Federsanità: “La miopia digitale che affligge gli acquisti innovativi”
Continuano ad essere carenti gli interventi di innovazione sui processi “core” di un sistema sanitario, ovvero i processi di cura, le reti di patologia, l’assistenza territoriale; così come sul coinvolgimento dei cittadini. la spesa in Italia per le tecnologie digitali è pari solo a 22 euro per abitante
20 Aprile 2016
Angelo Lino Del Favero, direttore generale Istituto Superiore di Sanità e presidente nazionale Federsanità ANCI
Il ruolo chiave delle tecnologie digitali nell’attivazione di modelli innovativi di gestione della salute è ormai noto da tempo. La Commissione Europea all’interno della strategia Horizon 2020 riconosce all’investimento pubblico nelle tecnologie digitali in sanità la capacità di generare un triplo win: una migliore qualità dell’assistenza, forme di razionalizzazione della spesa, e la crescita del mercato ICT.
L’Italia però continua a mostrare una certa difficoltà a riconoscere questo trend. Secondo l’indagine condotta dall’Osservatorio ICT in Sanità del Politecnico di Milano, la spesa pro-capite in Italia per le tecnologie digitali è pari a 22 € per abitante, a fronte di 36 € in Germania, 40 € in Francia e addirittura 60 € in Gran Bretagna che si posiziona allo stesso livello di Paesi di riferimento del Nord Europa quali la Svezia (63 € di spesa per abitante) e la Danimarca (oltre 70 € per abitante). L’Italia è quindi chiamata a recuperare nei prossimi anni un ritardo di circa 4 miliardi di investimenti che si traduce in mancati ritorni in termini di miglioramenti di efficacia ed efficienza dell’assistenza, derivabili da un utilizzo consapevole di tali risorse.
Gli investimenti in corso, inoltre, si concentrano primariamente su aspetti infrastrutturali e processi di supporto: grazie infatti all’Agenda Digitale e ai numerosi sforzi dello Stato e delle Regioni, soluzioni quali il fascicolo sanitario elettronico, le prescrizioni e i certificati elettronici stanno entrando a regime sul territorio nazionale. Al contrario continuano ad essere carenti gli interventi di innovazione sui processi “core” di un sistema sanitario, ovvero i processi di cura, le reti di patologia, l’assistenza territoriale; così come sul coinvolgimento dei cittadini.
Le ragioni di questo ritardo sono primariamente di tipo culturale. Troppo spesso le tecnologie sono vissute come un aspetto che al massimo si affianca alla programmazione sanitaria, ma non si integra con essa. L’innovazione tecnologica viene così demandata ai “tecnici informatici” o circoscritta ad iniziative progettuali limitate, scaturite dall’iniziativa di un singolo professionista “pioniere”.
Occorre dunque sviluppare un expertise d’innovazione. In particolare, occorre creare la consapevolezza che lo strumento tecnologico è una componente essenziale dell’innovazione nei modelli di cura e nell’organizzazione dell’assistenza. Fare innovazione dei modelli di gestione della salute significa, infatti, ragionare in modo sinergico sulle nuove procedure operative, sui nuovi compiti, sui nuovi scambi informativi abilitati o supportati dalle tecnologie digitali nonché sulle azioni atte a superare le eventuali resistenze al cambiamento, quali la formazione, il coinvolgimento degli attori chiave nei processi decisionali, i sistemi di incentivi. A monte occorre, inoltre, promuovere forme di coordinamento tra le aziende sanitarie, possibilmente con il supporto delle Regioni, per inserire le iniziative locali in modo coerente all’interno di piani pluriennali.
Nel processo di cambiamento delineato, un importante contributo può essere fornito dai modelli innovativi di procurement e dallo sviluppo di collaborazioni pubblico-privato che guardino in modo integrato ai processi di cura e di assistenza. Il confronto con le imprese e l’attivazione di forme di compartecipazione del rischio potrebbero contribuire a far convergere gli interessi pubblici e privati verso un obiettivo comune di promozione della salute delle persone.
Alla base del successo di tali modelli è, in ogni caso, la capacità delle aziende sanitarie di formulare adeguatamente il proprio bisogno di innovazione, prediligendo il ricorso a requisiti basati sugli outcome attesi e non su soluzioni predefinite, e di trovare le leve più appropriate e trasparenti per coinvolgere i privati in questo processo innovativo. Questo implica la necessità di affiancare ad una cultura dell’innovazione lo sviluppo di una cultura della misurazione dei risultati, su cui eventualmente basare anche forme di pay per performance .
Federsanità ANCI sta investendo ormai da tempo su questi aspetti sia a livello europeo, partecipando in modo particolarmente attivo al confronto sul procurement di innovazione in sanità grazie al progetto STOPandGO , che a livello italiano. Federsanità ANCI ha infatti recentemente sottoscritto un accordo di collaborazione con CONSIP che ha per oggetto lo svolgimento di attività di analisi e approfondimento su temi relativi agli acquisti di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni sanitarie finalizzate alla progettazione di iniziative di acquisto sempre più rispondenti ai reali fabbisogni di innovazione delle aziende sanitarie.