Appalti pubblici verdi: nuovi modelli di business ed economia circolare

Home Riforma PA Procurement Pubblico Appalti pubblici verdi: nuovi modelli di business ed economia circolare

Oggi se da una parte le aziende devono ripensare i propri modelli di business, anche le amministrazioni devono rivedere i propri modelli di approvvigionamento: cominciare a pensare all’acquisizione di un servizio anziché di un prodotto

20 Febbraio 2020

B

Eleonora Bove

Digital Content Strategist, FPA

Photo by Zdeněk Macháček on Unsplash - https://unsplash.com/photos/XFUrNtSWFCg

L’industrializzazione moderna ha sbilanciato il rapporto tra economia e  ambiente,  verso un modello di crescita incentrato sul consumo quantitativo di beni: si sfruttano irresponsabilmente le risorse naturali e si producono tonnellate di rifiuti che diventano scarto, alterando il clima e minacciando  gli  ecosistemi.  Nel  2015  la Commissione europea ha adottato un piano d’azione per contribuire ad accelerare la transizione dell’Europa verso un’economia circolare, stimolare la competitività a livello mondiale e promuovere una crescita economica sostenibile. Il piano d’azione definisce 54 misure e individua cinque settori prioritari per accelerare la transizione: materie plastiche, rifiuti alimentari, materie prime essenziali, costruzione e demolizione, biomassa e materiali biologici.

Green public procurement: quadro normativo

Nello stesso anno l’Italia segna l’obbligatorietà per la pubblica amministrazione di dare priorità a scelte di acquisto sostenibili, con la  Legge 28 dicembre 2015, n.  221,  recante  Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso ecces- sivo di risorse naturali (c.d. collegato ambientale alla Legge di stabilità 2016). La direzione per il Green Public Procurement (GPP) è chiara, da lì a poco con l’art. 34 del d. lgs. 50/2016, successivamente modificato dall’art. 23 del decreto correttivo n. 56/2017 (c.d. Codice degli appalti), tale obbligatorietà diventa pienamente funzionale alla realizzazione di un  Piano di azione per la sostenibilità ambientale dei consumi della pubblica amministrazione.

I criteri ambientali minimi

Le stazioni appaltanti, infatti, sono tenute ad inserire nella documentazione di gara le specifiche contenute nei criteri ambientali minimi (CAM), adottati con Decreto del Ministro dell’ambiente della tutela del territorio e del mare. I CAM sono i requisiti ambientali ed etico-sociali definiti per le varie fasi del processo di acquisto, volti a  individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il  servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato.

La politica nazionale vuole essere più  incisiva nel promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, e un’economia circolare che favorisca una nuova occupazione verde. Eppure non è ancora abbastanza se nel Rapporto 2019 l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) raccomanda: «va data forza e attuazione al Green Public Procurement (GPP), obbligatorio per gli Enti pubblici secondo il nuovo Codice sugli Appalti, attraverso l’aggiornamento dei Criteri Ambientali Minimi (CAM), la diffusione e circolazione delle buone pratiche e l’introduzione di rile- vazioni sulla effettiva implementazione».

I numeri del Gpp

Negli ultimi quattro anni, Consip ha integrato i requisiti verdi negli strumenti d’acquisto messi a disposizione della PA. In numeri vuol dire che contengono criteri di sostenibilità: circa il  91%  delle  convenzioni  attive e aggiudicate, il 60% degli Accordi quadro attivi, l’85% delle iniziative sul Mercato elettronico della PA e circa il 71% di quelle sul Sistema dinamico di acquisto della PA. L’obiettivo di orientare le scelte di acquisto delle amministrazioni pubbliche verso beni, servizi e lavori dai minori impatti ambientali ha raggiunto, con gli strumenti Consip, i 13,2 miliardi di euro nel 2018.

Le amministrazioni pubbliche oggi devono prendere scelte strategiche e concrete, cioè quello che in ICity Rank 2019 abbiamo definito “capacità di governo” ovvero la propensione all’innovazione amministrativa, intesa  come  capacità di utilizzare i nuovi strumenti istituzionali di programmazione, come il GPP, per migliorare la qualità della vita, i livelli di occupazione, la competitività delle generazioni attuali e future e garantendone la sostenibilità economica, sociale e ambientale (ICR 2018).

ICity Rank è il rapporto annuale di FPA sulle  Smart City italiane. Abbiamo analizzato 107 città e nell’indicatore green procurement è stata restituita un’elaborazione dei risultati dell’indagine Istat Dati ambientali nelle città, area tematica eco-management, anno  2017. La  risultanza è netta e territorialmente circoscritta. Le città che registrano le migliori performance in questo indicatore sono Ravenna, Reggio Emilia e Bergamo. Seguono Modena, Firenze e Torino.

L’esperienza dell’Emilia-Romagna

La Regione Emilia-Romagna, con tre città nelle prime posizioni, si distingue per la quota percentuale di settori in cui sono stati effettuati acquisti con CAM, sul totale dei settori in cui sono stati effettuati acquisti. Nell’ultimo triennio la Regione ha fatto acquisti sostenibili per il  41% del totale, pari a mezzo milione di euro. L’agenzia regionale IntercentER ha attivato 32 convenzioni quadro contenenti principi di sostenibilità ambientale e 19 con criteri di sostenibilità sociale; gli ordini per forniture emessi dalle pubbliche amministrazioni del territorio regionale nell’ambito di Convenzioni con elementi green hanno toccato quota 1 miliardo 389 milioni di euro nel triennio 2016-2018. Con la recente adozione del terzo Piano triennale 2019-2021 per il Green Public Procurement, la Regione ha l’obiettivo di raggiungere entro 2021 il 100% di acquisti verdi per tutti i beni e servizi coperti dai CAM.

Il green public procurement nei Comuni

Tuttavia a parte alcune eccellenze, le amministrazioni locali si dimostrano in difficoltà nell’attuare il GPP. Lo confermano i recenti dati (ottobre 2019) dell’Osservatorio Appalti Verdi di Legambiente e Fondazione Ecosistemi, che ha interrogato i comuni capoluogo italiani sull’applicazione dei criteri ambientali minimi nelle gare pubbliche emesse nel corso del 2018. L’osservatorio ha sottoposto un questionario a 106 comuni capoluogo (considerando però anche la Città di Cesena). Hanno risposto 88 comuni, per cui il campione può essere ritenuto abbastanza rappresentativo delle tendenze in atto nel settore. I gap maggiori si registrano per «mancanza di formazione»   del   personale,   d’altronde   oltre il 48% del campione ammette che non è stato avviato un percorso di formazione delle figure chiamate ad applicare i CAM nelle gare di appalto. Da qui deriva un altro ostacolo all’applicazione dei requisiti verdi  evidenziato dal campione: la «difficoltà nella stesura dei  bandi».  È  quindi la carenza di competenze il limite maggiore alla diffusione di nuove abitudini di acquisto nelle amministrazioni pubbliche.

Considerazioni che trovano riscontro anche nei risultati della sopracitata indagine Istat. Su 109 comuni capoluogo presi in esame, solo quattro hanno nominato un referente GPP. Mentre solo 33 hanno tenuto conto della Guida per l’integrazione degli aspetti sociali, redatta nel 2012 dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Alla scarsa conoscenza degli strumenti, si affianca un mercato non ancora maturo. Eppure la svolta sostenibile potrebbe essere una grande opportunità di sviluppo e crescita, oltre che un obbligo non più ignorabile per le imprese: con la sentenza 14 maggio 2018, n. 645, il TAR della Toscana ha ribadito che la stazione appaltante è tenuta a escludere dalla gara (nel caso specifico si tratta di una fornitura di prodotti di illuminazione) le imprese che propongono offerte non rispettose dei CAM inseriti nel bando.

L’esperienza del governo danese

E così, se da una parte le aziende devono ripensare i propri modelli di business, anche le amministrazioni devono  rivedere  i  propri  modelli  di approvvigionamento: cominciare a pensare all’acquisizione di un servizio anziché di un prodotto; valutare tutto il ciclo di vita di un prodotto quindi progettazione, produzione, utilizzo e fine vita; utilizzare gli strumenti messi a disposizione dal Codice degli appalti per un confronto con  i fornitori volto a trovare sul mercato soluzioni sostenibili. Guardiamo ad esempio l’esperienza danese, riportata nel documento Il Green Public Procurement come strumento per promuovere l’Economia Circolare redatto da Ervet nell’ambito del progetto Interreg Europe CESME. La centrale di committenza del Governo danese e dell’Associazione delle autorità locali danesi, che opera per oltre 11.000 enti, in un accordo quadro per arredi da ufficio del 2012 ha inserito nei requisiti la possibilità di separazione e recupero dei  materiali alla fine del ciclo di vita. La fornitura riguardava oltre 60 comuni e i proponenti hanno lavorato a proposte che rendessero più semplice non solo il recupero a fine vita, ma anche il ricambio di parti usurate, soprattutto le parti metalliche e le componenti elettriche. L’accordo ha consentito un risparmio del 26% rispetto ai prezzi di mercato.

L’esempio è calzante perché all’interpretazione più diffusa di economia circolare, ovvero quella del recupero del materiale, si affianca un’idea più ampia di ripensamento dei modelli tradizionali di acquisto. Il Green Public Procurement oggi non è solo uno strumento di risparmio economico, ma obbligo etico per migliorare la qualità della vita, i livelli di occupazione e la competitività delle im- prese nel rispetto dell’ambiente.


Questo articolo è tratto dal FPA Annual Report 2019


Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!