“Qui numerare incipit…” La programmazione strategica nel cuore della PA

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Foto di Brandy Shaul

Intervenendo alla IX Conferenza nazionale di statistica, Efisio Espa (SSPA) citava la sintesi morgensteriana del "Qui numerare incipit, errare incipit".
Il paradosso è solo apparente. “Iniziare a sbagliare” è la consapevolezza matura di un approccio integrato alla misurazione e alla valutazione che chiede alla statistica dati congrui per la programmazione strategica in una prospettiva "sintetica" di innovazione amministrativa. Mentre è all’esame della Camera il Disegno di legge 2031 (sulla riforma Brunetta), riflettiamo con Manin Carabba, Direttore CER, sul perché la programmazione strategica, attraverso i meccanismi di misurazione e valutazione che la sorreggono, non può non essere al centro della riforma della PA.

14 Gennaio 2009

Articolo FPA

Foto di Brandy Shaul

Intervenendo alla IX Conferenza nazionale di statistica, Efisio Espa (SSPA) citava la sintesi morgensteriana del "Qui numerare incipit, errare incipit".
Il paradosso è solo apparente. “Iniziare a sbagliare” è la consapevolezza matura di un approccio integrato alla misurazione e alla valutazione che chiede alla statistica dati congrui per la programmazione strategica in una prospettiva "sintetica" di innovazione amministrativa. Mentre è all’esame della Camera il Disegno di legge 2031 (sulla riforma Brunetta), riflettiamo con Manin Carabba, Direttore CER, sul perché la programmazione strategica, attraverso i meccanismi di misurazione e valutazione che la sorreggono, non può non essere al centro della riforma della PA.

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Alla riforma della PA si sono “attaccati”  tanti termini, correndo il rischio di inflazionarne l’uso e disperderne significato e applicazione. Dalla misurazione alla valutazione, dalla meritocrazia alla citizen satisfaction al management by objectives, la lista sarebbe lunga. Se i termini sono molteplici, la prospettiva è unica e sintetica, come lo stesso Ministro Brunetta ha precisato: migliorare il servizio al cittadino, garantendone pienamente i diritti e assicurando la sostenibilità economica della pubblica amministrazione. La prospettiva di lavoro più adatta a questa composita riforma appare quella della programmazione strategica, che chiama direttamente in causa misurazione e valutazione, aprendo di fatto il “cuore” della PA alla statistica.
Con i ragionamenti ci siamo, ma nella pratica l’amministrazione è pronta a un “governo” misurabile? Proviamo a capire come e dove agire per muovere dalla retorica ai fatti.

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Manin Carabba, Direttore del CER – Centro Europa Ricerche, spiega che “la questione, nel medio periodo, è cambiare in maniera molto radicale i criteri di reclutamento. Fermo restando il mezzo del concorso o del corso/concorso attraverso la Scuola Superiore della PA,  bisogna fare spazio a nuove professionalità. Nell’amministrazione italiana c’è una prevalenza eccessiva della cultura gius-contabilistica e di quella giuridica, culture naturalmente molto rispettabili e che devono essere conservate al più alto livello, ma che non possono essere lasciate sole in un’amministrazione moderna. E’ necessario accrescere la presenza di cultura economica in generale – attraverso profili di statistica economica e di contabilità economica nazionale – e di culture tecniche, settore per settore”.
Se il reclutamento, individuato come elemento cardine, incide in un periodo non brevissimo, "entro termini più ravvicinati  – sostiene – molto si può fare con la politica della formazione, che deve essere veramente un “learning by doing”, cioè una formazione che si coniughi all’innovazione interna, ai procedimenti e alle tecniche di lavoro". "Insomma – conclude – la prima questione è quella degli uomini. Se gli uomini dell’amministrazione non hanno la cultura della valutazione, non è possibile che le innovazioni camminino”. 
Una seconda questione, parallela alla prima – continua  – è relativa alla razionalizzazione del bilancio in senso programmatico e alla revisione dei modelli di organizzazione, legando l’assegnazione delle risorse, le procedure e le tecniche di valutazione ai programmi. In questo senso la nuova struttura del Bilancio dello Stato per Missioni e Programmi, adottata per la prima volta con il Bilancio 2008, è una occasione importante, assolutamente da monitorare. In questo ambito, a mio parere, occorrerebbe una modifica legislativa, seppur marginale, per dare al bilancio pluriennale maggiore rigidità, cioè rendere più difficile lo spostamento programmatico delle risorse nel medio periodo. Come ci insegna la Spending Review anglosassone (il cui meccanismo era stato ripreso da Padoa Schioppa) serve una intelaiatura, non immobile, ma con un notevole grado di rigidità  per la programmazione delle spese strutturali di maggior rilievo". 

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Come si introduce in questa prospettiva il binomio misurazione e valutazione?
“La prima necessità è adottare schemi razionali di programmazione per obiettivi, che definiscano obiettivi, tempi e modi e prefigurino indicatori. Poi bisogna avere strumenti efficienti di controllo sui risultati della gestione sia interni che esterni. Bisogna dire che la disciplina delle Note preliminari al bilancio, insieme alla disciplina delle Direttive dei Ministri e alle Direttive Quadro emanate dai diversi Presidenti del Consiglio, indica già metodologie corrette. Ma per definire indicatori appropriati di efficienza, di output e di outcome bisognerà adottare la prospettiva della performance finale, in termini di prestazione ai cittadini e di impatto sulla realtà economico–sociale, utilizzando proprio quella cultura della statistica economico-sociale che manca. Le riforme degli anni ’80 ci hanno consegnato un Istituto Nazionale di statistica di buon livello su standard europeo, ma abbiamo fallito sul progetto più ambizioso e fondamentale, il Sistan, che prevede in ciascuna amministrazione centrale e periferica uffici statistici, collegati a rete dalla condivisione di metodologie e strumenti di analisi. E’ da questo punto che dobbiamo partire: l’Istat c’è, il Sistan no”.

A che livello bisognerà agire per  "correggere" questa carenza strutturale?
"Si tratta di costruire una modalità di governo misurabile che consenta la valutazione ex ante, programmatica, e poi la valutazione delle performance. Per far questo bisognerà agire su due livelli, perché se è vero che su questo terreno la consapevolezza dei politici è molto debole, è altrettanto vero che c’è una resistenza sostanziale dei due Grands Corps de 1′Etat con competenze maggiori in contabilità pubblica: Ragioneria generale dello Stato e Corte dei Conti. Seppure è compito della politica e della cultura “dialogare” con essi per vincerne la tendenza "fisiologica" all’immobilità, rimane il fatto che – pur tra tanti meriti – sono stati l’elemento principale di resistenza a quella linea di innovazione che si sostanzia nell’accrescimento della cultura statistico-economica e quindi della cultura della valutazione. Detto questo, resta il fatto che un impulso della politica è altamente desiderabile, superando il grave vizio culturale di pensare che fatta una buona legge la riforma è fatta. Fatta una buona legge si è posta la premessa, poi bisogna investire in personale e staff, in modelli di reclutamento, di formazione, di carriera, di valutazione meritocratica e soprattutto porre attenzione al processo di implementazione. Insomma, la riforma amministrativa non può essere un messaggio in bottiglia lanciato nelle onde. Quando se ne è tracciato il disegno per legge o con programmi (come il Piano industriale per l’innovazione nella PA di Brunetta) il lavoro non è finito ma appena cominciato: subito bisogna individuare uno staff centrale, altamente qualificato, che lavori insieme alle amministrazioni ma ne vinca anche le resistenze e introduca effettivamente le innovazioni.
Io credo che la scarsa attenzione della politica si sia riversata a cascata su un atteggiamento dirigenziale parimenti poco attento a questi temi. Ma, toccando un tema caldo, sottolineerei che la costruzione di uno schema di programmazione ex ante e di controllo sui risultati della gestione ex post è premessa e condizione per valutare gli stessi dirigenti nel modo più appropriato."

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Alcuni concetti espressi dal Ministro Brunetta e tradotti nel Disegno di legge approdato alla Camera– conclude Carabba – sono del tutto condivisibili. Credo però che ci sia un grande lavoro da fare nell’esercizio delle deleghe, perché nei Decreti delegati la riforma prenderà di fatto forma. In questo si deve tener presente che la responsabilità della riforma è della politica e degli uomini dell’amministrazione ma anche del sindacato del pubblico impiego, il cui apporto è fondamentale affinché la nostra amministrazione vada nella direzione di una vera modernizzazione”.  

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