Quanto è opaca (e diversa dal FOIA) la nuova trasparenza amministrativa
Molte voci di dissenso si sono levate sullo schema di modifica al decreto trasparenza approvato in esame preliminare del Consiglio dei Ministri e pubblicato sul sito del governo. Alla base di questa delusione c’è stato però un equivoco di fondo, sottolinea Sarah Ungaro, avvocato presso Digital&Law Department dello Studio Legale Lisi: invece di promettere l’introduzione del FOIA, istituto difficilmente implementabile tout court nell’ordinamento italiano, si sarebbero dovuti potenziare gli istituti giuridici già esistenti, ossia l’accesso agli atti e l’accesso civico. Come potenziare ora l’impatto delle nuove norme, dove intervenire per arrivare a un reale aumento della trasparenza amministrativa? Ecco le principali richieste espresse in una lettera aperta al Ministro Marianna Madia, redatta dall’On. Mara Mucci e sottoscritta da ANORC, IWA, Agorà Digitale, da altre Associazioni e da diciassette parlamentari.
24 Febbraio 2016
Sarah Ungaro*
Molte voci di dissenso si sono levate sullo schema di modifica al decreto trasparenza approvato in esame preliminare del Consiglio dei Ministri e pubblicato sul sito del governo. Nello specifico, lo schema di decreto è stato predisposto ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n.124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, in attuazione della delega al Governo di riformare le norme sulla trasparenza amministrativa in ossequio, tra gli altri, anche ai seguenti principi e criteri direttivi:
h) fermi restando gli obblighi di pubblicazione, riconoscimento della libertà di informazione attraverso il diritto di accesso, anche per via telematica, di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, salvi i casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall’ordinamento e nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati, al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche […].
Tali disposizioni avevano suscitato forti aspettative circa l’introduzione nel nostro ordinamento di un istituto assimilabile al Freedom Of Information Act (FOIA) di origine statunitense, tuttavia forse trascurando – in alcuni casi – le peculiarità dell’applicazione che di tale legge viene fatta negli Stati Uniti e che riguarda i documenti delle agenzie federali, che ovviamente è arduo paragonare, anche solo sotto l’aspetto della struttura organizzativa e delle risorse disponibili, a tutte le pubbliche amministrazioni e agli enti che rientrano nell’ambito di applicazione del c.d. decreto trasparenza (D.Lgs. n. 33/2013), come ad esempio i piccoli Comuni.
Probabilmente, piuttosto che promettere l’introduzione di un istituto difficilmente implementabile tout court nell’ordinamento italiano – come il FOIA (mutuando impropriamente una nomenclatura idonea a generare confusione) – sarebbe stato meglio potenziare gli istituti giuridici già esistenti per incrementare i livelli di trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche e per favorire un controllo sociale diffuso sull’utilizzo delle risorse pubbliche, ossia l’accesso agli atti e l’accesso civico, rispettivamente disciplinati nella Legge n. 241/1990 e nel D.Lgs. n. 33/2013, i quali – come è noto – hanno presupposti e funzioni diverse.
Oltre a tale equivoco di fondo, che ha inevitabilmente pregiudicato l’esito dell’intervento riformatore (con l’auspicio che vi si ponga rimedio prima dell’approvazione definitiva dei testi), occorre considerare anche le disposizioni che indeboliscono – di fatto – il potenziale impatto delle nuove norme, soprattutto perché formulate in modo da generare il rischio di confondere alcune regole specificamente dettate per il “nuovo accesso” con la disciplina dell’attuale accesso civico, relativo invece ai dati e documenti per cui già sussiste l’obbligo di pubblicazione ai sensi del D.lgs. 33/2013.
Alcune critiche in tal senso sono state espresse anche in una lettera aperta al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia, redatta dall’On. Mara Mucci e sottoscritta da ANORC, IWA, Agorà Digitale, da altre Associazioni e da diciassette parlamentari al fine di ottenere una corretta implementazione di tali disposizioni.
In estrema sintesi, i punti portati all’attenzione del Ministro sono stati i seguenti:
- riformare e ampliare la disciplina dell’accesso agli atti della Legge 241/1990, lasciando immodificato l’accesso civico dal D.Lgs. 33/2013, nato con diversa finalità;
- evitare il meccanismo di “silenzio diniego” come risposta a una richiesta di accesso, prevedendo l’obbligo di adozione di un provvedimento espresso da parte dell’amministrazione procedente. Si ritiene, infatti, che negare di fornire una motivazione a una richiesta di trasparenza non soddisfatta non contribuirebbe a favorire l’incremento dei livelli di trasparenza nell’operato dell’amministrazione pubblica;
- stabilire sanzioni per il responsabile del procedimento in caso di illegittimo rifiuto di accesso agli atti;
- prevedere che, qualora l’amministrazione sia in difficoltà per un eccesso di richieste pervenute, i termini al massimo vengano estesi per un congruo lasso di tempo, prevedendo anche in questo caso l’obbligo di adozione di un provvedimento espresso che rappresenti nello specifico le motivazioni del differimento;
- stabilire, in caso di diniego da parte dell’amministrazione, l’obbligatorietà del ricorso dinanzi alla Commissione di accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio, quale condizione di procedibilità del ricorso al TAR, al fine di deflazionare l’eventuale contenzioso e garantire al cittadino uno strumento semplice e senza costi per far valere le proprie ragioni. A seguito del provvedimento della Commissione, l’eventuale successivo ricorso al TAR dovrà essere esentato dal pagamento del contributo unificato;
- prevedere che i casi di diniego siano delimitati e specificati maggiormente dalla normativa, al fine di evitare un’eccessiva discrezionalità da parte della pubblica amministrazione, prevedendo altresì un obbligo di motivazione espressa, puntuale ed esaustiva del diniego stesso.
In conclusione, non resta che augurarsi che le richieste di molti esperti e associazioni, volte a promuovere la correzione delle disposizioni dello schema di decreto nell’ottica di un reale potenziamento della trasparenza amministrativa e del diritto di accesso da parte dei cittadini, non restino inesaudite.
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*Sarah Ungaro è avvocato presso Digital&Law Department – Studio Legale Lisi