Per un “diritto a conoscere”: norme chiare e digitalizzazione vera dell’ente pubblico

Home Riforma PA Per un “diritto a conoscere”: norme chiare e digitalizzazione vera dell’ente pubblico

Anorc: “Va costruito un modello organizzativo che funzioni, che ribalti le (relative) certezze del mondo analogico e che sia affidato a persone competenti, responsabilizzate e professionalizzate

7 Aprile 2016

A

Andrea Lisi e Sarah Ungaro*

Nessuna legge impone la decenza, ma tutte le persone oneste la rispettano (Nicolas Chamfort)

Non è un segreto che lo schema di decreto con cui si vorrebbe introdurre il FOIA si è rivelato alquanto deludente rispetto alle aspettative: molte, in effetti, erano le attese per l’adozione di un nostro Freedom Of Information Act.

Tuttavia, piuttosto che promettere l’introduzione passiva (quasi da “copia-incolla”) di un istituto di origine statunitense difficilmente implementabile nell’ordinamento italiano e che – di fatto – si è tradotta in una “contaminazione” dall’esito poco riuscito, sarebbe stato meglio potenziare gli istituti giuridici già esistenti dell’accesso agli atti e dell’accesso civico, rispettivamente disciplinati nella Legge n. 241/1990 e nel D.Lgs. n. 33/2013, al fine di incrementare i livelli di trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche e favorire un controllo sociale diffuso sull’utilizzo delle risorse. Si può fare, infatti, davvero innovazione continuando a introdurre nel nostro sistema normativo nuove leggi, senza invece semplificare, coordinare e fare chiarezza? La vera trasparenza la si potrebbe ottenere prima di tutto tagliando le tante norme inutili e contraddittorie presenti nel nostro sistema paese . Purtroppo si continua ad affastellare normativa primaria, rendendo il nostro sistema sempre più pletorico. In Italia, secondo quanto recentemente dichiarato da Luca Attias (Direzione Generale Sistemi Informativi della Corte dei Conti), le norme in vigore sono un numero imprecisato tra le 75.000 e le 165.000. Il Paese europeo che ci segue più da vicino è la Francia con le sue 7.500 leggi. E se solo si ricorda cosa diceva in proposito Tacito nel diritto romano ( corruptissima re publica plurimae leges ) ben si può comprendere quale sia la reale emergenza per ottenere una maggiore trasparenza amministrativa (e politica) in Italia: la semplificazione normativa, non di certo l’introduzione di un istituto, pur corretto, presente da tempo nel sistema giuridico statunitense.

A ben vedere, infatti, paradossalmente, le nuove disposizioni sul FOIA potrebbero finire con l’indebolire le normative sulla trasparenza già esistenti nel nostro Paese , le quali hanno funzioni e presupposti diversi, soprattutto perché sono state formulate in modo tale da generare il rischio di confondere alcune regole specificamente dettate per il “nuovo accesso” con la disciplina dell’attuale accesso civico, relativo invece ai dati e ai documenti per cui già sussiste l’obbligo di pubblicazione ai sensi del D.lgs. 33/2013.

Rilievi molto critici in tal senso sono stati formulati dal Consiglio di Stato nel parere reso lo scorso 18 febbraio, in cui i giudici di Palazzo Spada hanno osservato che il nuovo istituto dell’accesso ispirato al FOIA, rispetto agli istituti dell’accesso agli atti ex Legge 241/1990 e dell’accesso civico ex D.Lgs. 33/2013, può essere considerato in astratto una forma di accesso più ampia, in quanto consentirebbe di accedere non solo ai dati, alle informazioni e ai documenti per i quali esistono specifici obblighi di pubblicazione o per i quali il richiedente possa vantare un interesse diretto, concreto e attuale (corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso), ma anche ai dati e ai documenti per i quali non esista tale obbligo di pubblicazione o verso i quali il richiedente non abbia tale posizione qualificata. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha sottolineato che la previsione del meccanismo del silenzio-rigetto decorsi 30 giorni dalla presentazione della richiesta, l’assenza di un obbligo di motivazione in caso di rigetto, le ipotesi di esclusione troppo generiche costituiscono elementi che rischiano di attribuire all’amministrazione un ambito di discrezionalità troppo ampio nel negare l’accesso dei cittadini.

Inoltre, non si può non osservare che avere nel nostro ordinamento tre forme di richiesta di accesso ai documenti della PA , tutte con presupposti giuridici e meccanismi peculiari, rischia dunque di delineare un quadro giuridico confuso, che potrebbe tradursi nell’oggettiva difficoltà da parte dei cittadini di individuare il corretto istituto giuridico ai sensi del quale inoltrare le richieste di accesso: il paradosso, infatti, è che con queste nuove disposizioni si fornirebbero a un’amministrazione pubblica “poco sensibile” alle esigenze di trasparenza ulteriori motivazioni formali per rifiutare una richiesta di accesso da parte di un cittadino, perché magari non rivolta al soggetto competente (responsabile del procedimento, responsabile della trasparenza o altro soggetto individuato) o non formulata secondo i presupposti specifici dell’istituto di riferimento.

Per altro verso, anche l’Autorità garante per la privacy ha ribadito le sue perplessità nel provvedimento del 3 marzo 2016, chiedendo maggiore tutela per i dati dei cittadini e sottolineando l’elevato rischio di contenzioso che comporta la formulazione delle norme che si intendono introdurre e quindi, in prospettiva, gli effetti negativi che potrebbero prodursi: i possibili futuri contrasti giurisprudenziali e la proposizione di eventuali ricorsi alla Corte costituzionale e alla Corte di giustizia UE. Anche il Garante privacy, infatti, ha criticato la mancanza di precisi limiti all’accesso che l’amministrazione pubblica debba tenere in conto per rifiutare legittimamente l’istanza presentata da un cittadino: il rischio, come già evidenziato, è ovviamente quello di lasciare spazio a un’eccessiva discrezionalità, che potrebbe portare anche a disparità di trattamento in relazione a richieste di accesso ai dati di analoga natura.

Rilievi simili sono stati sin da subito espressi dall’associazione ANORC (Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione digitale) che ha provveduto a segnalarli al Dipartimento della funzione pubblica nonché al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, in una lettera aperta, redatta dall’On. Mara Mucci, e sottoscritta anche da IWA, Agorà Digitale, altre Associazioni e da diciassette parlamentari, al fine di evidenziare gli interventi necessari a migliorare lo schema di decreto su trasparenza e FOIA.

Nello specifico, è stata evidenziata la necessità di:

  • riformare e ampliare la disciplina dell’accesso agli atti della Legge 241/1990 per introdurre il nuovo istituto del FOIA, lasciando immodificato l’accesso civico del D.Lgs. 33/2013, nato con diversa finalità;
  • prevedere che i casi di diniego siano delimitati e specificati maggiormente dalla normativa, al fine di evitare un’eccessiva discrezionalità da parte della pubblica amministrazione, prevedendo altresì un obbligo di motivazione espressa, puntuale ed esaustiva del diniego stesso;
  • evitare il meccanismo di “silenzio diniego” come risposta a una richiesta di accesso, prevedendo l’obbligo di adozione di un provvedimento espresso (e motivato) da parte dell’amministrazione procedente;
  • stabilire sanzioni per il responsabile del procedimento in caso di illegittimo rifiuto di accesso agli atti;
  • prevedere, in caso di esigenze di differimento dei termini, l’obbligo di adozione di un provvedimento espresso che rappresenti nello specifico le motivazioni del differimento;
  • stabilire, in caso di diniego da parte dell’amministrazione, l’obbligatorietà del ricorso dinanzi alla Commissione di accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio quale condizione di procedibilità del ricorso al TAR, al fine di deflazionare l’eventuale contenzioso e garantire al cittadino uno strumento semplice e senza costi per far valere le proprie ragioni. A seguito del provvedimento della Commissione, l’eventuale successivo ricorso al TAR dovrà essere esentato dal pagamento del contributo unificato.

Affinché, dunque, sia introdotto un inedito “diritto a conoscere” in capo a tutti i cittadini, come osservato dal Consiglio di Stato, è necessario che le disposizioni sul nuovo istituto dell’accesso ispirato al FOIA trovino un’opportuna collocazione sistematica nell’ordinamento e siano formulate con maggiore puntualità e attenzione.

Infine, ci sia consentita una considerazione finale. Si ha la sensazione che si continuino a introdurre norme per la PA (dalla decertificazione alla trasparenza, dal protocollo informatico sino alla pubblicità legale on line) senza avere la benché minima idea dello stato effettivo in cui versa l’amministrazione italiana, in particolare quella locale. Si continua con ostinazione a chiedere una digitalizzazione a cascata e a colpi di principi generali (affidati a qualche confusa e svogliata regola tecnica), senza rendersi conto che va costruito un modello organizzativo che funzioni, che ribalti le (relative) certezze del mondo analogico e sia affidato a persone competenti, responsabilizzate e professionalizzate , in modo da combattere le resistenze dei burocrati della carta. Fin quando avremo nelle nostre amministrazioni pubbliche procedimenti amministrativi tortuosi, interminabili fascicoli cartacei, archivi lasciati al caos, come si può sperare per davvero che ci possa essere corretta trasparenza? La trasparenza la si può ottenere solo sovvertendo davvero, attraverso le nuove regole della digitalizzazione, la gestione dei dati e dei documenti nelle PA italiane e quindi ridisegnando totalmente il modus operandi di cui i dipendenti pubblici sono vittime e carnefici, ogni giorno.

Altrimenti la trasparenza del FOIA rimarrà nei comunicati stampa, come già accaduto con la decertificazione, e sarà affidata solo all’onestà di qualche amministratore corretto e alla caparbietà di qualche cittadino consapevole. Ma non si può pensare di affidare l’innovazione solo agli eroi. Del resto, un eroe è un normale essere umano che fa la migliore delle cose nella peggiore delle circostanze (Joseph Campbell).

*Andrea Lisi e Sarah Ungaro – Digital&Law Department, Ufficio di Presidenza ANORC

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!