Pari opportunità: posticipare l’età pensionabile aiuta? I risultati del nostro questionario.
Il 13 novembre scorso, la Corte di giustizia europea ha dichiarato, con sentenza, l’inadempienza dello Stato italiano per: “mantenere in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a percepire la pensione di vecchiaia a età diverse a seconda che siano uomini o donne, venendo meno agli obblighi di cui all’art. 141 CE”. Insomma, siamo stati condannati perché l’anticipazione dell’età pensionabile delle donne determina una discriminazione.
Sulla scia del dibattito seguito, avevamo proposto ai nostri lettori un questionario: la parità di trattamento economico sancita dalla Corte di Giustizia Europea aiuta davvero la donna a vivere la propria vita lavorativa su un piano di parità rispetto all’uomo?
14 Gennaio 2009
Il 13 novembre scorso, la Corte di giustizia europea ha dichiarato, con sentenza, l’inadempienza dello Stato italiano per: “mantenere in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a percepire la pensione di vecchiaia a età diverse a seconda che siano uomini o donne, venendo meno agli obblighi di cui all’art. 141 CE”. Insomma, siamo stati condannati perché l’anticipazione dell’età pensionabile delle donne determina una discriminazione.
Sulla scia del dibattito seguito, avevamo proposto ai nostri lettori un questionario: la parità di trattamento economico sancita dalla Corte di Giustizia Europea aiuta davvero la donna a vivere la propria vita lavorativa su un piano di parità rispetto all’uomo?
Le risposte che continuano ad arrivare dimostrano ancora una volta quanto sia vivo il dibattito in atto sulle concrete modalità di attuazione della sentenza europea sull’allineamento dell’età’ pensionabile fra i sessi.
Tema, evidentemente, ritenuto di non di facile soluzione se non si collega questa riforma alla messa in moto di politiche attive finalizzate all’occupazione femminile e all’introduzione di strumenti di conciliazione fra vita e lavoro. Nel nostro questionario, infatti, la considerazione interessante è che "fronte del SI" e "fronte del NO" partono dalla stessa considerazione: che la società italiana così come è concepita e la cultura italiana della famiglia non consentono alla donna di fare la stessa carriera e di cogliere le stesse opportunità degli uomini. Dopo di che c’è chi ritiene che posticipare l’età pensionabile delle donne sia un aiuto in più e chi, invece, ritiene che non sia questo l’elemento fondamentale e prioritario per raggiungere la parità.
Nell’uno o nell’altro caso alla Corte va riconosciuto il grande merito di aver costretto il nostro Governo a riaprire il dialogo su questo tema: andare in pensione prima, ritengono i giudici lussemburghesi, “non compensa gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici donne e non le aiuta nella loro vita professionale né pone rimedio ai problemi che possono incontrare nella loro vita professionale”. Quello che è sotteso a questa riflessione costituisce il punto nevralgico della sentenza della Corte che ha riportato all’attenzione dei media e sui tavoli tecnici – proprio ieri se ne è aperto uno presso il Ministero del Lavoro – una discriminazione che viene da lontano e ha basi culturali, ma anche molto concrete.
Proviamo a riassumere brevemente lo spirito delle risposte arrivate.
Posticipare l’età pensionabile della donna va bene perché:
– “è un aiuto ad avviare la realizzazione della parità: se non è solo formale, aiuta perché dovrebbe garantire le stesse opportunità di vera retribuzione; se è solo formale, è comunque una forma di garanzia minima”;
– “intorno ai 50/55 anni abbiamo in genere i figli grandi, la vita domestica ben organizzata e potremmo non essere escluse da concorsi interni e miglioramenti di carriera come avviene ora quando arriva la pensione, proprio nel periodo della vita in cui siamo più mature, colte e con anni di esperienza lavorativa al nostro attivo”;
– “a parità di impegno, deve corrispondere una parità di retribuzione, a parità di qualità di ore di lavoro, di responsabilità e di anzianità nei contributi è giusto dare lo stesso trattamento pensionistico”;
– “offre una garanzia in più alla donna lavoratrice che oggi è discriminata sotto il profilo retributivo e salariale. Diversa la questione del pensionamento dove si dovrebbe chiedere allo Stato (se l’obiettivo è davvero di riequilibrare il vitalizio tra uomini e donne) di intervenire in maniera compensativa, considerando anche il lavoro di cura della famiglia che le donne generalmente svolgono anche quando hanno una occupazione”;
– “il genere non può essere un parametro in grado di influenzare il calcolo della retribuzione dovuta, ma la corretta applicazione della sentenza è subordinata alla predisposizione da parte dello Stato di tutta una serie di interventi di tipo assistenziale e di aiuto alle famiglie”.
Quest’ultimo è il “reale” problema che sottende al forte richiamo che l’Europa ha inteso dare: sempre nelle parole di una lettrice “…la società italiana non riconosce il grande carico sociale che la donna sostiene: fa nascere e alleva i figli, è il muro portante del nucleo famigliare e la figura che si rapporta con le altre realtà della società – scuola, istituzioni, ecc. Fin quando la società italiana non creerà una rete di sostegno a questo (asili nido a costi accessibili, orari di lavoro tagliati sulle esigenze delle famiglie e delle donne che lavorano, ecc.) sarà sempre e comunque ingiusto e iniquo pretendere che le donne possano rivestire un ruolo lavorativo al pari degli uomini”.
La questione è riequilibrare un sistema nel quale le donne siano finalmente meno svantaggiate nel lavoro e nella gestione della vita familiare, e poi, solo come conseguenza, accedano alla pensione in perfetta parità con gli uomini. Insomma non è certo con l’innalzamento dell’età pensionabile che si raggiunge la parità tra uomo e donna, bensì ponendoli sullo stesso piano nell’assegnazione di incarichi sia nel fornire alle donne mezzi per poter conciliare il lavoro con la famiglia.
L’intesa su questo punto, per quanto emerge dalle risposte al questionario, è unanime:
– “alzare l’età pensionabile è l’ultima delle priorità per raggiungere la parità, anche di retribuzione. Ci sono altre discriminazioni: l’idoneità ad un ruolo, gli stili di direzione, la disponibilità a non avere limiti di tempo, etc.. Questi sono pregiudizi esistenti che non consentono alle donne di raggiungere i posti di potere”;
– "a tutt’oggi molte donne (anche del ruolo dirigenziale) sono costrette ad andare in pensione per dedicarsi alla cura dei genitori anziani,dei familiari disabili o dei nipoti…nella quasi totalità dei casi svolgono funzioni di caregiver tutte le volte che vi e’ un disabile in famiglia…sarebbe indispensabile che il legislatore, prima di provvedere ad equiparare l’età pensionabile, si occupasse di garantire tutti i servizi socio-assistenziali di cui attualmente nessuna donna dispone, se non in casi eccezionali in quanto privilegiata economicamente…”
Gli elementi emersi dal questionario sono molti: possono essere riassunti perfettamente nei 6 perché con cui una lettrice ha argomentato il suo NO alla domanda del questionario:
- perchè l’obbligo di parità non è l’obbligo di parità di accesso alla cosiddetta "carriera" e può restare comunque disapplicato;
- perché l’adeguamento allo stile di vita maschile non è parità ma uniformazione al criterio dominante;
- perchè la donna lavora "anche" fuori casa;
- perché l’allungamento dell’età lavorativa non aggiunge necessariamente carriera, ma al massimo recupera il tempo di "stasi" legata a maternità, accudimento ecc.;
- perché la parità comincia da altre opportunità;
- perché non è la retribuzione che da sola fa la differenza, e da sola non basta a ricompensare fatiche e plurifunzioni.
Un’ultima nota. Non abbiamo chiesto a chi ha partecipato al sondaggio di indicarci se uomo o donna: ma la natura delle risposte date e la veemenza dei toni – che è propria solo di chi ha forte esperienza di quello di cui si parla – ci spingono a pensare che a risponderci siano state, prevalentemente, donne. Grazie a tutte (tutti?).
“Ben altre sono le discriminazioni nel mondo del lavoro! Personalmente voglio che mi sia garantita l’opportunità di scegliere se lavorare di più ed avere una pensione maggiore o avere meno soldi e la possibilità di riappropriarmi della mia vita e dei miei tempi e quindi dei miei valori!”.