Popolo ed Élite nella crisi pandemica
Nel tempo del lockdown la fiducia nelle istituzioni e nelle figure esperte, di cui si sono avvalse, è stata elevata ma al tempo stesso obbligata. Si ha la sensazione che, esaurita la situazione emergenziale, ritorni la diffidenza che aveva caratterizzato la fase precedente. Dobbiamo invece ricostruire e riformare con rapidità le nostre strutture politiche, economiche e sociali senza sottoporle ad imponderabili e lunghe dinamiche distruttive
5 Giugno 2020
Maurizio Sacconi
Presidente dell'Associazione Amici di Marco Biagi
La crisi pandemica ha nei fatti esaltato le criticità del rapporto tra il popolo e le élite, considerando queste ultime, secondo il significato neutro assunto dall’enciclopedia Treccani, come il “mero indicatore di uno stato di fatto: occupare le posizioni sovraordinate di una struttura sociale”. Se ne era occupato il libro curato dall’associazione Amici di Marco Biagi in occasione del venticinquesimo anniversario dalla nascita, quando ancora si chiamava Amici di Mario Rossi (Popolo ed Élite, AA.VV., Editore Marsilio 2019).
Nel tempo del lockdown la fiducia nelle istituzioni e nelle figure esperte, di cui si sono avvalse, è stata elevata ma al tempo stesso obbligata. Si ha la sensazione che, esaurita la situazione emergenziale, ritorni la diffidenza che aveva caratterizzato la fase precedente. C’è già una comprensibile domanda di verità sugli errori compiuti. Dobbiamo tuttavia augurarci che non siano i tribunali il luogo idoneo per giudicare ritardi e inadeguatezze. Non saremmo in grado di sostenere una nuova stagione giudiziaria estensiva e teoremica. Si aggiunga a ciò la perdita di fiducia nei confronti di un sistema giudiziario che ha rivelato distorsioni e incapacità di autogoverno.
Dobbiamo invece ricostruire e riformare con rapidità le nostre strutture politiche, economiche e sociali senza sottoporle ad imponderabili e lunghe dinamiche distruttive. L’eventuale discontinuità dovrà essere decisa solo dagli elettori, ricongiungendoli auspicabilmente alle loro rappresentanze attraverso l’ampliamento delle opzioni consentito dal metodo proporzionale.
Così come la faticosa ripresa economica potrà essere incoraggiata in primo luogo da un confronto tra le diverse visioni degli attori politici e sociali. Premessa per tentativi di sintesi costruttive che li riaccrediterebbero dopo una lunga stagione di autoreferenzialità. La nuova Confindustria ha cominciato a farlo. Soprattutto, le società chiedono un capitalismo capace di fare occupazione esaltando nelle tecnologie il potenziale di aumento della intelligenza, più che quello di sostituzione, delle persone. Questa sarà una sfida fondamentale per le classi dirigenti. Costruire su basi nuove il rapporto tra Stati e mercati.
Con la lodevole eccezione del ponte di Genova, questa fase ha esaltato la tradizionale sfiducia nei confronti della macchina pubblica. Un terribile circolo vizioso ha incrementato la durata e la complessità dei procedimenti nel momento in cui il terziario privato ha dimostrato le straordinarie economie ed efficienze che possono essere indotte dal buon uso delle nuove tecnologie. La cultura del sospetto ha preteso che gli atti si definissero attraverso concerti e pareri obbligatori tra più amministrazioni, mentre in ciascuna di queste si sono moltiplicati i percorsi per giungere alla espressione di una decisione, anche quando solo parziale. In questo contesto, i migliori se ne sono andati.
Infine, mentre il mainstream culturale ci imponeva l’attesa del disastro ambientale, non abbiamo saputo attrezzarci per l’ipotesi ben più probabile della pandemia. Gli enti esperti hanno evidenziato gravi carenze soprattutto nella dimensione globale, perché sono apparsi riflettere gli squilibri geopolitici di un mondo diventato disordinatamente multipolare. La “verità” scientifica, che nella cultura occidentale è fondata sulla evidenza dei fatti, è stata ulteriormente compromessa da contraddizioni espresse dalla stessa fonte e dalla diffusione di tesi insufficientemente verificate. Toccherà agli Stati dimostrare attitudine alla collaborazione tra loro e con gli operatori per regole e investimenti utili alla salute di tutti.
In Italia, la eccessiva concentrazione della spesa sanitaria su una dispersiva ed estesa spedalità pubblica e privata, trascurando i servizi territoriali, ha caratterizzato quasi tutte le Regioni e non è riconducibile al solo fenomeno del cosidetto “sottofinanziamento” del settore. Alcuni potrebbero dire di averlo detto (e fatto) ma sono pochi. Più che accusare i molti inadempienti, sarà ora utile agire diffusamente per valorizzare l’assistenza primaria dei medici di famiglia, rivalutare i medici del lavoro e i servizi di igiene pubblica, potenziare la componente sanitaria delle residenze per anziani, sostenere la cura domiciliare. E realizzare moderni ospedali modulari, tecnologicamente avanzati, dotati di tutte le competenze.
Alla base di nuove élite accettate e rispettate rimane tuttavia il loro carattere largo e plurale, quale potrà essere garantito da un sistema educativo rivoluzionato nei metodi e nei contenuti pedagogici e non da stabilizzazioni a prescindere dai fabbisogni educativi.
Al contrario, la frattura tra il popolo e le funzioni più responsabili nelle istituzioni, nella economia e nella società può preludere solo alla tempesta perfetta, alla implosione di una nazione.