Più democrazia, più sovranità al cittadino. La proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati
Dibattiti pubblici, bilanci partecipativi e dati aperti: a livello nazionale tutti i Comuni stanno sperimentando le metodologie della partecipazione, chi con buone pratiche episodiche, chi per farne vetrina di virtuosità, chi al fine che queste siano fatte proprie dalle amministrazioni.
5 Luglio 2017
Marina Bassi
Si è discusso di partecipazione nella Sala Stampa della Camera dei Deputati lo scorso mercoledì 28 giugno, quando i Radicali Italiani, con i Verdi, Possibile, Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Più Democrazia in Trentino, Effetto Parma Pizzarotti Sindaco e Aduc, hanno presentato una proposta di legge di iniziativa popolare “Più democrazia, più sovranità al cittadino”, annunciato in Gazzetta Ufficiale n° 125 del 31/05/2017. Partendo dall’Art. 1 della Costituzione, che al secondo comma specifica che «la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», i referenti presenti in aula hanno ricordato gli strumenti di democrazia diretta a disposizione dei cittadini (come i referendum di iniziativa popolare) che è fondamentale diventino vincolanti nell’esito. In più, è indispensabile che si attivino meccanismi di semplificazione e digitalizzazione delle procedure di sottoscrizione e vidimazione dei quesiti referendari per il godimento effettivo dei diritti di partecipazione.
A supporto di questa tesi, il gruppo che si è costituito ha portato alla luce possibili modifiche ad alcuni articoli del D. Lgs. n° 267 del 18 agosto 2000 (TUEL) . Nello specifico, sono quattro gli articoli atti alla modifica del Testo Unico.
Il primo articolo cerca di approfondire il tema della partecipazione seguendo due filoni. Il primo concerne le attività partecipative atte alla produzione delle policy: la previsione dell’obbligo per gli enti locali di inserire nel proprio statuto referendum propositivi, abrogativi e confermativi, così come la possibilità di confermare o meno un nuovo statuto o modifiche di parti di questo mediante il ricorso al referendum confermativo, aggiungendo la novità della non sottoposizione delle consultazioni ad alcun quorum. Inoltre, l’articolo prevede l’introduzione di forme di democrazia deliberativa e l’obbligo di attivare procedure, anche telematiche, per la presentazione, ammissione e sottoscrizione di istanze, petizioni, proposte di iniziative popolari e referendum, con il limite di un mese dalla presentazione per il loro esame da parte dell’amministrazione, da parte di un Comitato dei Garanti [1] . Il secondo filone compete invece il valore aggiunto della misurazione degli impatti ex post . In questo senso, il Testo Unico degli Enti Locali prevede già «l’impiego di metodologie dirette a misurare la soddisfazione degli utenti [2] », intesa come qualità percepita. Con le modifiche proposte, si estenderebbe tale obbligo anche alla misurazione della qualità effettiva ed oggettiva dei servizi erogati.
Il secondo articolo della proposta ha ad oggetto alcune modifiche puntuali alla normativa referendaria, in particolar modo con il fine di ampliare quanto più possibile le modalità di accesso dei promotori. L’articolo 2 prevede che, a tutti i livelli istituzionali, nazionale, regionale, locale, dell’Unione Europea, le sottoscrizioni alle liste elettorali e quelle per richiedere un referendum – eccetto l’ambito della UE – o per una iniziativa legislativa popolare, possano essere raccolte in modalità digitale. Prevede, al fine di rimuovere le discriminazioni oggi esistenti, la sostituzione del meccanismo dell’autenticazione di firme da parte di un pubblico ufficiale con quello della attestazione della loro regolarità da parte di cittadini che abbiano i requisiti per la elezione a consigliere comunale, indicati dai comitati promotori. Da un punto di vista concettuale, questa previsione risulta più che rivoluzionaria, soprattutto se si immagina che le attività oggetto delle proposte aumenterebbero, essendo favorita la più ampia accoglienza delle istanze per canali differenti.
Il terzo e il quarto articolo, che risultano propedeutici fra loro, concernono l’uno le modifiche alla disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni; l’altro, la previsione di uno “spazio della partecipazione”. In ordine, l’articolo 3 prevede l’obbligo di pubblicare lo stato di consistenza del patrimonio immobiliare in modalità georeferenziata e un portale denominato “Qualità dei servizi” suddiviso per singoli servizi erogati comprendente misurazioni di qualità, monitoraggi economico-finanziari e informazioni sugli interventi previsti e attuati. Il portale presenterebbe informazioni e misurazioni della qualità effettiva e percepita di tutti i servizi erogati dall’amministrazione, organizzate in un cronoprogramma che ne monitori l’andamento. Interessante è poi la specificazione dell’ultima parte della proposta, che assume che tutti i contenuti siano non solo in formato aperto, ma fruibili, dove per fruibile intendiamo ripensato e scritto in maniera tale che sia comprensibile anche ai non addetti ai lavori. Dopotutto, parliamo del paradigma della partecipazione, e del modello delle “4 E” concepito da FPA in tempi non sospetti. Non c’è engagement se non c’è accesso, e se il cittadino non accede al contenuto, se ne disinteressa e la partecipazione risulta sfavorita.
Se tutto ciò descritto è rispettato, sarà più semplice dare attuazione al quarto e ultimo articolo della proposta di legge, che prevede lo “Spazio della partecipazione”, ossia un ambiente telematico multicanale delle pubbliche amministrazioni dedicato alle istanze di accesso civico e alla raccolta e sottoscrizione di petizioni, proposte di iniziativa popolare e referendum, adottando un’Agenda pubblica degli incontri dei pubblici decisori e garantire semplificazione e potenziamento dei sistemi di ricerca e di archivio.
Per concludere – per ora – è d’obbligo specificare come, se da un punto di vista di intenzioni e buoni propositi il percorso è ben tracciato, non pochi dubbi restano sulle possibilità effettive di implementazione delle norme proposte, per la quale si richiederà un intervento formativo qualitativamente e quantitativamente importante. Nell’attesa, siamo consapevoli che abbia ragione chi ammette che «le leggi ci sono già, basta rispettarle».
[1] Sul punto, la proposta sarebbe quella di aggiungere un sesto comma all’Art. 3 TUEL, che disciplini l’istituzione di un Collegio preposto alla disamina delle istanze referendarie, non specificando tuttavia su quale capo penderebbe la nomina/ elezione del Collegio, correndo il rischio di incorrere nel solito problema « chi taglia i capelli al barbiere?».
[2] Art. 147, comma 2, lett. b).