EDITORIALE
Non mandiamo i talenti ad “asfaltare i sentieri delle vacche”
Nell’ostinarsi a fare le cose sempre nello stesso modo il rischio è di asfaltare i sentieri delle vacche. La frase rimanda a un aneddoto abbastanza noto, che riprendiamo in questo editoriale per raccontare poi storie di persone che, al contrario, hanno sfidato le convenzioni in vari campi. Il tema ci riconduce al filo rosso che ci porterà alla prossima edizione di FORUM PA: abbiamo bisogno di pubbliche amministrazioni non solo in grado di attrarre i talenti, ma di lasciarli sperimentare, di metterli in condizione di fallire per individuare strade nuove
13 Ottobre 2023
Gianni Dominici
Amministratore Delegato FPA
“La frase più pericolosa in assoluto è: abbiamo fatto sempre così”. Frase pericolosa quanto terribilmente diffusa: è, infatti, la risposta che più spesso sentiamo quando ci capita di proporre un cambiamento, un’innovazione nelle diverse organizzazioni ma, dobbiamo ammetterlo, soprattutto nelle pubbliche amministrazioni. Una frase perniciosa la cui messa al bando viene da lontano ed è attribuita a Grace Murray Hopper, la matematica militare statunitense considerata la pioniera della programmazione informatica.
Nell’ostinarsi a fare le cose sempre nello stesso modo il rischio è di asfaltare i sentieri delle vacche. L’aneddoto è noto: “Nel Seicento le vacche vagavano libere nel Boston Common e nelle zone circostanti; nel tempo i sentieri da loro tracciati diventarono molto battuti, e con la costruzione di botteghe e case la gente li usò per passarci con i carri. Alla fine, misero la pavimentazione, e nel Novecento quasi tutti i sentieri furono abbastanza asfaltati, e non c’erano più bovini in vista. Chiunque si è trovato a guidare a Boston può capire che avere strade progettate dalle vacche forse non è il massimo per una città moderna”.
Il rischio, ancora, è di cedere al ricatto delle abitudini alla pigrizia del nostro cervello che, per risparmiare energia, “non partecipa più al processo decisionale”[1].
La storia insegna, al contrario, che per fare meglio bisogna invece spesso proprio disubbidire alle abitudini al “si è sempre fatto così”. E questo in tutti i settori dell’agire umano. Vediamone alcuni.
Per anni, per decenni gli uomini e le donne hanno cercato di saltare sempre più in alto. Nello sport, le tecniche si sono succedute creando, nel tempo, miglioramenti incrementali. Il salto a forbice ha dominato per molto tempo la tecnica del salto e permetteva, dopo una rincorsa in linea retta, il superamento dell’asticella con una “sforbiciata” e poi la caduta in piedi. Nel 1912 lo statunitense George Horine fu il primo ad introdurre il western roll: la tecnica con cui l’atleta superava l’ostacolo con il ventre, “di pancia” ruotando intorno all’ostacolo. Usando questa tecnica George raggiunse i 2 metri di altezza. Evoluzioni, miglioramenti, ma sempre incrementali. Il vero cambiamento, rivoluzionario, arrivò nel 1968 per opera di Richard Douglas Fosbury, un ragazzo dell’Oregon che si presentò alle olimpiadi di Città del Messico con una tecnica di salto completamente nuova con cui si era già cimentato nel suo paese. Dick non cercò di fare meglio, semplicemente stravolse il modo con cui affrontare l’asticella: di schiena, in un modo apparentemente assurdo. Da allora in poi, non si è più fatto come prima.
Continuando con lo sport, Kathrine Switzer, la prima donna a correre ufficialmente la maratona di Boston (ancora questa città) nel 1967. Disubbidì alle regole, alle convenzioni, alla cultura dominante che considerava tale sport non adatto alle donne. Si allenò, si iscrisse con uno stratagemma usando solo le sue iniziali, KV Switzer, e corse con il numero 261 nonostante i tentativi di chi, una volta scoperta durante la corsa, cercò di strattonarla via dalla strada. Una ricerca sul web dell’accaduto restituisce le immagini di quell’episodio, e la goffaggine di chi tentò di opporsi al cambiamento. Sempre nello sport e sempre al femminile è la storia di Alfonsina Strada, l’unica donna fra gli uomini al giro d’Italia. E ancora, Annette Kellerman, una nuotatrice australiana, che fu arrestata con l’accusa di atti osceni, per aver indossato, sulla spiaggia di Boston (ancora!), un costume che le lasciava scoperte le gambe e le braccia, disubbidendo, così alla morale pubblica.
Lasciando il mondo dello sport non posso non citare Rosa Parks che nel 1955 si rifiutò di cedere il proprio posto sull’autobus a un uomo bianco. Poi spaziando alla rinfusa: Zeman e il Pescara, il cuoco Terry di Parma, Galileo Galilei, James Dyson, Albert Einstein, Jimi Hendrix e tanti altri che hanno innovato esplorando strade nuove, abbandonando le regole, la cultura dominante, le abitudini, i sentieri tracciati da quelli che li avevano preceduti.
Fino ai tragici episodi di questi anni, di questi giorni che ci riportano, dopo la morte di Mahsa Amini, cronache di disubbidienza civile represse con la violenza contro donne che, semplicemente, hanno deciso di opporsi ad abitudini in cui non si riconoscono più.
E poi potrei andare avanti ancora, per molto ma vi consiglio questa bellissima lezione di Alessandro Baricco proprio sui grandi personaggi della storia anche contemporanea in cui, partendo anche lui da Fosbury, cita personaggi come la Callas, Kate Moss, gli impressionisti.
Il tema ci riconduce al filo rosso che stiamo tracciando e che ci porterà alla prossima edizione di FORUM PA. Abbiamo bisogno di pubbliche amministrazioni non solo in grado di attrarre i talenti, ma di lasciarli sperimentare, di provare, di metterli in condizione di fallire per individuare strade nuove, di far emergere i Fosbury del cambiamento.
[1] Charles Duhigg, La dittatura delle abitudini: Come si formano, quanto ci condizionano, come cambiarle, Corbaccio, 2021