Le tre gambe della riforma Renzi/Madia
La prima sensazione ascoltando ieri sera la conferenza stampa di Matteo Renzi e Marianna Madia sulla riforma della PA, madre di tutte le riforme, è di abbondanza. Tre grandi linee di azione a loro volta suddivise in 44 futuri provvedimenti, molti dei quali necessiteranno a loro volta di più strumenti normativi. Tanta roba che richiederà un’analisi attenta che cominciamo con questo editoriale e proseguiremo nei prossimi giorni fino a farne il tema portante del prossimo FORUM PA, dove potremo approfondire e discutere ogni aspetto. Provo quindi, in una prima lettura, a fare un po’ d’ordine distinguendo nel documento diffuso sotto forma di lettera ai dipendenti i pilastri dell’azione riformatrice, che ne costituiscono lo scheletro e il sostegno, dai mattoni, che servono a definire meglio spazi e funzioni, e dalle mattonelle decorative che aiutano a trasmettere il mood complessivo, ma non sono essenziali.
2 Maggio 2014
Carlo Mochi Sismondi
La prima sensazione ascoltando ieri sera (mercoledì 30 aprile per chi legge, ndr) la conferenza stampa di Matteo Renzi e Marianna Madia sulla riforma della PA, madre di tutte le riforme, è di abbondanza. Tre grandi linee di azione a loro volta suddivise in 44 futuri provvedimenti, molti dei quali necessiteranno a loro volta di più strumenti normativi. Tanta roba che richiederà un’analisi attenta che cominciamo con questo editoriale e proseguiremo nei prossimi giorni fino a farne il tema portante del prossimo FORUM PA, dove potremo approfondire e discutere ogni aspetto.
Come sempre, quando l’elenco delle cose da fare diventa così lungo, il rischio è di mettere sullo stesso piano cose di diverso rilievo e di affiancare svolte storiche con provvedimenti di limitata valenza o con reiterazioni retoriche di principi già abbondantemente normati, per cui servirebbe solo far rispettare le leggi.
Provo quindi, in una prima lettura, a fare un po’ d’ordine distinguendo nel documento diffuso sotto forma di lettera ai dipendenti i pilastri dell’azione riformatrice, che ne costituiscono lo scheletro e il sostegno, dai mattoni, che servono a definire meglio spazi e funzioni, e dalle mattonelle decorative che aiutano a trasmettere il mood complessivo, ma non sono essenziali.
I pilastri fortemente innovativi a mio parere sono tre, tre sole gambe che però bastano a rivoltare la PA come un calzino:
1. Il primo pilastro in ordine di importanza è la riforma della dirigenza (punti 9,10,11 e 12 dell’elenco) a cui dedicherò la maggior parte di questo primo articolo di commento. Dalle scarne parole del documento si possono evidenziare quattro principi guida:
Si passa da una carriera per fasce, ovvero per posizioni, ad una carriera per incarichi a termine di cui deve essere possibile valutare ogni volta i risultati; che dire? basterebbe solo questo per parlare di riforma epocale.
- Con il ritorno al ruolo unico, di bassaniniana memoria, si mettono le basi per un vero mercato delle competenze e delle professionalità, potenzialmente competitivo, che quindi possa mirare ad un matching continuo tra competenze e necessità. Credo sia un punto chiave che sottoscrivo in pieno, ma consiglierei di non generalizzare e di non mischiare le funzioni dirigenziali di gestione e di policy making, che sono la maggior parte e che devono rientrare in questo libero mercato, dalle funzioni di garanzia, che sono poche e che non possono dipendere dalla scelta della politica.
- Si conferma la licenziabilità dei dirigenti che siano senza incarico rendendo quindi vera la competizione e, sperabilmente, dando la possibilità di ridurre il numero dei dirigenti lì dove stratificazioni continue di cattiva politica, cattivo sindacato e cattiva amministrazione hanno prodotto superfetazioni ingiustificabili. Per farsene un’idea basti pensare che nella PCM si ha un dirigente ogni 6 dipendenti, nei Ministeri uno ogni 50, nelle regioni e negli enti locali uno ogni 60. Fatte salve le diverse funzioni, le differenze mi sembrano comunque eccessive.
- In ultimo quello forse più importante in assoluto, il ripensamento del paradigma della valutazione. Non è banale e il documento gli riserva solo un accenno, anche se sia Renzi sia Madia ne hanno poi parlato in conferenza stampa. Ci si propone di valutare l’operato della dirigenza sulla base degli outcome: l’andamento dell’economia dice il testo, ma credo che sarà necessario individuare poi precisi indicatori di impatto per ciascuna policy. Il passaggio dalla valutazione per output (pure molto lacunosa in questi anni) alla valutazione per outcome, almeno della dirigenza apicale, si iscrive sia nella logica aziendale per cui il board di direzione di un’azienda non prende (o almeno non dovrebbe prendere) premi se l’azienda va male, sia nella nuova importanza da dare alla dirigenza nell’elaborare le politiche e quindi nella responsabilità sui risultati in termini di cambiamenti percepiti. E’ chiaro che questo presuppone un ripensamento dell’ingenuo mito della separazione netta tra amministrazione e politica, verso un più equilibrato principio di distinzione, ma di mutua responsabilità.
Corollario non da poco di questi tre principi sarà mettere ordine nella giungla retributiva della dirigenza pubblica. Faccio solo qualche esempio: un dirigente apicale della Presidenza del Consiglio guadagna di media 218mila euro lorde l’anno, contro le 133mila di un dirigente apicale del SSN o le 160mila del Ministero dei Beni Culturali o le 120mila dei comuni e potrei continuare… roba da matti!
2. Il secondo pilastro è quello del ripensamento della geografia delle amministrazioni e la riduzione degli organismi. Qui già moltissimo è stato detto e pochissimo è stato fatto. Il nostro slogan “mille enti in meno, diecimila giovani laureati in più” appare perfettamente in sintonia con l’obiettivo di tagliare prefetture, sedi territoriali delle amministrazioni centrali e regionali, moltitudini di aziende partecipate (attenzione qui a non far di tutt’erba un fascio), enti ormai non più necessari. Se nel primo punto lo sforzo va chiesto alla dirigenza, qui è alla politica che è necessario chiedere un passo indietro, perché la maggior parte di queste unità operative ne sono o ne sono state diretta emanazione.
3. Il terzo pilastro è relativo alla trasparenza. Qui si introduce in una riga di testo un obiettivo enormemente coraggioso: far diventare “Opendata” il sistema SIOPE (con tutto quello che consegue dal punto di vista tecnico per cui vi rimando al nostro dossier). SIOPE, per chi non lo sapesse, è un sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri di tutte le amministrazioni pubbliche, che nasce dalla collaborazione tra la Ragioneria Generale dello Stato, la Banca d’Italia e l’ ISTAT. Renderlo aperto veramente (ora possono accedervi solo gli stretti addetti ai lavori) vuol dire avere tutta la PA di vetro, con tutti i suoi processi, le sue spese, i suoi pagamenti. Ovviamente SIOPE dovrà essere nel frattempo estesa a tutta l’amministrazione, perché, ora come ora, comprende solo Sanità, Università e Ricerca, Enti previdenziali ed Enti locali.
Questo comunque è moltissimo, ma non basta ad essere davvero accountable, è necessario poi affiancare ai dati grezzi, operabili machine to machine, un vero mercato (privato) di applicazioni che elaborino i dati e li rendano leggibili e confrontabili.
Tre pilastri quindi e tre soggetti interessati: la dirigenza pubblica, la politica, i cittadini.
A questi tre pilastri fanno da contorno anche molte reiterazioni di norme già esistenti, dalla mobilità obbligatoria alla semplificazione della modulistica, dall’interoperabilità delle banche dati, per cui non val la pena neanche di elencare tutte le volte che è stata normata, all’agevolazione del part-time o alle azioni per la conciliazione.
Molti altri punti sono importanti e aiutano a disboscare parti diverse della giungla pubblica, ma, seppure alcuni rivoluzionati tipo la soppressione dei segretari comunali o il dimezzamento dei permessi sindacali, mi paiono decisamente “minori” rispetto ai tre pilastri elencati. E’ su questi che il Governo non dovrà mollare, pur nella tempesta degli interessi di parte che si scatenerà, perché è su questi che potrà ricostruirsi, insieme a cittadini, dipendenti pubblici e politica, quella nuova amministrazione che abilita sviluppo e promuove quel benessere equo e sostenibile che tutti auspichiamo.