Linee Guida Anac sul Foia, tra limiti alla discrezionalità e maggiori margini di arbitrio
È stato pubblicato da qualche giorno lo schema di “Linee Guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del d.lgs. 33/2013”, in consultazione online fino alle ore 12 del prossimo 28 novembre. L’autore fornisce una panoramica sulle principali novità e criticità che il documento illustra
24 Novembre 2016
Morena Ragone* e Vitalba Azzollini**
È stato pubblicato da qualche giorno lo schema di “Linee Guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del d.lgs. 33/2013”, in consultazione online fino alle ore 12 del prossimo 28 novembre (scadenza per l’invio di contributi utilizzando il modello predisposto).
Lo schema ha ad oggetto le indicazioni operative per la definizione delle esclusioni e dei limiti, previsti dalla legge, all’accesso da parte di “chiunque”, configurando così un diritto a titolarità diffusa.
Tale diritto non è condizionato dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti e ha ad oggetto tutti i dati e i documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli per i quali è stabilito un obbligo di pubblicazione, con il rovesciamento della precedente prospettiva, che consentiva l’attivazione del diritto di accesso civico solo strumentalmente all’adempimento dell’obbligo di pubblicazione.
Le Linee Guida sono adottate d’intesa con il Garante Privacy e poste in consultazione, nonostante la presenza nel testo – usando le parole di Anac – di alcune riserve da sciogliere, alla cui definizione contribuiranno, si spera, le osservazioni e i commenti dei contributori esterni, oltre alla Conferenza unificata Stato, Regioni e Autonomie locali che dovrà essere obbligatoriamente sentita.
L'”accesso civico generalizzato” è una delle principali novità introdotte dal decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97, riprendendo i modelli del Freedom of information act di origine anglosassone.
Le Linee Guida chiariscono preliminarmente – per chi avesse ancora dubbi a riguardo – che il nostro ordinamento conosce ora bene tre tipi di accesso:
- l’art. 5, co. 2 e ss. del d.lgs. 33/2013 introduce l’accesso civico generalizzato, volto a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, in attuazione del principio di trasparenza (art.1, co.1) quale strumento di tutela dei diritti dei cittadini;
- l’accesso civico già disciplinato dal medesimo decreto;
- l’accesso agli atti ex lege n. 241/1990.
La generale accessibilità è temperata dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi pubblici e privati. Le eccezioni sono di due tipi:
- assolute, cioè le esclusioni all’accesso nei casi in cui una norma di legge, sulla base di una valutazione preventiva e generale, disponga la non ostensibilità di dati, documenti e informazioni per tutelare interessi prioritari e fondamentali (art. 5-bis, co.3);
- relative, che si configurano laddove le amministrazioni dimostrino che la diffusione dei dati documenti e informazioni richiesti possa determinare, con valutazione di probabilità e non di semplice possibilità,un pregiudizio concreto ad alcuni interessi pubblici e privati di particolare rilievo giuridico, individuati dal legislatore ed elencati all’art. 5-bis, co. 1 e 2 del d. lgs. 33/2013.
A partire dal 23 dicembre 2016, deve essere data immediata applicazione all’istituto dell’accesso generalizzato, con la valutazione caso per caso delle richieste presentate.
L’Anac formula subito l’auspicio, richiamato nella seconda parte del documento in consultazione, che le amministrazioni adottino nel più breve tempo possibile:
- entro il 23 dicembre 2016, soluzioni organizzative per coordinare la coerenza delle risposte sui diversi tipi di accesso, vale a dire la concentrazione della competenza a decidere sulle relative richieste in un unico ufficio (dotato di risorse professionali adeguate, che si specializzano nel tempo, accumulando know how ed esperienza) che, ai fini istruttori, dialoga con gli uffici che detengono i dati richiesti;
- entro il 23 giugno del 2017, una disciplina sull’accesso, che provveda, tra l’altro, per l’accesso documentale, all’attuazione dell’art. 24, comma 2 della legge 241/1990, ossia alla individuazione delle categorie di documenti formati dalle P.A. o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma 1 dell’art. 24; per l’accesso generalizzato, al rinvio alle esclusioni all’accesso disposte in attuazione dell’art. 24, commi 1 e 2;
- un registro delle richieste di accesso presentate, per tutte le tipologie di accesso.
Nelle more della predisposizione di quanto indicato, le sole amministrazioni che abbiano adottato i regolamenti di attuazione del d.P.R. n. 352 del 1992 possono applicare, ove necessario e fino al 23 giugno 2017, le esclusioni disposte per l’accesso documentale anche ai fini dell’accesso generalizzato.
Invece, i regolamenti previsti ex novo dall’Anac forniranno alle amministrazioni elementi per la valutazione dell’esistenza di pregiudizi agli interessi tutelati dall’art. 5 co. 1 e 2 del decreto trasparenza. Tali pregiudizi – lo si ribadisce – in caso di diniego dovranno essere dimostrati come probabili e concreti ai sensi della disciplina sull’accesso generalizzato e mai assunti presuntivamente.
Il nuovo diritto di accesso generalizzato prevede:
- accesso da parte di chiunque, cioè l’assenza di specifica legittimazione attiva;
- assenza di motivazione;
- contraddittorio in presenza di controinteressati.
Ed è “espressione di una libertà” che incontra, quale unico limite, il rispetto della tutela degli interessi indicati all’art. 5-bis, commi 1 e 2 – pubblici o privati che siano – e delle norme che prevedono specifiche esclusioni (art. 5-bis, comma 3).
La legittimazione passiva (rectius: ambito soggettivo di applicazione) di cui all’art. 2 viene interpretata dall’Anac estensivamente: non vale, ad esempio, ad escludere i soggetti di cui ai punti 2 e 3 solo perché la disciplina vi si applica “in quanto compatibile”. Infatti, l’Anac finalmente chiarisce che “il principio della compatibilità (…) concerne la sola necessità di trovare adattamenti agli obblighi di pubblicazione in ragione delle caratteristiche organizzative e funzionali dei citati soggetti. Non è invece operante per quel concerne l’accesso generalizzato, stante la ratio e la funzione del generalizzato descritta nel primo paragrafo delle presenti linee guida. L’accesso generalizzato, pertanto, è da ritenersi senza dubbio un istituto “compatibile” con la natura e le finalità dei soggetti sopra elencati ai punti 2 e 3, considerato che l’attività svolta da tali soggetti è volta alla cura di interessi pubblici”.
Con buona pace degli ordini professionali, i quali confidavano in un’interpretazione diversa e più restrittiva.
Né l’Anac riduce il campo di applicazione dell’istituto per i soggetti indicati al comma 3 dell’art. 2 bis del decreto trasparenza ai soli dati e documenti inerenti all’attività di pubblico interesse. In merito, l’Autorità chiarisce che “l’intento del legislatore è quello di garantire che la cura concreta di interessi della collettività, anche ove affidati a soggetti esterni all’apparato amministrativo vero e proprio, rispondano comunque a principi di imparzialità, del buon andamento e della trasparenza”, e che, pertanto, devono considerarsi ricomprese anche “le attività che pur non costituendo diretta esplicazione della funzione o del servizio pubblico svolti sono ad esse strumentali”. Il rinvio è alle future Linee guida di adeguamento al d.lgs. 97/2016 della delibera ANAC 8/2015, in corso di adozione.
Stranamente, le Linee Guida reputano non ammissibile richieste meramente esplorative, o generiche, tali da consentire l’individuazione del dato, del documento o dell’informazione (quest’ultima contemplata dall’art. 5, c. 3) su cui si chiede trasparenza. Al riguardo, sembra opportuno evidenziare che il Consiglio di Stato, nel parere reso a febbraio sul testo del decreto in discorso, aveva reputato “incongruo che l’istanza di accesso civico, considerati i suoi presupposti e le sue finalità, debba essere già in grado di identificare ‘chiaramente’ i dati, le informazioni o i documenti richiesti”. Il Collegio aveva, quindi, invitato a non imporre la precisazione in dettaglio di quanto richiesto, che talvolta può non essere specificamente noto all’istante prima dell’accesso: ciò al fine di garantire “un più ampio soddisfacimento dell’esigenza di partecipazione e conoscenza dei cittadini al funzionamento delle amministrazioni e una attuazione più completa della legge delega”. Per tale motivo, l’avverbio “chiaramente”, quale sinonimo di specificatamente, era stato espunto dal testo finale del documento normativo. Le Linee Guida, quindi, sembrano non tenere conto delle osservazioni del Consiglio di Stato, suggerendo di non dare corso a domande di accesso che non individuino con sufficiente certezza ciò che ne costituisce l’oggetto.
L’Anac prevede, inoltre, l’ipotesi in cui venga richiesto al destinatario dell’accesso “un numero manifestamente irragionevole di documenti, imponendo così un carico di lavoro tale da paralizzare, in modo molto sostanziale, il buon funzionamento dell’amministrazione”: in questo caso, ”la stessa può ponderare, da un lato, l’interesse dell’accesso del pubblico ai documenti e, dall’altro, il carico di lavoro che ne deriverebbe, al fine di salvaguardare, in questi casi particolari e di stretta interpretazione, l’interesse ad un buon andamento dell’amministrazione”. A parte l’impatto destabilizzante – in quanto del tutto indefinito nella sua portata – del riferimento generico ad un “numero manifestamente irragionevole di documenti” – “manifestamente a chi?”, si sarebbe indotti a domandare all’autorità per l’anticorruzione – e l’elevazione del “carico di lavoro” a pseudo-diritto avente pari. se non superiore dignità del diritto di accesso generalizzato, appare evidente il margine di discrezionalità concesso in questo modo agli uffici istruttori.
La “manifesta irragionevolezza” circa il numero di atti richiesti, infatti, andrà sempre e comunque valutata in ragione dei dipendenti in forza all’ufficio istruttore dell’ente destinatario della richiesta, del numero di istruttorie e adempimenti da cui esso è gravato, di altre eventuali scadenze cui debba assolvere prioritariamente e di molto altro. Si teme, pertanto, che la precisazione fornita dall’Anac potrà funzionare come una sorta di “via di fuga” per quegli uffici che, volendo evitare l’esame della pratica sulla disclosure, dimostrino che le richieste loro avanzate non possano essere soddisfatte a risorse date.
Proseguendo nell’esame, le Linee Guida contengono una estesa trattazione sulle eccezioni, assolute e relative. Tra le prime:
- il Segreto di stato (oltre alla definizione generale di cui all’art. 39 della legge n. 124/2007, altre ipotesi di segreto sono quello statistico, sulla corrispondenza, sui parere professionali, sui dati sensibili – art. 7 e 26, co 4 d. lgs 33/2013)
- altri casi previsti dalla legge e limiti di cui all’art. 24, comma 1 della legge n. 241/90.
Per le eccezioni relative, il legislatore non opera, come nel caso delle eccezioni assolute, una generale e preventiva individuazione di esclusioni all’accesso generalizzato, ma rinvia a una attività valutativa che deve essere effettuata dalle amministrazioni con la tecnica del bilanciamento, caso per caso, tra l’interesse pubblico alla disclosure generalizzata e la tutela di altrettanti validi interessi considerati dall’ordinamento. Qui risiede il forte limite della disciplina che dovrebbe chiarire – o meglio doveva, ma non chiarisce – l’atteggiarsi in concreto della ricorrenza di ipotesi di eccezione, invece si limita a demandare la valutazione caso per caso ad ogni singola amministrazione. Peraltro, non di vero e proprio bilanciamento si tratta, considerato che comunque la trasparenza verrà sacrificata ogni volta che possa risultare scalfito un altro interesse tutelato: in nome, oltretutto, di normative spesso vetuste, sorte su diverse e precedenti esigenze, che dovrebbero – oggi e sovente – cedere il passo ai nuovi diritti.
Eppure, la stessa ANAC, sottolinea che “occorre prendere atto della condizione di oggettiva incertezza in cui si possono trovare le amministrazioni in sede di prima applicazione del nuovo istituto”, in quanto “le amministrazioni devono applicare un meccanismo innovativo, che presenta profili di complessità in ragione della convivenza con il più risalente e consolidato accesso documentale in funzione difensiva di cui alla legge 241/1990, nonché con il più recente accesso civico connesso all’adempimento degli obblighi di pubblicazione”.
Caso per caso, quindi, le decisioni potranno essere difformi – com’è ovvio – sul territorio nazionale e a seconda delle P.A. interessate.
L’amministrazione, quindi, deve procedere ad excludendum:
- verificare l’assenza di eccezioni assolute;
- verificare la presenza o meno di eccezioni relative.
L’amministrazione,
quindi, dovrà:
- indicare chiaramente quale – tra gli interessi elencati all’art. 5, co. 1 e 2 – viene pregiudicato;
- dimostrare che il pregiudizio prefigurato dipende direttamente dalla disclosure dell’informazione richiesta;
- dimostrare che il pregiudizio conseguente alla disclosure è un evento altamente probabile, e non soltanto possibile.
Al riguardo, si impongono alcune considerazioni.
Nonostante il fine dichiarato di circoscrivere gli ambiti oggetto di eccezione, le Linee Guida paiono soffrire di quella impostazione “normativistica” che suole caratterizzare la regolazione nazionale: le indicazioni fornite minuziosamente dall’Anac al fine di ridurre gli eventuali spazi di incertezza nelle valutazioni delle domande in materia di trasparenza se, da un lato, non sono atte ad esaurire le fattispecie oggetto di futuro esame, dall’altro potranno fornire molti alibi per ricondurre le relative istanze sotto i casi di eccezione ivi esposti, motivando la lesione in “concreto” di uno degli interessi tutelati mediante i numerosi appigli contenuti del documento.
Di certo l’Anac, mediante le Linee Guida, avrebbe anche dovuto ovviare alla carenza di un’adeguata formazione del personale che dovrà istruire le pratiche inerenti alle richieste di disclosure, offrendo esemplificazioni fondate su richiami normativi e giurisprudenziali. Del resto, detto personale non potrebbe essere formato altrimenti, dato che il Foia italiano è dotato della ormai solita clausola di invarianza finanziaria, disponendo che debba provvedersi “con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”: non vi sono fondi disponibili per impartire preventivamente al personale una preparazione adeguata nelle singole discipline di settore menzionate dal decreto.
Non sembra, pertanto, raggiunto lo scopo di fornire indicazioni certe ai funzionari pubblici, che si troveranno ad applicare la normativa proprio in quella valutazione “caso per caso” più volte sottolineata senza, tuttavia, essere stati provvisti della preparazione a ciò necessaria.
È opportuno, comunque, evidenziare come l’Anac riconosca la valenza limitata nel tempo delle specificazioni dettagliatamente fornite, affermando che le indicazioni contenute nella bozza di documento non possono considerarsi cristallizzate, in quanto soggette a continua interpretazione evolutiva. Vale a dire, quindi: le Linee Guida non hanno valore assoluto, né sono destinate a permanere valide indefinitamente, dovendo, comunque, le amministrazioni prestare la massima attenzione all’evolversi del diritto in ordine agli ambiti oggetto delle eccezioni.
Si tratta di un’affermazione essenziale e di buon senso con la quale, evidentemente, l’Autorità per l’anti-corruzione ha inteso sottolineare la non esaustività delle proprie indicazioni, nonostante la rilevata minuziosità che le connota: così facendo, tuttavia, essa potrebbe aumentare i dubbi nell’operatività concreta. Peraltro, detta minuziosità – a maggior ragione stante il caveat dell’Autorità – non solo non riduce le incertezze delle amministrazioni coinvolte, ma può addirittura aumentarne i margini di arbitrio: da un lato, fornendo loro una serie di appigli normativi e giurisprudenziali in base ai quali motivare “in concreto” dinieghi di accesso, come accennato; dall’altro, lasciando comunque aperta la strada alle interpretazioni più varie nei casi non specificamente contemplati dalle Linee Guida. Il rischio sopra evidenziato di istanze di accesso trattate difformemente da parte di amministrazioni diverse è, quindi, oltremodo alto.
Continuano e continueranno ad applicarsi le limitazioni alla conoscibilità previste da normative di settore (Archivi di Stato e altri Archivi disciplinati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, per esempio)
Risultano sottratti in termini assoluti all’accesso generalizzato solo i documenti, i dati e le informazioni di cui all’art. 24, co. 1: pertanto, in via generale, per l’accesso generalizzato sono applicabili le sole esclusioni contemplate nell’art. 24, co. 1, della legge n. 241/90, mentre non trovano applicazione le altre esclusioni contemplate nel medesimo articolo.
Molto spazio è dato alla trattazione del differimento dell’accesso, soprattutto quando esso coincide con l’adozione di un provvedimento pubblico: per i procedimenti tributari (con differimento all’atto finale), o per gli atti di pianificazione generale; permane, invece, l’esclusione assoluta per i procedimenti selettivi, nella parte coperta dal diritto alla riservatezza.
Possibile una disclosure parziale in tutti gli altri casi.
Anche qui, un forte punto di criticità è nella comprensione, da parte della PA destinataria della richiesta di accesso generalizzato, di quali dati è opportuno omettere.
Ove ci si trovi in situazioni del genere, e ove questo non comporti la rivelazione di informazioni protette, è quantomeno opportuno indicare le categorie di interessi pubblici o privati che si intendono tutelare, e almeno le fonti normative che prevedono l’esclusione o la limitazione dell’accesso da cui dipende la scelta dell’amministrazione – con esclusione, quindi, di una motivazione puntuale, che sembra andare in controtendenza rispetto al generale obbligo di motivazione che grava sugli atti adottati dalle P.A.
In sintesi, sembra essere ancora molto, troppo ampia l’interpretazione che l’amministrazione destinataria della richiesta deve effettuare:
- per le eccezioni relative all’accesso generalizzato, con una valutazione caso per caso;
- per la non motivazione dettagliata del diniego/differimento, con la mera indicazione delle fonti normative che legittimano l’esclusione.
Se gli interessi pubblici alla base delle eccezioni relative sono facilmente individuabili, e in molti casi contigui alle ipotesi di esclusione assoluta vere e proprie, gli interessi privati sono molteplici e riguardano, per esempio, i dati personali: in tal caso, la ritenuta sussistenza di tale pregiudizio comporta il rigetto dell’istanza, a meno che non si consideri di poterla accogliere, oscurando i dati personali eventualmente presenti e le altre informazioni che possono consentire l’identificazione, anche indiretta, del soggetto interessato (l’art. 5-bis, comma 2, lett. a, contiene un richiamo espresso alla disciplina legislativa sulla protezione dei dati personali), con obbligo di riferimento ai principi generali di necessità, proporzionalità, pertinenza e non eccedenza.
- sensibili e giudiziari;
- di minori;
- relativi alla solvibilità economica, dati biometrici, profilazione (art. 17 e 37 Codice Privacy);
- possibili furti di identità;
- aspettative di confidenzialità delle informazioni;
- diritto d’autore e proprietà industriale.
Infine, le Linee Guida suscitano alcune perplessità per profili non strettamente attinenti alle eccezioni ivi contemplate.
In occasione dell’emanazione del decreto, era stato rilevato che l’annunciata “rivoluzione” del Foia si sarebbe dovuta accompagnare alla redazione di un unico corpus normativo contenente il complesso di prescrizioni in tema di trasparenza (come peraltro auspicato – in linea generale e per ogni argomento settoriale – dalla Commissione per la Semplificazione, nel 2014). Infatti, come accennato, le disposizioni in materia sono attualmente contenute in parte nel d.lgs. n. 33/2013, integrato e modificato dal nuovo decreto legislativo n. 97/2016, e in parte nella legge n. 241/90, sul procedimento amministrativo. Il riordino dell’intera materia avrebbe non solo agevolato i destinatari e gli interpreti della relativa disciplina, ma anche comportato la necessaria armonizzazione delle regole dettate dalle leggi richiamate, ora parzialmente sovrapponibili e per alcuni profili non chiaramente delimitate. Quanto osservato in ordine alla necessità di un testo unico non era evidentemente infondato, considerato che l’Anac – come sopra esposto – invita le amministrazioni interessate a provvedere alla formulazione, “anche nella forma di un regolamento”, di una disciplina organica e coordinata delle tre tipologie di accesso, con il fine di dare attuazione al nuovo principio di trasparenza introdotto dal legislatore”: non si tratta delle “soluzioni organizzative”, cui pure si è fatto cenno, con cui l’Anac invita a rendere più efficiente l’attività degli uffici istruttori, concentrando in capo a taluni la competenza a decidere le istanze di trasparenza, ma di una vera e propria riorganizzazione sistematica della normativa esistente, ai fini di una migliore operatività concreta. Se a tale riorganizzazione avesse provveduto il legislatore, la soluzione sarebbe stata di certo più efficiente e soprattutto unitaria per tutte le amministrazioni, le quali attualmente potranno provvedere con modalità disomogenee l’una dall’altra, come più volte sottolineato nel corso della presente trattazione. Il rischio sopra paventato per altri profili, vale a dire quello di P.A. che adottino soluzioni frammentarie idonee a disorientare coloro i quali rivolgano istanze di accesso a enti diversi, si evidenzia quindi anche per il motivo appena indicato.
Qualche perplessità si nutre, infine, sul fatto che uno strumento di soft law, pur limitandosi a suggerire la mera “opportunità” di adottare il citato regolamento per la riorganizzazione delle disposizioni in materia di accesso, possa fissare un termine preciso per la sua emanazione (23 giugno 2017), differendone, di fatto, la completa entrata in vigore: com’è noto, le Linee Guida non hanno efficacia vincolante, né dalla loro violazione potrebbe scaturire qualsivoglia conseguenza in punto di diritto. Tuttavia, non si esclude che la loro inosservanza possa essere considerata in sede di valutazione giurisdizionale.
*Giurista, Stati Generali dell’Innovazione
**Giurista, lavora in un’autorità di vigilanza (esprime opinioni a titolo esclusivamente personale)