È una parola, un concetto che abbiamo evocato molte volte in questi anni ma, ora, ci sentiamo quasi di urlare: execution. Il 2017 deve essere l’anno di effettiva realizzazione e concretizzazione di processi in corso. Basta legiferare, rinovellare codici e diffondere proclami. Il cambiamento e l’innovazione nella PA italiana non si teorizza, si deve realizzare.La fotografia emersa dal nostro
Annual Report che abbiamo presentato lo scorso dicembre è sufficientemente chiara: dobbiamo sciogliere, spezzare l’autoreferenzialità di una PA che troppo spesso si rivolge a se stessa o che tenta di interpretare – con lo sguardo miope di chi non è più abituato a guardare oltre la propria scrivania, a girare il paese, ad ascoltare – problemi e bisogni che invece sono sempre più distanti da chi ci governa. In 26 anni abbiamo registrato 8 legislature, 14 ministri della funzione pubblica e 16 azioni di riforma ma, nella maggior parte dei casi, i problemi sono quelli di sempre e la sfiducia è palpabile. In 700 avete risposto alla nostra indagine dello scorso mese consegnandoci segnali sufficientemente chiari: 4,5 è il voto che date alla riforma Madia. Per il 38% dei dipendenti pubblici, con l’applicazione della riforma non cambierà nulla, mentre il 40% dichiara che cambierà in peggio e lo stesso vale per i dipendenti dei settori privati: il 45% pensa che non cambierà nulla mentre il 25% prevede cambiamenti in peggio.E, quindi, ci rassegniamo? No, almeno per quanto ci riguarda. Continueremo, fino all’estremo, a sollecitare il cambiamento verso una PA capace di abilitare e sostenere la ripresa del paese invece di appesantirla, quotidianamente, con una burocrazia difensiva che premia chi rimane immobile. Come dicevo, nel 2017
(vedi l’analisi di dettaglio nella nostra ricerca) dovranno diventare esecutivi importanti provvedimenti e adempimenti. Solo per fare qualche esempio, a partire dal primo gennaio tutte le amministrazioni dovrebbero aver attivato PagoPA; dalla stessa data (anche se poi “posticipata” al 31 gennaio) dovranno essere adeguate le sezioni Amministrazione Trasparente di tutti i siti pubblici; entro il prossimo dicembre deve essere portato a compimento il percorso dello SPID (a fine dello scorso anno erano il 4,4% del totale gli enti che lo avevano introdotto); entro il 23 giugno dovrebbe essere disciplinato l’accesso civico generalizzato previsto (già a partire dal 23 dicembre) dal cosiddetto FOIA, e cosi via lungo una lista che rischia di essere lunga e noiosa.Non possiamo permetterci che questi processi vengano interrotti: la posta in gioco è alta, altissima. In una paese che stenta a riprendersi e a ripartire abbiamo bisogno di una PA efficiente in grado di rispondere a bisogni e problemi sempre più articolati e complessi. Nella nostra indagine abbiamo citato i dati OCSE che stimano un aumento di 9 miliardi di PIL in cinque anni se la riforma della PA andasse avanti. Purtroppo, però, il rischio di un ennesimo frutto mancato (la bella metafora usata da Carlo nell’editoriale di fine anno) c’è, e come. Continuiamo ad essere vittime di un determinismo normativo, che denunciamo da anni, capace di metabolizzare e ridurre idee rivoluzionarie, culture emergenti e modelli innovativi a norma, leggi e scadenze. Retaggio di una visione burocratica e gerarchica della PA basata sull’adempimento invece che sul progetto, su obiettivi e sui risultati
(lo scrivevo un anno e mezzo fa).Lasciamo per un anno avvocati e amministrativisti tutto fare e concentriamoci su progetti esecutivi seri e, soprattutto, sulle
competenze di coloro che poi dovranno gestire tali processi. La PA che deve innovare il Paese soffre di disfunzioni croniche che nessuna riforma è riuscita ancora a intaccare. Così gli impiegati pubblici sono troppo vecchi, poco qualificati, mal distribuiti, pagati in modo troppo difforme e con troppi dirigenti. L’impatto della riforma Madia in questo senso è ancora nullo, perché il turnover non è stato ancora in effetti sbloccato e perché i provvedimenti che riguardano dirigenza e lavoro pubblico sono ad oggi fermi o ritirati.È scellerato pensare che fatta la norma si sia risolto il problema o raggiunto l’obiettivo. È proprio nella fase attuativa che bisogna concentrarsi mettendo a punto azioni specifiche e puntuali per dare effettiva attuazione ai processi di cambiamento. Come diciamo spesso: meno norme, più manuali, più reti e, soprattutto,
più formazione.Prendiamo, come esempio, la recente normativa in fatto di accesso agli atti, il tanto decantato FOIA. Come messo in evidenza su un nostro
articolo di commento alle linee guida “Non sembra raggiunto lo scopo di fornire indicazioni certe ai funzionari pubblici, che si troveranno ad
applicare la normativa proprio in quella valutazione “caso per caso” più volte sottolineata senza, tuttavia, essere stati provvisti della preparazione a ciò necessaria […] Di certo l’Anac, mediante le Linee Guida, avrebbe anche dovuto ovviare alla
carenza di un’adeguata formazione del personale che dovrà istruire le pratiche inerenti alle richieste di disclosure, offrendo esemplificazioni fondate su richiami normativi e giurisprudenziali”. Si tratta, quindi, di produrre non solo innovazione tecnologia e normativa ma anche organizzativa e culturale.Per fare questo le risorse ci sono e si chiamano PON Governance e Capacità istituzionale previsti nell’ambito della programmazione europea 2014-2020 . Sono più di 800 milioni gestiti in gran parte proprio da Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione . Per adesso, poco è stato fatto, cerchiamo di non perdere anche questa occasione. Potrebbe essere l’ultima.