Lo spreco e gli sprechi

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Toni Muzi Falconi ci presenta una interessante riflessione sullo spreco, analizzando in maniera molto analitica quali sono le sacche di "resistenza" più ostinate e pervicaci e proponendo una discussione on line che andrà ad alimentare il convegno del 17 maggio pomeriggio a FORUM PA 2010: "Produrre valore e ridurre lo spreco. Buona lettura… e buona discussione.

27 Aprile 2010

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Toni Muzi Falconi*

Articolo FPA

Toni Muzi Falconi ci presenta una interessante riflessione sullo spreco, analizzando in maniera molto analitica quali sono le sacche di "resistenza" più ostinate e pervicaci e proponendo una discussione on line che andrà ad alimentare il convegno del 17 maggio pomeriggio a FORUM PA 2010: "Produrre valore e ridurre lo spreco. Buona lettura… e buona discussione.

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Qualche tempo fa questo sito ha pubblicato un breve saggio di Mauro Bonaretti, una delle poche teste pensanti e operative della nostra migliore amministrazione pubblica intitolato LO SPRECO.
Avvicinandosi la data di apertura del FORUM PA (17/20 Maggio) vorrei, con questo post, lanciare un paio di temi di discussione che possano indurre alcuni volenterosi a confrontare idee ed esperienze, aggiungere altri temi, per assicurare una discussione più allargata nella sede del FORUM PA.

1. Ho curiosato nei giorni scorsi tra una cinquantina di bandi di gara di amministrazioni pubbliche per servizi, prodotti e consulenze di varia natura.
Parrebbe che la domanda, negli ultimi vent’anni, sia sempre la stessa e non si direbbe che abbia risentito, nella sua cornice culturale, della discontinuità intervenuta nella nostra società, in tutto il mondo .
Mi riferisco in particolare al reset dei concetti di spazio e di tempo, insieme all’imprevista esplosione di quella che alcuni definiscono crisi finanziaria (quasi fossimo scalpitanti, appena superata, di tornare al passato…).

Il fatto di trovarci oggi immersi in una società reticolare per cui il valore creato dall’organizzazione non è più così materiale e lineare come all’epoca della catena del valore, ma si realizza (e si misura…) nella fuzzyness sfumata della qualità delle relazioni fra i componenti dei tanti network interni/esterni che presidiano i processi organizzativi (e la qualità delle relazioni fra questi ultimi), pare essere affatto percepibile nella domanda espressa delle amministrazioni pubbliche.
Come vent’anni fa, quei bandi chiedono soprattutto efficienza, revisione e adattamento dei flussi organizzativi, quando le amministrazioni pubbliche hanno oggi soprattutto bisogno di efficacia.
Il vero valore della organizzazione si produce infatti quando efficienza ed efficacia vengono perseguite da culture condivise.
È il loro mix responsabile, declinato a seconda delle situazioni specifiche, a creare effettivo valore per le organizzazioni.
Un valore in grado di creare legittimazione e una relazione di fiducia tra cittadino e amministrazione pubblica che interpreto come “licenza di operare”.

So bene che è un vecchio discorso, che però va oggi interamente reinterpretato alla luce di quella discontinuità e non mi pare che, con l’eccezione di Bonaretti e pochi altri, questo sia avvenuto.
So anche bene che i bandi di gara non vengono normalmente scritti da coloro che poi sono responsabili della singola commessa, ma da esperti amministrativi.
Tuttavia, se chi ha bisogno non esprime le proprie aspettative con modalità comprensibili, i casi sono due (a ciascuno decidere quale sia quello migliore o peggiore: honny soit qui mal y pense):

  • chi ha bisogno non percepisce l’impatto della discontinuità e le conseguenze che si producono sulle attività dell’organizzazione e sul proprio lavoro;

  • chi ha bisogno sa esattamente quel che cerca e sa anche dove trovarlo, ma gli viene imposto il ricorso al bando pubblico e, con una attento dosaggio dei componenti delle commissioni di selezione, si assicura comunque il risultato desiderato.

I lettori di questo sito sanno meglio di me che qualunque cambiamento organizzativo, destinato a produrre efficacia nel tempo, non può prescindere da una forte leadership operativa affidata alla tecnostruttura e da un humus condiviso, coerente e diffuso proprio a partire dai comportamenti agiti di quella leadership operativa.
Per usare un termine alla moda, è una questione di “cultura”.

Alla leadership politica è affidata la definizione delle politiche e degli indirizzi strategici dell’organizzazione; mentre alla tecnostruttura è affidata la decisione e l’implementazione operativa dei processi e degli strumenti, accompagnata da una costante attività di monitoraggio e di rendicontazione pubblica dell’efficacia.
Sempre per usare un altro termine alla moda, è una questione di “governance”.

La tecnocrazia opera in piena autonomia rispetto alla politica, se non con il necessario raccordo fra le due leadership, assicurato dalla collaborazione imprescindibile dei rispettivi vertici.
Il sistema vigente degli assessorati, per tutte le ragioni ben descritte nel saggio di Bonaretti, ha ampiamente dimostrato di non funzionare: troppa parcellizzazione, troppe sovrapposizioni di competenze, troppa ricerca individuale della visibilità e, soprattutto, troppe repubbliche separate ispirate da diverse motivazioni di appartenenza politica (nel migliore dei casi) o semplicemente (nel peggiore) da continuate intromissioni operativa delle leadership politiche, al punto da far desistere quelle tecnocratiche da qualunque assunzione di responsabilità direttiva.

È ora urgente passare a un sistema duale per cui un consiglio di amministrazione governa le politiche (anche con la distribuzione di deleghe per le finalità prioritarie), mentre è la tecnocrazia ad attuarle in autonomia.
Soltanto così si assicura la qualità della singola decisione, che oggi viene sempre più determinata dai suoi tempi di attuazione.

Convengo che non sia così in tutti i casi, ma in quasi tutti penso che il tempo di attuazione della decisione ne definisce anche la qualità, che dipende in larga parte dalla modalità e l’intensità con cui il singolo decisore ha saputo individuare i pubblici rilevanti, ascoltarli, comprendendone e interpretandone le aspettative prima della singola decisione, e tenendone conto nella discrezionalità delle sue competenze e responsabilità.

L’ascolto non può essere un alibi per un allungamento dei tempi. Al contrario, va integralmente incorporato lungo tutto il processo decisionale e la sua responsabilità resta interamente presso il dirigente preposto, al punto che il suo sistema premiante arrivi a comprende fra i diversi indicatori anche, quando non soprattutto, la stessa qualità dell’ascolto.
Solo in questo modo si può indirizzare e facilitare il cambiamento e raggiungere con efficacia gli obiettivi perseguiti.

2. Il saggio di Bonaretti mi ha anche indotto a pensare che la cosiddetta lotta agli sprechi sia, più ancora che uno spreco, di per sé controproducente, in assenza di una rivisitazione periodica fra le due leadership, dei fondamentali della singola organizzazione, discussa e diffusa, con modalità diverse, con i tanti ma bene individuabili pubblici interni, esterni e di confine sui quali ciascuna fase di attuazione della strategia produce conseguenze.

E per fondamentali intendo:

  • missione: chi siamo;

  • visione: chi vogliamo essere nei prossimi 3/5 anni;

  • strategia: quale percorso vogliamo intraprendere per transitare dalla missione alla visione;

  • valori guida: quali valori, oltre alla legge, ci impegniamo a rispettare durante il percorso.

So bene che il saggio di Bonaretti dà queste cose per scontate addentrandosi in una meticolosa, puntuale e utilissima descrizione delle diverse tipologie di spreco, ma non credo che sia retorico, e neppure inutile un richiamo alla nuova cornice decisionale in cui le organizzazioni oggi si trovano ad operare.

Le vostre opinioni?


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*Toni Muzi Falconi è director di Methodos e Connexia, docente a contratto alla NYU, alla Lumsa, alla Sapienza e alla Luiss 

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