Non sprecare la crisi. Il nodo della rappresentazione. Stato, imprese, territorio
Il tema della crisi è avvolto da un velo tanto trasparente quanto fortissimo: come raccontarla?
Esso riguarda la politica, le istituzioni, le imprese, le associazioni, gli ambiti della formazione e naturalmente i media. A ricasco riguarda cittadini, operatori, consulenti.
Vivere dentro una “bolla” (una condizione oscura che ci avvolge nel tempo) per alcuni è vincolo, per altri alibi, per altri ancora opportunità. Ciò spiega già che la crisi non è a senso unico. Rappresentarla vuol dire varie cose difficili: spiegarla (immenso tema), riconoscerla (immensa capacità), individuarne la curva di percorso, non solo in ordine agli indici “semplici” (PIL), ma anche in ordine agli indici “complessi” (trasformazioni strutturali, riforme necessarie, in una parola governance).
22 Marzo 2010
Stefano Rolando*
Il tema della crisi è avvolto da un velo tanto trasparente quanto fortissimo: come raccontarla? Esso riguarda la politica, le istituzioni, le imprese, le associazioni, gli ambiti della formazione e naturalmente i media. A ricasco riguarda cittadini, operatori, consulenti.
Vivere dentro una “bolla” (una condizione oscura che ci avvolge nel tempo) per alcuni è vincolo, per altri alibi, per altri ancora opportunità. Ciò spiega già che la crisi non è a senso unico. Rappresentarla vuol dire varie cose difficili: spiegarla (immenso tema), riconoscerla (immensa capacità), individuarne la curva di percorso, non solo in ordine agli indici “semplici” (PIL), ma anche in ordine agli indici “complessi” (trasformazioni strutturali, riforme necessarie, in una parola governance).
Ecco perché sul tema “rappresentazione” hanno voce in capitolo almeno tre scuole di pensiero.
- La prima scuola di pensiero è quella “governativa” (chiunque sia a guida del governo). Nel contesto italiano (che è sostanzialmente esente dall’influenza della cultura protestante e quindi dal concetto di “autoanalisi” del sistema) essa punta sulla minimizzazione. Non tanto per diminuire l’esplicitazione delle responsabilità connesse, ma per non scaricare la leva della fiducia che è ancora un rilevante stabilizzatore partecipativo alla ricerca convergente delle soluzioni. Essa avrebbe una voce potente, ma che sull’argomento è sottotono. Tesa più ad aggettivare l’adattamento dell’opinione pubblica che a fare notizia su provvedimenti per loro natura impopolari.
- La seconda scuola di pensiero è quella delle “opposizioni” (chiunque sia all’opposizione) che apparentemente sarebbe tentata di massimizzare. Non tanto per avere argomenti facili di visibilità e di consenso, quanto per distogliere l’attenzione sulla propria scarsa capacità di proposta e di controllo che in una democrazia deficitaria proprio su questi aspetti caratterizza spesso il ruolo delle opposizioni. Qui un freno alla massimizzazione viene dai più avveduti: la generazione di una crisi passa inevitabilmente per un concorso di responsabilità che in una democrazia rotante coinvolge tutti. Essa avrebbe una voce importante sul “fare notizia” (perchè accettata dal sistema mediatico) ma finisce per proporsi in modo ripetitivo e spesso demagogico.
- La terza scuola di pensiero (che dovrebbe teoricamente essere privilegiata dal sistema di impresa) è quella di chi ritiene indispensabile ricondurre i termini della discussione a un punto franco. Che potrebbe essere descritto in un perimetro di “certezze istituzionali”, che si fanno carico di alcune cose: l’aderenza all’internazionalizzazione dei processi; la qualità dei dati evidenziati; la neutralità rispetto agli attori politici. Essa non ha l’abitudine al trattamento comunicativo, parla “difficile”, opera spesso sottotraccia, non vuole scatenare conflitti con la politica, a volte pensa di condizionare il sistema con colpi di fulmine e non tessendo pedagogicamente il consenso. Risultato, anch’essa è comunicativamente flebile.
Alla luce di questo schema ultra-sintetico, lo spazio di “interviste in pubblico” che da tre anni rappresenta a FORUM PA un’area che cerca argomenti di interesse per gli operatori non rappresentando l’interesse di parti, cerca di formulare una proposta che possa mettere in condizione rappresentanti di istituzioni, associazioni, imprese di esprimersi sul concetto di “non sprecare la crisi” (tema portante generale dell’edizione 2010) con una maggiore libertà rispetto ai vincoli citati espressi dal posizionamento sostanziale.
Espliciteremo a giorni il programma, ma annunciamo qui l’importanza del tema per la vita stessa della dirigenza pubblica. Essa ha il problema di pensare un pensiero proprio. E’ il “suo” storico problema nel nostro paese. In alcuni momenti della storia (in Europa la cosa è meno occasionale) si è visto che a questa dirigenza è persino richiesto di avere un pensiero. E quando ciò accade non basta raccogliere i ritagli stampa. Non basta sviluppare scalette politicamente corrette. Non basta invitare uno “straniero” ai propri convegni per farsene scudo. Lì conterebbe la scuola che si è fatta, la formazione che ci si è guadagnati per ricerca propria (quella del sistema è per lo più descrittiva non interpretativa), la rara – ma non azzerata – esistenza di un capo che sa leggere il posizionamento intellettuale della squadra non rispetto al bisogno di status quo che la burocrazia crede di dover massimamente interpretare ma rispetto al bisogno di temperare i conflitti che è la visione (salveminiana) ancora più moderna che i paesi competitivi dovrebbero esprimere. Quel capo, se esiste, può anche non scoprirsi del tutto. Facendo avanzare nello scacchiere più voci, che appartengono ad una idea di amministrazione come “laboratorio”.
Che ciò sia esistito, lo so. Che ciò esista, qualche volta si intuisce e si vede. Il tentativo di questo spazio aperto di dibattito cercherà di andare in questo senso e di equilibrare la legittima propaganda che una parte inevitabile di una “fiera” può e deve esprimere.
Stefano Rolando è Professore di Teoria e tecniche della comunicazione pubblica – Università IULM – Milano