Appalti, industria e ricerca verso un patto per il cambiamento
Il MEF ha preso la decisione di stanziare 50 milioni di euro per lanciare un programma di appalti di innovazione, stipulando un accordo con l’AgID
17 Febbraio 2020
Guglielmo De Gennaro
Servizio strategie di procurement e innovazione del mercato - AgID
«Le persone che si lamentano del proprio stato danno sempre la colpa alle circostanze. Le persone che vanno avanti in questo mondo sono quelle che si danno da fare e cercano le circostanze che vogliono e se non riescono a trovarle, le creano» George Bernard Shaw.
L’Italia è ancora negli ultimi posti della graduatoria basata sull’indice DESI, l’economia arranca, i servizi della pubblica amministrazione sono arretrati; tutti dati di fatto, giuste lagnanze, ma è il risultato di un ineluttabile destino, colpa delle ‘circostanze’ oppure si possono ‘creare circostanze’ diverse?
Nel 2019 si sono incominciate a prefigurare le circostanze che vogliamo per il cambiamento del sistema Paese. Per la prima volta il digitale, presupposto abilitante della trasformazione, è tra le priorità del Governo. Abbiamo nuovamente, dopo anni di disorientamento, un Ministro dell’innovazione che ha persino definito la Strategia per l’innovazione e la trasformazione digitale del Paese “Italia 2025”.
Si è deciso di sostenere un Patto per la Ricerca, che crei sinergie tra quest’ultima e il mondo delle imprese. Forse se guardassimo bene il cielo, cari innovatori, potremmo vedere anche l’allineamento dei pianeti e una cometa per guidarci lungo il nostro cammino. A corollario di tutto è cresciuto molto il livello di attenzione verso PMI e start up innovative, settore in gran fermento e di grande interesse; basti pensare alla creazione del Fondo Nazionale per l’Innovazione, strumento di public venture capital del Ministero dello sviluppo economico.
Sembrerebbero, quindi, essersi create le condizioni per un cambiamento strutturale, ma, in realtà manca un passaggio fondamentale affinché la progettazione diventi realizzazione dell’innovazione.
Grandi opere e investimenti pubblici
Le grandi opere, le principali innovazioni sono sempre state il risultato di una scelta, di un investimento pubblico che ha permesso al sistema nel suo complesso di crescere; la prima ferrovia in Italia è stata costruita dal Re delle Due Sicilie, la maggior parte delle tecnologie che oggi utilizziamo, da internet al GPS, sono l’evoluzione di soluzioni sviluppate per la pubblica amministrazione. Quello che manca, quindi, è un sufficiente mercato della domanda pubblica di innovazione che permetta alle soluzioni sviluppate di scalare livelli di produzione e mercati altri.
L’attuale modello di finanziamento alle imprese innovative e al settore della ricerca ha, infatti, dimostrato i propri limiti esattamente nella possibilità di dispiegare i risultati raggiunti, creando una dipendenza dai finanziamenti pubblici da parte di chi, nella filiera dell’innovazione, trova in essi la propria unica fonte di introiti, nonché disinteresse da parte degli operatori che mirano a realizzare, grazie alla loro capacità d’offerta, profitti reali. Effetto di ciò, lo scollamento tra la potenzialità innovativa del sistema e quella produttiva, iato meno avvertito solo in quei settori dove l’acquirente privato è più propenso all’acquisto dell’innovazione tecnologica.
Occorre, pertanto, cambiare il paradigma del procurement pubblico perché l’amministrazione si voti ad essere l’early adopter delle soluzioni innovative, ossia, come dice Mariana Mazzucato, c’è bisogno dello «Stato innovatore».
Obiettivo: lo Stato innovatore
Lo strumento per raggiungere tale obiettivo non può che essere una significativa diffusione dell’utilizzo degli appalti innovativi, siano essi mezzo per acquisire esclusivamente servizi di ricerca e sviluppo, come nel caso degli appalti pre-commerciali, all’acquisto della soluzione in fase di sviluppo, come nel caso del partenariato per l’innovazione o già sviluppata nella fattispecie del dialogo competitivo o della procedura competitiva con negoziazione. Sicuramente quanto si sta facendo in relazione all’adozione di criteri premianti nell’aggiudicazione di procedure ordinarie, legati alle caratteristiche soggettive inerenti la capacità innovativa dell’impresa offerente, oppure a quelle oggettive dell’offerta, ma limitatamente alla sua capacità migliorativa del prodotto commerciale, dimostrano una sensibilità accresciuta nei confronti del mondo dell’innovazione.
Tuttavia, non permettono ad esso di esprimersi pienamente proponendo soluzioni divergenti e disruptive technology, in grado di definire nuove regole per un mercato più efficace ed efficiente, in cui anche gli operatori minori possano trovare modo di emergere.
Un’economia dell’innovazione
Tale cambiamento di prospettiva non può non tener conto dell’attuale modello di domanda aggregata che può facilitare, oltre le resistenze per la difesa dello status quo, il passaggio verso un’economia dell’innovazione, facendo svolgere ai soggetti aggregatori e alle centrali di committenza un ruolo trainante attraverso un graduale affiancamento degli strumenti di procurement di innovazione a quelli ordinari, introducendo nel loro catalogo, in alternativa al prodotto standardizzato la soluzione innovativa. Grazie alla loro azione si potrebbe perseguire l’obiettivo di una ‘razionalizzazione qualitativa’ in luogo di quella quantitativa.
Fortunatamente anche in tal senso si sono incominciate a creare le circostanze giuste. Il roadshow sugli appalti innovativi organizzato da AgID, Confindustria, Conferenza delle Regioni e Province autonome, iniziato con la prima tappa il 12 dicembre 2018 e che ha completato il primo giro di boa il 11 dicembre 2019 con la sua 5^ tappa, ha consentito maggiore presa di coscienza del bisogno di un’azione sinergica di tutto l’ecosistema dell’innovazione per raggiungere il cambiamento sperato. Attraverso un’iniziale opera di informazione sulla materia ha saputo coagulare l’interesse di quanti profondevano in maniera isolata i propri sforzi, rappresentandoli quali buone pratiche da seguire, ma anche di chi, inizialmente, non riteneva possibile percorrere proficuamente la strada proposta.
Un programma di appalti di innovazione
Si è così sviluppato un fertile dibattito che ha coinvolto fruttuosamente gli stakeholders del sistema e che ha permesso a ciascuno di essi di maturare la riflessione sul proprio ruolo. In tale contesto il Ministero dello sviluppo economico ha preso la decisione di stanziare 50 milioni di euro, con il Decreto Ministeriale 31 gennaio 2019, per lanciare un programma di appalti di innovazione e, per far ciò ha stipulato un accordo con l’Agenzia per l’Italia Digitale quale centrale di committenza. Questo programma, dopo il workshop di kick off del 11 dicembre 2019, che ha visto coinvolti operatori e Città, il successivo evento di confronto del 21 gennaio 2020, dedicato all’emersione dei fabbisogni di innovazione, entrerà nel vivo, a breve, con l’avvio delle consultazioni di mercato per qualificare la domanda espressa nel settore della Smart Mobility & Logistic attraverso quella che può essere definita come la declinazione dell’Open Innovation per gli appalti.
Il CNR, ugualmente coinvolto nelle attività del roadshow e da quelle a più ampio raggio condotte dai suoi promotori, ha deciso di dedicare il quarto capitolo della Relazione sulla Ricerca e l’innovazione in Italia – 2019, ad una analisi della domanda pubblica d’innovazione evidenziando l’esigenza di un piano per il procurement di ricerca e sviluppo e gli effetti positivi che da esso conseguirebbero.
L’esame condotto, partendo dai dati evinti dal TED nonché, limitatamente all’Italia, da quelli forniti dall’AgID risultanti dal monitoraggio espresso attraverso il portale Appaltinnovativi.gov – strumento creato appositamente dall’Agenzia per supportare le pubbliche amministrazioni nell’uso degli appalti innovativi – mette in evidenza il gap che separa ancora il nostro Paese dalle nazioni che in Europa utilizzano in maniera sufficiente questi istituti.
Da una lettura più attenta relativa all’Italia emerge un elemento interessante. Infatti il dato aggregato relativo al nostro Paese vede un incremento di valore dal 2017/2018 che, come è riscontrabile attraverso gli appalti monitorati da Appaltinnovativi.gov, è principalmente imputabile a un aumento dell’uso dell’istituto del partenariato per l’innovazione.
Perché il partenariato?
Questa osservazione, sia pur non suffragata da una casistica statisticamente significativa è, comunque, evidenza del fatto che la pubblica amministrazione, messa in condizione di disporre di risorse idonee per gestire processi d’acquisto sfidanti, esprime una propensione all’innovazione e all’adozione di processi che permettano di seguire il percorso di gestazione della soluzione fino alla sua acquisizione, spesso frustrata dall’inadeguatezza degli strumenti, dimostrando di essere un potenziale new-market footholds.
Il partenariato per l’innovazione, infatti, grazie alla prodromica attività di ricerca e sviluppo, consente di avere una dimostrazione con metodo scientifico dell’efficacia ed efficienza del prodotto implementato su misura per la PA attraverso un processo collaborativo con essa che, pertanto, garantisce la massima rispondenza all’esigenza prospettata. Al contempo, prevedendo nella stessa procedura l’acquisto della soluzione sviluppata, evita l’avvio un percorso d’appalto successivo dagli incerti esiti.
Stante la creazione ex novo di diritti di proprietà industriale che devono essere adeguatamente disciplinati, esso rappresenta non solo un utile strumento per consentire alla PA di raggiungere la soddisfazione dei propri bisogni, ma rappresenta anche una forte leva di politica industriale in ragione dell’interesse alle prospettive ultronee che può suscitare negli operatori economici, spingendoli ad un investimento superiore a quello necessario per completare l’offerta di gara e proporzionale alla capacità di trasformare il mercato di nicchia in uno dominante. A conti fatti, tra circostanze volute e create, tutto è pronto per dare modo al sistema Paese di esprimere la propria potenzialità innovativa, stringendo un patto per il cambiamento tra appalti, ricerca e industria.
Questo articolo fa parte di FPA Annual Report 2019