Ottima la ruspa di Renzi, ma qual è il bersaglio?
Alla ruspa Renzi è avvezzo, anche fuor di metafora, come quando, da sindaco, abbatté personalmente le brutte pensiline che da troppi anni e troppi sindaci rovinavano il profilo della Stazione di Santa Maria Novella. Lì l’obiettivo era chiaro: una superfetazione architettonica, nata per essere temporanea (antico vezzo che suol aver l’Italia) diventa permanente e si imbruttisce ogni giorno di più: ergo viva la ruspa! Quando invece il Presidente del Consiglio si propone di "entrare con la ruspa dentro la burocrazia" è lecito chiedersi cosa vuole abbattere. Quale bruttura è il suo bersaglio. La risposta non è scontata e da questa dipende una mia adesione entusiasta o una mia scettica perplessità. Perché quando si è ai comandi di una ruspa, bisogna essere sì decisi, ma anche molto molto attenti.
23 Aprile 2014
Carlo Mochi Sismondi
Alla ruspa Renzi è avvezzo, anche fuor di metafora, come quando, da sindaco, abbatté personalmente le brutte pensiline che da troppi anni e troppi sindaci rovinavano il profilo della Stazione di Santa Maria Novella. Lì l’obiettivo era chiaro: una superfetazione architettonica, nata per essere temporanea (antico vezzo che suol aver l’Italia) diventa permanente e si imbruttisce ogni giorno di più: ergo viva la ruspa! Quando invece il Presidente del Consiglio si propone di "entrare con la ruspa dentro la burocrazia" è lecito chiedersi cosa vuole abbattere. Quale bruttura è il suo bersaglio. La risposta non è scontata e da questa dipende una mia adesione entusiasta o una mia scettica perplessità.
Senza scomodare Weber credo che quando pensiamo alla burocrazia che frena questo Paese, perché è questa che dobbiamo abbattere, possono venire alla mente almeno tre aggregazioni di “portatori di interessi” che sono i nostri “nemici” perché hanno a cuore il mantenimento dello status quo.
Il primo e più scontato è quello dato dai famigerati “fannulloni”, ma non mi dilungherei su questo. Non credo che ce ne siano di più nella PA che in qualsiasi altra organizzazione e credo che sia vero quello che scriveva Giovanni Valotti ossia che “Fannulloni si diventa”.
Sempre interni al pubblico impiego già più pericoloso mi sembra il gruppo (molto diffuso tra i dirigenti) degli attendisti, ossia quelli che attendono, prima di cambiare comportamenti, che sia proprio necessario e non se ne possa fare a meno, con la sempre viva speranza che “Ha da passà a nuttata” e poi tutto torna come prima. Speranza che una durata media dei governi della Repubblica di poco superiore ad un anno ha tramutato in quasi certezza.
Qui l’unica ruspa possibile è la valutazione sia individuale sia e soprattutto degli outcome dell’organizzazione, ossia di se e come questa ha prodotto valore per i contribuenti. Poi la certezza delle regole, l’attenzione maniacale a fare squadra, a motivare, a riconoscere e premiare il merito, alla comunicazione interna, alle occasioni di crescita e di condivisione, al benessere organizzativo. Insomma all’attenta gestione delle persone che nasce solo dalla convinzione che siano loro la vera ricchezza di ogni organizzazione.
Il terzo gruppo è dato dagli attuali detentori di potere e di privilegi: una PA semplice disintermedia, abbatte posizioni e rendite costituite sull’incertezza e l’ignoranza dei diritti, obbliga ad una crescita di qualità nelle professioni. Qui la ruspa è la chiarezza di una PA semplice che è capace di parlare la stessa lingua dei cittadini e si rivolge a loro solo quando è necessario e in forme che sono studiate per loro e non per l’amministrazione.
Fin qui nulla di nuovo, ma mi pare che siamo ancora lontani dal bersaglio se non consideriamo il quarto gruppo, quello che un po’ genericamente possiamo chiamare della politica e che coinvolge sia il legislatore (Parlamento e Regioni), sia il potere esecutivo (Governo centrale e governi locali). Per brevi cenni totalizziamo qui una serie di patologie degne di essere vittime della ruspa renziana: per prima la bulimia di un legislatore che trova un senso a quel che fa solo legificando a più non posso, regolamentando con norme primarie qualsiasi aspetto della nostra vita, costruendo mondi paralleli di adempimenti e di carta che si sono spesso sostituiti al mondo reale; poi la sciatteria di un esecutivo che ha permesso che le leggi non fossero applicate; infine il mostro che le prime due malattie hanno creato. A leggi non applicate (interessante a titolo di esempio, parlando proprio di semplificazione, l’inadempienza delle amministrazioni che si legge nella relazione complessiva contenente il bilancio annuale degli oneri amministrativi introdotti e eliminati nell’anno 2013) non ha corrisposto un più stringente controllo, ma una reiterazione di leggi nuove che hanno prodotto l’orrendo groviglio di una legislazione ipertrofica e autocontraddittoria che è il primo ostacolo che ci auguriamo che la nostra ruspa abbatta.
Proviamo ad applicare questo modellino alla complicazione che un sondaggio (per altro interessantissimo e che vi consiglio di leggere tutto), fatto dall’Ufficio semplificazione del Dipartimento della Funzione Pubblica, indica come la più complicata: ossia gli adempimenti fiscali. Cito dal documento di sintesi del sondaggio:
I cittadini segnalano il numero eccessivo di adempimenti (dichiarazioni, comunicazioni e pagamenti), che hanno scadenze diverse nell’anno e l’estrema difficoltà incontrata nel calcolare l’imposta da versare. Vengono, inoltre, segnalate le complicazioni derivanti dall’obbligo di comunicare dati che sono già in possesso dell’amministrazione pubblica, la difficoltà a colloquiare con l’amministrazione ed il continuo cambiamento delle norme.
In queste semplici e veritiere parole, che nascondono una profonda indignazione, è coinvolta per prima l’amministrazione: perché l’interoperabilità delle banche dati, la semplicità delle procedure, l’assenza di dichiarazioni precompilate non è colpa della politica. Non servono leggi, sono attività che l’amministrazione avrebbe potuto svolgere a legislazione vigente.
Certo conosco bene tutte le limitazioni anche finanziarie a cui questa è stata costretta, ma che, dopo almeno due decenni da quando se ne parla, non si sia ancora riusciti a non chiedere al cittadino dati già in possesso dell’amministrazione grida vendetta.
Ma nel giudizio è coinvolta anche la politica (Parlamento e Governo) che ha legificato troppo, in modo sconclusionato e schizofrenico (basti pensare ai pasticci delle tassazioni sulla casa e sui servizi comunali) e ha cambiato continuamente le regole mentre la partita era in corso. Infine non è certo il cittadino che ci guadagna se per pagare le tasse è costretto a pagare un professionista che gli spieghi come fare.
Insomma di brutti muri da abbattere non mancano, basta non sbagliare bersaglio, non abbattere, invece delle brutture, i muri della casa comune in cui viviamo e non fare di tutt’erba un fascio. Perché quando si è ai comandi di una ruspa, bisogna essere sì decisi, ma anche molto molto attenti.