordinario dell’ARAN, Antonio Naddeo, dirige un appuntamento dedicato al nuovo modello contrattuale, che tante polemiche ha suscitato anche per la mancata firma da parte della CGIL, e ai suoi rapporti con l’impianto complessivo della riforma. Un altro incontro è sulla contrattazione integrativa, sempre più importante nel nuovo assetto delle relazioni sindacali.
Un FORUM PA quindi fortemente centrato sulle persone, come è giusto per un’edizione che ha come tema conduttore la rete. La metafora della rete descrive infatti una società aperta e trasversale, ricca di beni relazionali come contesto necessario per una migliore qualità della vita e un più diffuso benessere. La metafora della rete vede nella rinnovata e più forte connessione tra cittadini, società civile, forze economiche e sociali la condizione imprescindibile per una ripresa stabile per il Paese.