Le sirene di Facebook e l’idea dell’amministrazione
Qualche giorno fa un autorevole gruppo di consiglieri regionali lombardi della Lega Nord, tra cui Bossi (Renzo) e Bossetti (Cesare), ha presentato un’interrogazione scritta all’Assessore competente per chiedere che venga impedito a tutti i dipendenti della regione l’uso di facebook e dei social network. In sé non sarebbe una notizia e al massimo potrebbe far scuotere la testa l’ignoranza profonda che l’interrogazione rivela, lì dove mischia i social network con la pirateria, “emule” e “altri generi di software per il peer 2 peer”; potrebbe poi strapparci un sorriso l’evocata potenza ammaliatrice delle nuove sirene, quando si lamenta che “molti dipendenti non riescono a resistere alla tentazione di collegarsi ai social network del momento, Facebook e Twitter”. Purtroppo la cosa è più seria ed è per questo, non tanto per prendere in giro il folklore politico di certi consiglieri, che vale la pena di parlarne.
7 Marzo 2012
Carlo Mochi Sismondi
Qualche giorno fa un autorevole gruppo di consiglieri regionali lombardi della Lega Nord, tra cui Bossi (Renzo) e Bossetti (Cesare), ha presentato un’interrogazione scritta all’Assessore competente per chiedere che venga impedito a tutti i dipendenti della regione l’uso di facebook e dei social network. In sé non sarebbe una notizia e al massimo potrebbe far scuotere la testa l’ignoranza profonda che l’interrogazione rivela, lì dove mischia i social network con la pirateria, “emule” e “altri generi di software per il peer 2 peer”; potrebbe poi strapparci un sorriso l’evocata potenza ammaliatrice delle nuove sirene, quando si lamenta che “molti dipendenti non riescono a resistere alla tentazione di collegarsi ai social network del momento, Facebook e Twitter”. Purtroppo la cosa è più seria ed è per questo, non tanto per prendere in giro il folklore politico di certi consiglieri, che vale la pena di parlarne.
Episodi come questo nascondono infatti un’idea di amministrazione di stampo “fordista” che decenni di riforme, di leggi, di proclami e di studi non sono riusciti ancora a debellare e che per altro in buona misura, abbandonata anche in fabbrica, sopravvive solo qui.
Mi spaventa, quindi, non tanto l’interrogazione leghista, ma la convinzione diffusa, ad essa sottesa, che la PA sia paragonabile più a una fabbrica del secolo scorso, dove quel che conta è essere al proprio posto in una catena, piuttosto che una moderna organizzazione basata sulla conoscenza. Alla stessa famiglia, seppure con minore rozzezza, appartengono infatti le tante direttive uscite in questi giorni tese a impedire momenti di confronto e scambio, a limitare la formazione, a demonizzare sin quasi a considerarlo un comportamento disdicevole, la partecipazione a convegni e seminari, a stigmatizzare, molto spesso per evitare di esaminarla e quindi di giudicarla, tutta la consulenza come clientelare.
Qui come in altri casi simili (mi vengono in mente i tornelli), l’intenzione è buona e non c’è chi non veda che ci sono stati abusi e scorciatoie per sperperi e vacanze; purtroppo però il rimedio rischia di essere peggiore del male. Sia perché asseconda un naturale isolazionismo di ciascuna struttura, che già è troppo abituata a coltivare solo il proprio orticello, sia perché è in totale controtendenza a quel “governo con la rete”, a quell’open government che è l’unico modo in cui l’amministrazione possa oggi servire al Paese.
Le tante comunità di pratica della PA si parlano su Facebook, Linkedin, Twitter e si vedono in convegni, riunioni di lavoro e barcamp più o meno formali e più o meno virtuali. I portatori di interessi, ma soprattutto i “portatori di diritti” che sono i contribuenti, cittadini e imprese, parlano sempre più con l’amministrazione attraverso i social network; è sulla rete che si scambiano esperienze e conoscenze ed è in rete che dovrà nascere prima o poi quell’intelligenza collettiva della PA che, sotto forma di una Wiki, potrà dare nuova dignità al sapere interno alla PA.
In questo contesto dinamico qualsiasi censura preventiva, fatta di lucchetti e blocchi, non può che essere anacronistica e fuorviante, ma mi preoccupa anche perché rischia di essere una scorciatoia a quello che è un punto focale della riforma dell’amministrazione, forse quello meno attuato e meno interiorizzato: la responsabilità della dirigenza.
Per immaginare di essere costretti a spegnere l’interruttore per evitare che impiegati ammaliati passino tutto il loro tempo su Facebook, dobbiamo infatti immaginare anche dirigenti colpevolmente distratti, che non sono in grado di assegnare compiti o mansioni e di giudicare sui risultati. Dopo una fase orgasmatica di rivolta (giustificata a mio parere solo in minima parte) contro le fasce di merito di Brunetta, pare oggi scesa calma piatta sulla valutazione individuale e sulla responsabilità del dirigente come principale e essenziale “valutatore”. Forse allora, invece di dire stupidaggini sui mezzi di comunicazione, è lì che dovremmo appuntare la nostra attenzione. Perché se il dirigente non è senza discernimento e non si rifiuta di sapere, vedere, giudicare, allora qualsiasi censura o proibizione preventiva è controproducente e nuoce gravemente alla sua autonoma responsabilità. Ma è sull’autonoma responsabilità di dirigenti onesti, ben preparati e ben scelti, che si regge tutta la macchina pubblica e che si può fondare qualsiasi riforma… tutto il resto è fuffa.