Province sì, province no. Un tema semplice…anzi no

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Come sapete, nel nostro percorso verso l’Open Government, abbiamo individuato le necessarie tappe nell’innovazione istituzionale, organizzativa e tecnologica. Dopo aver parlato negli ultimi editoriali dei rischi di trascurare una seria politica di innovazione tecnologica e aver avanzato in questo campo proposte concrete, vorrei oggi occuparmi, brevemente ma con la stessa concretezza, dell’innovazione istituzionale riflettendo insieme sul tema dell’abolizione o meno delle amministrazioni provinciali. Mi servono da spunto in primis la manovra del c.d. “decreto salva Italia” che fa, sulla strada dell’abolizione delle province, tutto quello che la legislazione ordinaria può fare; poi l’assemblea nazionale dell’UPI che lancia il suo allarme di incostituzionalità; infine il bel saggio di Nicola Melideo che abbiamo pubblicato sul nostro sito e che, in forma pacata e razionale, discute a mente libera non dell’ottimo ideale, da situare in qualche Iperuranio, ma del meglio in questo mondo e a condizioni date.

6 Dicembre 2011

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Carlo Mochi Sismondi

Articolo FPA

Come sapete, nel nostro percorso verso l’Open Government, abbiamo individuato le necessarie tappe nell’innovazione istituzionale, organizzativa e tecnologica. Dopo aver parlato negli ultimi editoriali dei rischi di trascurare una seria politica di innovazione tecnologica e aver avanzato in questo campo proposte concrete, vorrei oggi occuparmi, brevemente ma con la stessa concretezza, dell’innovazione istituzionale riflettendo insieme sul tema dell’abolizione o meno delle amministrazioni provinciali. Mi servono da spunto in primis la manovra del c.d. “decreto salva Italia” che fa, sulla strada dell’abolizione delle province, tutto quello che la legislazione ordinaria può fare; poi l’assemblea nazionale dell’UPI che lancia il suo allarme di incostituzionalità; infine il bel saggio di Nicola Melideo che abbiamo pubblicato sul nostro sito e che, in forma pacata e razionale, discute a mente libera non dell’ottimo ideale, da situare in qualche Iperuranio, ma del meglio in questo mondo e a condizioni date.

Nella maggior parte dei discorsi, non in quello di Melideo per fortuna, vedo un peccato originale. Quello di considerare l’universo come composto di forme regolari e tutto sommato equivalenti. Così certo è più facile, ma non vale. E’ come quando ci raccontavano della concorrenza perfetta: un’esercitazione da primo anno d’università. Le province e i territori d’Italia (vale per tutti i Paesi, ma per l’Italia un po’ di più sia per storia sia per geografia) sono tutti diversi e diversi sono anche i bisogni che devono soddisfare le amministrazioni.

L’abolizione delle amministrazioni provinciali mi pare quindi una semplificazione inaccettabile, quasi altrettanto grave del colpevole immobilismo che ha caratterizzato una discussione vissuta più con la pancia, affermando o negando motivi ontologici di esistenza in vita, che con la testa. Provo ad argomentare avendo nella testa le province italiane caratterizzate da:

  • assenza di un capoluogo che sia un’area metropolitana, perché in questo caso la confluenza delle due istituzioni mi pare la strada migliore;
  • adeguata dimensione territoriale e demografica in modo da escludere “province minime” come purtroppo abbiamo visto costituire;
  • presenza di un elevato numero di comuni più o meno organizzati in Unioni .

Non sono tutte così e certo, nell’improvvida azione di moltiplicazione delle poltrone, abbiamo creato anche province molto piccole o francamente pleonastiche e quindi dannose, ma non sono poche. Diciamo ad occhio intorno a cinquanta/sessanta?

In questi casi l’amministrazione provinciale mi sembra l’unica via per assicurare una governance dell’area vasta che permetta una politica coerente per le reti (rete è la parola chiave per la provincia), per le attività produttive, per i servizi. Mentre infatti a mio parere non serve necessariamente la provincia per l’edilizia scolastica e forse (dico forse) neanche per i servizi all’impiego, mi pare irrazionale conferire ai comuni (a quali? come? con che coordinamento?) competenze per la progettazione, realizzazione e manutenzione delle reti infrastrutturali, siano esse fisiche, tecnologiche o della conoscenza. Altrettanto poco efficace mi sembra la “regionalizzazione” di tali funzioni che, specie nelle grandi regioni, non potrebbe portare ad una sufficiente operatività.

Per essere costruttori e gestori di reti le province devono essere per forza istituzioni come ora le conosciamo? Non credo affatto e la proposta di Melideo di “autonomie funzionali” al servizio dei comuni mi convince molto, mentre mi convince pochissimo la scelta che il “decreto salva Italia” ha fatto. Il conferimento tout court ai comuni (ripeto, a quali e come?) delle funzioni è semplicemente impossibile, la regionalizzazione, che il decreto (almeno nella formulazione non definitiva che stamattina ho letto) propone come scelta residuale diventerebbe quindi la scelta di default, con un aggravamento di quel “centralismo regionale” che appare un rischio ancor più grave dello “statalismo di fatto” che ha contraddistinto le azioni dell’ultimo governo.

Insomma, per concludere questa breve riflessione con una citazione, direi con Einstein che nella scienza, come nell’innovazione istituzionale e nelle riforme dobbiamo stare attenti a Make everything as simple as possible, but not simpler, perché le semplificazioni eccessive non sono solo inefficaci, ma creano anche l’impressione pericolosa che tutto il mondo sia riducibile ad un tasto on/off, come in un telecomando. Per fortuna la realtà è più complessa e con la complessità, non per fermarsi, non per averne paura, ma per agire con lungimiranza, vorremmo che la politica si confrontasse.

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