Necrofilia amministrativa
Spesso il necrofilo si riconosce da una mania fobica per la pulizia: lo vedi con lo straccetto imbevuto d’alcol che sterilizza dovunque si poggi. Il necrofilo amministrativo, che di questa sindrome è un caso di specie interessante, si riconosce invece dalla costante paura della responsabilità e dal tentativo di sterilizzare qualsiasi scelta facendola diventare un adempimento obbligatorio che svincoli il vertice amministrativo da qualsiasi contaminazione.
13 Novembre 2013
Carlo Mochi Sismondi
Spesso il necrofilo[1] si riconosce da una mania fobica per la pulizia: lo vedi con lo straccetto imbevuto d’alcol che sterilizza dovunque si poggi. Non è una sana attenzione all’igiene, ma il terrore di qualsiasi contaminazione: difficilmente vi stringe la mano e, se lo fa, poi va di corsa a disinfettarsi. D’altronde in obitorio tutto è asettico.
Il necrofilo amministrativo, che di questa sindrome è un caso di specie interessante, si riconosce invece dalla costante paura della responsabilità e dal tentativo di sterilizzare qualsiasi scelta facendola diventare un adempimento obbligatorio, dettato da leggi eteronome, che svincoli il vertice amministrativo da qualsiasi contaminazione.
Il necrofilo amministrativo aborre, quindi, qualsiasi scelta soggettiva, qualsiasi attribuzione di valore che non derivi da un algoritmo, nella gestione delle persone preferisce gli avanzamenti automatici, alla scelta di chi promuovere basata sull’intuitu personae, si trova a proprio agio tra la ceralacca e i bizantinismi delle gare piuttosto che nell’impegno della valutazione, pulisce con cura qualsiasi atto amministrativo dall’impura presenza di un rischio.
Il necrofilo amministrativo vive bene tra i tagli lineari, con l’ossessione continua della spesa che vede sempre come un costo e mai come un investimento, odia pensare ai risultati e alla missione della sua amministrazione che percepisce come astorica e quindi svincolata dal tempo e dai bisogni; non sa immaginare modi per risolvere problemi reali, ma solo per portare avanti atti e pratiche, ampliando, se può e gliene si dà spazio, il corpus normativo che per lui non è mai troppo dettagliato, mai completamente esauriente. Non guarda fuori dal suo palazzo, considera proibito tutto quello che non è esplicitamente contemplato da qualche articolo di legge
Il necrofilo amministrativo pensa di vivere in un mondo sporco e malato, vede pericoli ovunque, il suo terrore maggiore è essere coinvolto: il suo campo d’azione parte dal guardarsi le spalle. Le sue leggi preferite sono la vecchia 626 sulla sicurezza con i suoi infiniti adempimenti, il codice della privacy con le sue firmette salvagente, la normativa anticorruzione e addendi vari, con i suoi infiniti piani e le sue dettagliate istruzioni per evitare qualsiasi scelta responsabile (che non vuol dire arbitraria, ma che è quella che dà tra l’altro un senso agli stipendi dei dirigenti che, se non possono più scegliere nulla perché tutto è normato, o si suicidano o accettano di mangiare pane a ufo).
Ha del tutto torto? Non esiste forse uno stato di corruzione tale da dargli ragione? La finanza pubblica non ci chiede risparmi “ad ogni costo”? Non siamo tutti così indignati da accettare di rinunciare alla responsabilità in cambio di un po’ di pulizia? Non chiede questo il paese profondo, la pancia della gente che non ce la fa ad arrivare a fine mese e vede il consigliere regionale che mette in conto al contribuente le sue cene di lusso, ma anche le sue caramelle?
Sì. Io credo che abbia torto sia nel metodo sia nella sostanza.
Nel metodo: perché come le grandi società di auditing non hanno visto le più evidenti truffe finanziarie, come le mille leggi non hanno diminuito la corruzione, così il deprimere la responsabilità e l’autonomia può alla lunga solo peggiorare il male, non curarlo alla radice. Perché l’unica cura nasce da dentro le coscienze, nella libertà, nella speranza, nell’educazione.
Nella sostanza perché con l’ossessione a “non spendere”, cosa del tutto diversa dalla cura (sottolineo la parola “cura”) a spendere bene, e con la bulimia normativa [ve la ricordate la parabola del cotechino?] ottiene esattamente quello che un necrofilo vuole: uccidere l’amministrazione, trasformarla in cosa inanimata, rendendo impossibile la soluzione dei problemi reali, impedendo una riflessione coraggiosa sulla stessa geografia delle istituzioni e delle organizzazioni che si rifaccia sempre ai perché politici, alla costruzione del valore pubblico, alla crescita del capitale sociale e del benessere equo e sostenibile.
Certo la mia descrizione è paradossale e volutamente stereotipica, ma ne conosco parecchi, e potrei dare molti nomi e cognomi a questi necrofili.
Noi non abbiamo bisogno di necrofili, ma di biofili nella nostra amministrazione come nella nostra politica. Di biofili che aprano porte e finestre e facciano entrare insieme all’aria pulita anche la cultura della scelta e della responsabilità, l’orgoglio di fare del proprio meglio anche con un po’ di fantasia e di creatività, il gusto del rischio a costo di perdere un po’ di sicurezza, l’attenzione alla stella polare che è costituita sempre dai bisogni che dobbiamo soddisfare e dalla capacità del government di “abilitare capabilities” per dirla con Amartya Sen, o più semplicemente di mettere in grado cittadini e imprese di “funzionare”, ossia di raggiungere meglio i fini che essi si sono prefissi.
Il biofilo non è uno sprecone né un fan del “partito della spesa”, ma sa che per ogni soldo che riceve dal contribuente deve restituire valore e quindi si attrezza e non accetterà mai di avere, come purtroppo abbiamo, una macchina tutto sommato relativamente costosa, ferma perché non abbiamo i soldi per la benzina. Una metafora che ahimè diventa spesso vera in senso letterale, basti pensare alle macchine ferme delle forze dell’ordine o alla proibizione sostanziale di spostarsi che stanno subendo i lavoratori pubblici che, nel delirio dell’impedire sprechi, sono murati nei loro uffici come dentro castelli medievali.
Di biofili ce ne sono numerosi, ne conosco tanti nella nostra PA, ma sono in clandestinità, rappresentano una cultura subalterna. Forza ragazzi, forziamo la porta, diciamo ad alta voce che non ne possiamo più e proviamo a cambiare il senso della nostra marcia.
[1] In questo articolo indico con la parola necrofilia non certo la perversione sessuale, ma, secondo le indicazioni di Fromm ne “la psicanalisi dell’amore”, l’istinto di morte che uccide la voglia di vivere.