Rafforzare la PA per creare coesione in un Paese asimmetrico
La società italiana nel suo complesso è oggi molto asimmetrica o, per meglio dire se vogliamo essere più espliciti, è una società in cui sono sempre più gravi le disuguaglianze. Le amministrazioni pubbliche possono essere uno straordinario strumento per una nuova e maggiore coesione o, viceversa, possono approfondire le distanze. In questo contributo mettiamo in luce come questa alternativa è, ad oggi, ancora aperta e come dipende anche da tutti noi, oltre che dalla politica e dai vertici amministrativi, quale sarà la direzione che prenderemo
19 Gennaio 2024
Carlo Mochi Sismondi
Presidente FPA
Questo articolo è tratto dal capitolo introduttivo dell’Annual Report 2023 di FPA (la pubblicazione è disponibile online gratuitamente, previa registrazione)
Se l’anno scorso avevamo aperto questa introduzione al nostro Annual Report con l’urgenza per la PA di imparare a decidere in tempi di incertezza, oggi non possiamo che rimarcare che, con la continuazione di una guerra devastante nell’Est Europa e lo scoppiare di una nuova, terribile, carneficina in Medio Oriente, questa incertezza è divenuta sistemica, abbracciando tutti gli aspetti della nostra vita personale, politica e quindi anche amministrativa. Non possiamo più pensare che “ha da passà ‘a nuttata”, ma dobbiamo attrezzarci per quella flessibilità e per quella creatività fuori dagli schemi che un futuro difficilmente prevedibile ci impone oggi e prevedibilmente ci imporrà anche domani.
Una flessibilità e una creatività che la condizione ‘asimmetrica’ in cui si trova il Paese rende ancora più necessaria. Asimmetria vuol dire, citando il dizionario, «mancanza di proporzione, di corrispondenza tra le parti di una cosa». Ecco, la società italiana nel suo complesso è oggi molto asimmetrica o, per meglio dire se vogliamo essere più espliciti, è una società in cui sono sempre più gravi le disuguaglianze. Le amministrazioni pubbliche possono essere uno straordinario strumento per una nuova e maggiore coesione o, viceversa, possono approfondire le distanze. In questo contributo metteremo in luce come questa alternativa è, ad oggi, ancora aperta e come dipende anche da tutti noi, oltre che dalla politica e dai vertici amministrativi, quale sarà la direzione che prenderemo.
Bastano pochi dati, scelti tra tanti, per convincerci che siamo di fronte ad evidenti e crescenti asimmetrie.
Il PIL italiano cresce quest’anno più della media europea e il numero degli occupati vede quasi 500mila unità più dello stesso periodo dell’anno scorso, ma, ci dice il Censis[1] , che il 73,4% degli italiani teme una prossima crisi economica molto grave e il 70,6% pensa che sia probabile addirittura un collasso della nostra società con povertà diffusa e violenza. L’occupazione italiana, nonostante la crescita di questi ultimi mesi, con il suo 61,8% è sotto di 10 punti rispetto alla media UE, ma Unioncamere[2] ci dice che le imprese lamentano la mancanza di quasi 700mila lavoratori che non riescono a trovare.
Nel periodo ultraventennale intercorso tra l’inizio del nuovo millennio e la fine del 2021, la quota di ricchezza nazionale detenuta dal 10% più ricco dei nostri connazionali è cresciuta di quasi 7 punti ed è arrivata al 53,5% mentre quella della metà più povera della popolazione italiana si è ridotta di oltre 4 punti percentuali arrivando all’8,4% e il numero dei poveri assoluti è arrivato ad oltre 5,6 milioni di persone (8,3% del totale delle famiglie rispetto al 7,7% nel 2021)[3].
La nostra indagine sulle città più innovative in Italia (ICity Rank)[4], presentato a novembre 2023, dimostra che, seppur nel quadro di una progressiva riduzione dei divari tra livelli di maturità digitale dei Comuni capoluogo, ancora c’è una grande distanza tra Centro-Nord e Sud e tra le città grandi e quelle piccole in molti degli indicatori, soprattutto quelli inerenti alle dimensioni più innovative della digitalizzazione urbana.
La recente indagine PISA[5] sulla preparazione dei nostri studenti indica che nei Paesi OCSE, la differenza media tra maschi e femmine in matematica è di 5 punti, in favore dei maschi. In Italia questa differenza è più elevata: di ben 16 punti. I risultati dei ragazzi del Nord Italia sono poi di quasi il 20% migliori di quelli del Sud.
La pubblica amministrazione è in maggioranza formata da donne, che rappresentano il 58,8% del totale dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici italiani. Se si guarda, però, alle posizioni apicali, la situazione cambia sensibilmente: solo il 33,8% è donna, appena una su tre. La retribuzione media annua dei dipendenti pubblici nel 2022, pari a 34.153 euro nel complesso, risulta costantemente più alta per il genere maschile (40.157 euro contro 30.262 euro per le femmine nel totale)[6].
Al centro della politica italiana c’è la cosiddetta “emergenza immigrazione”, ma il nostro continua a essere un Paese di emigrazione (sono più di 5,9 milioni gli italiani attualmente residenti all’estero, pari al 10,1% dei residenti in Italia), più che di immigrazione (sono 5 milioni gli stranieri residenti nel nostro Paese, pari all’8,6% dei residenti in Italia). Gli italiani che si sono stabiliti all’estero sono aumentati del 36,7% negli ultimi dieci anni (ovvero quasi 1,6 milioni in più). A caratterizzare flussi centrifughi più recenti è l’aumento significativo della componente giovanile, soprattutto i laureati cresciuti dal 33,3% del 2018 al 45,7% del 2021 (Censis 2023).
Alla base del PNRR c’era proprio la necessità di ridurre significativamente i tre divari che questi numeri ci presentano in tutta la loro rilevanza: il divario generazionale, il divario di genere e il divario geografico. Non c’è dubbio che ci sia ancora molto da fare.
A fronte di queste asimmetrie è necessario allora che le amministrazioni pubbliche, in tutte le loro articolazioni, prendano sempre più coscienza del loro decisivo ruolo nel creare le condizioni per una maggiore coesione e una reale giustizia sociale e ambientale.
A solo titolo di esempio, scegliendo una tra le tante asimmetrie, possiamo auspicare che di fronte al divario tra capacità amministrativa e maturità digitale delle città più grandi rispetto ai Comuni piccoli e medio-piccoli si possa mettere in sinergia un insieme di azioni combinate: ad esempio, accompagnare le amministrazioni con task force non di accademici, ma di colleghi di amministrazioni più performanti; permettere ai Comuni di accrescere le retribuzioni (ora un impiegato di un Comune guadagna il 20% in meno di un collega della stessa categoria che lavora in un ministero); incentivare il lavoro nei Comuni più piccoli attraverso politiche di welfare aziendale che comprendano alloggio e spostamenti, e così via.
Nel nostro continuo lavoro di osservazione di amministrazioni diverse per dimensioni, missioni e collocazione geografica la difficoltà maggiore che ci viene indicata da tutti gli interlocutori, a fronte di questa consapevolezza e anche della convinzione che qualche cosa si possa fare per garantire meglio i diritti soprattutto delle fasce più deboli, è sempre la stessa: la carenza qualitativa e quantitativa del personale pubblico. Una carenza che spesso rende anche problematico l’effettivo uso delle tecnologie disponibili o un loro adeguato approvvigionamento. Non è qui il caso di ripercorrere le ragioni storiche di questo impoverimento, ma è comunque necessario chiederci come porvi urgentemente rimedio.
Una parte importante del nostro Annual Report è tesa a dare risposte a questa domanda. Risposte che non possono certamente essere ridotte ad una ricetta magica e risolutiva. Una cosa però è sicura, che è necessario e urgente accrescere la competenza delle amministrazioni pubbliche. È necessario e urgente perché possano essere in grado di governare il tumultuoso sviluppo delle tecnologie digitali, in primis l’uso dell’intelligenza artificiale che, consapevolmente o meno, è già pesantemente presente nell’azione amministrativa. Allo stesso tempo è necessario che la crescita importante dell’utilizzo delle società di consulenza, a fronte delle grandi sfide date dalla digitalizzazione, dalle scadenze europee e dalle emergenze sociali ed economiche, trovi dall’altra parte del tavolo amministratori pubblici preparati e autorevoli, in grado di indirizzare al meglio le collaborazioni senza cedere il potere di indirizzo. È anche qui una questione di equilibrio, se su un piatto della bilancia cresce il peso della trasformazione digitale e delle competenze specialistiche da acquisire dal privato, altrettanto deve crescere, sull’altro piatto, il bagaglio di competenze e di conoscenze, anche tecniche, delle amministrazioni e dei suoi funzionari e dirigenti.
Per muoversi verso questo obiettivo la prima e più urgente cosa da fare è assumere nuove forze e farlo presto e bene. È senz’altro fondamentale infatti la formazione, l’upskillig e il reskilling del personale già presente nelle amministrazioni, ma dobbiamo renderci conto che molte delle competenze ora necessarie, come, a solo titolo di esempio, quelle per la gestione e l’analisi dei big data, o per la cybersecurity, o per la gestione di progetti complessi o, ancora come accennato, per gestire progetti di IA o sovraintendere a lavori pubblici e appalti di grande rilevanza, non possono essere acquisite solo con la formazione in itinere.
Ma per assumere presto e bene sono necessari profondi cambiamenti sia nei concorsi, sia nell’attrattività del pubblico impiego, sia infine negli stessi modelli organizzativi.
Nel primo capitolo di questo volume questi aspetti sono approfonditi, analizzando anche esperienze concrete. Scopriamo da chi lo ha fatto bene che quello che conta è introdurre nei bandi una chiara identificazione dei fabbisogni, scegliere commissioni di qualità e remunerarle adeguatamente, attuare una comunicazione chiara delle funzioni, usare con attenzione e senza creare discriminazioni titoli e test multi-risposta, considerare centrali la qualità delle prove usando le nuove tecnologie per verificare attitudini, competenze e capacità di risolvere problemi, curare l’accoglienza. Sono questi gli ingredienti che fanno un “buon reclutamento”. Ce lo mostrano le buone esperienze in giro per l’Italia. Dandoci suggerimenti semplici per replicarle e adattarle ai contesti.
Selezionare con cura le persone da immettere nella PA è importante, ma se vogliamo che nella PA rimangano i migliori talenti, e non abbandonino, come spesso ora succede, il posto appena vinto, magari andando nel privato che li cerca e li paga anche meglio o almeno li fa crescere più in fretta, è altrettanto importante che le stesse amministrazioni si impegnino a diventare migliori posti di lavoro. Per questo non basta un’innovazione incrementale, ma, dato il deludente stato attuale della gestione delle persone nella maggior parte delle amministrazioni (ovviamente con eccellenti eccezioni), serve una vera e propria ‘metamorfosi’. Parliamo di metamorfosi nel senso che a questa parola ha dato un grande sociologo come Ulrich Beck: «Cambiamento significa che alcune cose mutano, ma altre rimangono uguali. La metamorfosi, invece, implica una trasformazione molto più radicale, in cui le vecchie certezze vengono meno e nasce qualcosa di totalmente nuovo»[7].
Le metamorfosi costano e hanno un alto rischio di disorientamento, se intraprese senza avere davanti un chiaro percorso. Per noi il percorso ha un obiettivo preciso: la crescita del valore pubblico prodotto dalle amministrazioni; vede una strategia per raggiungerlo basata sul riconoscimento costante della centralità delle persone all’interno (dipendenti) e all’esterno (cittadini e imprese); considera come fattori abilitanti di questa strategia le innovazioni organizzative e, strettamente legata a queste, l’innovazione tecnologica e, segnatamente, la trasformazione digitale. Il panorama di questa metamorfosi è poi, necessariamente, un modello relazionale e organizzativo basato sul paradigma della rete. Parliamo quindi di un radicale processo trasformativo, la metamorfosi, di un obiettivo, ossia la produzione di maggiore valore pubblico, di una strategia basata sul rispetto e l’attenzione alle persone, di due importanti fattori abilitanti che sono una coerente innovazione organizzativa e una pervasiva trasformazione digitale e, infine, di un paradigma unificante che è quello di “governare con la rete”[8].
In questo percorso la centralità delle persone dipende in larga misura dalle condizioni di lavoro che ogni amministrazione sarà stata in grado di creare. I giovani talenti dovranno infatti trovarsi nella possibilità di sperimentare e di percorrere strade nuove e dovranno poter sentirsi nel diritto di fallire e di commettere errori, perché, come ci insegna la storia della scienza, senza errori non c’è innovazione. D’altra parte, è proprio questo clima favorevole al nuovo che, assieme alla flessibilità e ad un ambiente aziendale rispettoso dell’unicità di ciascun individuo e dei suoi diritti, chiedono i migliori da un posto di lavoro, molto più che non il solo parametro retributivo, pur importante, o la stabilità che, in una società in rapido mutamento, viene sempre meno percepita come un valore.
La recente direttiva sulla valutazione della performance, firmata il 28 novembre scorso dal Ministro Paolo Zangrillo, va in questa direzione quando definisce la misurazione del merito in una forma innovativa per le amministrazioni pubbliche. Leggiamo infatti che «valutare il merito significa misurare la capacità che abbiamo di esprimere i nostri talenti le nostre virtù; significa individuare le aree di miglioramento, in fin dei conti occuparsi del benessere delle persone; significa spronare le persone nella ricerca del risultato, cercare di colmare le loro debolezze, cogliere le loro potenzialità e orientarle a svolgere le funzioni più adatte alle loro caratteristiche».
La stessa direttiva riconosce come primo valore necessario per raggiungere un sufficiente livello di leadership «la capacità di superare gli schemi consolidati (flessibilità e innovazione, pensiero laterale)». Si tratta di passaggi fondamentali e non scontati per aiutare le amministrazioni a uscire, nel processo di assunzione e di inserimento di nuove professionalità, dalla logica dell’adempimento formale, quando domina il principio della mera sostituzione e quindi reiterazione dell’esistente, alla logica del progetto, che rimette in discussione la stessa missione dell’ente e quindi i suoi obiettivi strategici e da questi fa discendere il fabbisogno di nuovo personale e anche la sua stessa motivazione.
Tornando al nostro percorso ideale che porta alla creazione di nuovo valore pubblico sarà bene chiarire il significato di questo termine un po’ logorato dal troppo uso. In questo contesto, per valore pubblico intendiamo il miglioramento congiunto ed equilibrato degli impatti esterni dell’azione dell’ente dal punto di vista economico, sociale, ambientale, sanitario, a favore delle diverse categorie di utenti e stakeholder dell’ente stesso e da essi chiaramente percepito come un valore. In questo miglioramento appare sempre più importante l’attenzione verso la sostenibilità dello sviluppo e la sua equità sociale. Insieme all’impatto esterno, la costruzione di valore pubblico implica anche gli impatti interni sulla salute delle risorse, umane e finanziarie, a disposizione dei soggetti che si occupano della sua creazione.
Così inteso il valore pubblico è quindi il miglioramento del livello di benessere sociale di una comunità, perseguito da un ente capace di svilupparsi economicamente, facendo leva sulla riscoperta del suo vero patrimonio, ovvero i valori intangibili quali, ad esempio, la capacità organizzativa, le competenze delle sue risorse umane, la rete di relazioni interne ed esterne, la capacità di leggere il proprio territorio e di dare risposte adeguate, la tensione continua verso l’innovazione, la sostenibilità ambientale delle scelte[9].
Si tratta ovviamente di un concetto dinamico, che deve adattarsi di volta in volta alla missione dell’ente e al contesto economico e sociale in cui questo opera. Comunque, la sua caratteristica è di avere due facce, come Giano: l’una guarda all’esterno e all’impatto dell’azione dell’ente sulla comunità di cittadini, imprese, altre amministrazioni a cui sono destinati i suoi servizi. Questo è l’aspetto per cui le amministrazioni sono, o dovrebbero essere, piattaforme per fornire capabilities e rendere possibili quelli che A. Sen[10] chiama “funzionamenti”. L’altra faccia guarda all’interno dell’organizzazione, nella convinzione che solo dove è presente una costante attenzione all’oculata e lungimirante gestione delle risorse, e soprattutto al benessere organizzativo e al rispetto delle persone, è possibile creare valore.
Abbiamo detto che la trasformazione digitale e il suo impatto sull’organizzazione sono i fattori determinanti per il successo di questa metamorfosi. Il digitale non è infatti un progetto tra i tanti che la PA si trova davanti, ma l’ecosistema in cui si colloca qualsiasi sua attività. In questo percorso di trasformazione un elemento appare ormai chiaro: il principale fraintendimento che l’ha rallentato e, spesso, portato fuori strada, è stato quello di pretendere di introdurre il digitale in una PA che rimaneva sostanzialmente la stessa, invece di portare le amministrazioni nel paradigma digitale, attraverso profonde e coraggiose attività di riorganizzazione dei processi e di rinnovamento dei servizi e delle stesse relazioni con i cittadini, ma anche con i propri dipendenti. Il risultato è stato quello di informatizzare spesso l’esistente, senza cogliere l’opportunità generativa delle nuove tecnologie.
La trasformazione digitale è infatti cosa ben diversa dall’informatizzazione. Si tratta di attuare un ripensamento radicale del modello organizzativo, della customer experience, dei processi e delle operazioni. In questo senso la trasformazione digitale non è “roba da tecnici”, ma deve coinvolgere tutta l’organizzazione a cominciare dal suo vertice. Anche la Commissione europea nella sua recente comunicazione al Consiglio e al Parlamento invita le amministrazioni degli Stati membri ad adottare le tecnologie digitali cambiando il modo in cui operano: «Esse dovranno fornire servizi in modo uniforme e user-friendly per persone, imprese e il proprio personale. Questo comporta spesso una profonda trasformazione per ridisegnare i processi attuali o cambiare politiche, semplificare la vita quotidiana delle persone e migliorare l’ambiente aziendale riducendo la burocrazia»[11].
Il processo di profondo cambiamento nelle amministrazioni che abbiamo auspicato non potrà avere successo se non coinvolgerà tutta la comunità nazionale e le comunità locali dove le amministrazioni operano. È il paradigma della rete quello che unifica l’innovazione organizzativa, la trasformazione digitale e il valore sociale dell’azione amministrativa in una società democratica, puntando sul valore della relazionalità e sulla gestione condivisa dei dati e della conoscenza, mettendo in primo piano la volontà e la necessità di lavorare assieme per un obiettivo comune. E questa collaborazione, in un clima di comune motivazione e di rispetto, è alla base anche di quel benessere organizzativo che garantisce la salute di ogni amministrazione e quindi la sua capacità di costruire valore pubblico, ma che aprirà anche le porte del pubblico impiego a giovani innovatori che potranno vedere la possibilità di portare innovazione lì dove si costruiscono le politiche per il bene comune e per ridurre le gravi asimmetrie che sono sotto i nostri occhi, se solo le vogliamo vedere.
Se l’asimmetria rischia sempre di portare a situazioni di squilibrio sarà utile ricordare in conclusione che, nelle situazioni di massima sollecitazione, come quelle ad alto rischio sismico, non è alla rigidità degli edifici che si associa una maggiore sicurezza. Nel costruire grattacieli a San Francisco, in una delle zone a maggior rischio sismico del mondo, si scelgono strutture in grado di assicurare agli edifici una grande deformabilità elastica, che permetta loro di oscillare senza rompersi. Una struttura rigida crollerebbe alla prima scossa. Così come amministrazioni pubbliche che abbiano paura di cambiare continuamente, che non siano disposte a percorrere nuove strade, che non promuovano flessibilità e creatività non saranno in grado di sostenere le sollecitazioni e gli urti che una società asimmetrica certamente continuerà a produrre.
[1] Censis, 57° Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2023, FrancoAngeli, Milano, 2023
[4] Disponibile su forumpa.it/whitepapers
[2] Bollettino annuale 2023 del Sistema informativo Excelsior, Unioncamere e Anpal, 25 novembre 2023
[3] Rapporto Oxfam La disuguaglianza non conosce crisi, gennaio 2023
[5] Rilevazione OCSE PISA, 2022 – Programme for International Student Assessment
[6] INPS, Osservatorio sui lavoratori pubblici, novembre 2023
[7] U. Beck, La metamorfosi del mondo, Laterza, Bari, 2017
[8] S. Goldsmith e W. Eggers, Governare con la rete. Per un nuovo modello di pubblica amministrazione, IBL libri, Milano, 2010
[9] E. Deidda Gagliardo, Cosa è il Valore Pubblico. Disponibile su forumpa.it
[10] Amartya Sen, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Mondadori, Milano, 2000
[11] Comunicazione della Commissione europea COM(2023) 667, Enhancing the European Administrative Space (ComPAct), ottobre 2023