Gli impatti del coronavirus sull’organizzazione del lavoro pubblico: è il momento di scegliere

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Inutile nasconderlo: a causa dell’epidemia dell’ormai noto Coronavirus l’Italia sta vivendo una situazione di emergenza che ha pochi precedenti.
La macchina dello Stato tuttavia non si ferma e le attività ordinarie possono continuare adattandosi in fretta.

9 Marzo 2020

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Alfredo Ferrante

Dirigente pubblico

Photo by Tyler Franta on Unsplash - https://unsplash.com/photos/iusJ25iYu1c

Inutile nasconderlo: a causa dell’epidemia dell’ormai noto Coronavirus, l’Italia sta vivendo una situazione di emergenza che ha pochi precedenti. È ormai chiaro che gli impatti attesi saranno amplissimi: oltre all’aspetto epidemiologico e sanitario e alla primaria preoccupazione per la salute dei cittadini, ci si comincia a render conto delle conseguenze economiche, lavorative e sociali della crisi, che chiama tutti ad un imperativo senso di responsabilità per arrestare la diffusione del Covid-19, anche e soprattutto nei comportamenti individuali adottati quotidianamente.

È chiaro il messaggio che proviene dalla comunità scientifica e dalle autorità: limitare al massimo le occasioni di socialità e prossimità onde impedire il diffondersi del contagio. Conseguenti sono state, sinora, le misure adottate dal Governo, estese a tutto il territorio nazionale e non solo alle “zone rosse” (purtroppo in aumento), quali, ad esempio, la chiusura delle scuole e delle università e, per quanto riguarda i lavoratori, la spinta ad utilizzare modalità lavorative da remoto attraverso forme di lavoro agile (o Smart Working).

Le misure del Governo

Direttiva n.1 del 2020 – Emergenza epidemiologica COVID-2019

Già dal 25 febbraio, infatti, con direttiva n. 1 del 2020 della Ministra per la Pubblica Amministrazione Dadone, si erano date indicazioni ai pubblici uffici al fine di evitare al massimo riunioni o viaggi di missione, ponendo l’accento sul privilegiare modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa, favorendo i lavoratori portatori di patologie che li rendono maggiormente esposti al contagio, quelli che si avvalgano di servizi pubblici di trasporto per raggiungere la sede lavorativa, e quelli sui quali gravi la cura dei figli a seguito dell’eventuale contrazione dei servizi dell’asilo nido e della scuola dell’infanzia. Le amministrazioni venivano invitate, altresì, a potenziare il ricorso al lavoro agile, con modalità semplificate e temporanee di accesso. Con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1 marzo è stato in seguito disposto che la modalità di lavoro agile di cui alla legge 22 maggio 2017, n. 81:

“può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza […] dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato […], anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”.

Decreto legge 2 marzo 2020, n. 9

Successivamente, col decreto-legge n. 9 del 2 marzo, è stata prevista la possibilità di incrementare sino al 50% i quantitativi massimi delle convenzioni-quadro di Consip S.p.A. per la fornitura di computer portatili e tablet, al fine di coprire la dotazione necessaria per i lavoratori del settore pubblico in modalità remota.

Lo stesso decreto, inoltre, ha disposto (art. 18, co. 5) la fine della fase sperimentale del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni, introdotta, su base volontaria e con l’obiettivo di coinvolgere, entro tre anni, almeno il 10 per cento dei dipendenti, dalla legge 7 agosto 2015, n. 124, l’arcinota “Legge Madia”. Dopo ben 5 anni di sperimentazione delle “nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa”, già disciplinate dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3 del 2017, il lavoro agile, in ragione dell’emergenza presente, diviene quindi modalità di lavoro propria del settore pubblico, al pari del lavoro in presenza.

Una modalità decisamente rivoluzionaria per le amministrazioni, che impone una decisa sterzata verso attività slegate dal complesso di parafernalia tipici dell’azione amministrava fatto di cartellino, presenza alla scrivania e procedure ben definite, in un quadro pre-crisi in crescita ma che il recente Rapporto Annuale di FPA definiva ancora assai limitato in termini di diffusione e di “digestione” da parte delle strutture, chiamando in causa:

la cultura manageriale di quei dirigenti che dovrebbero favorire il passaggio dal meccanismo del controllo a una relazione fra capo e collaboratore basata sulla fiducia”.

Decreto del PdCM 4 marzo 2020

Il dado è ormai tratto e il 4 marzo, mentre viene adottato il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che dispone la sospensione in tutta Italia delle attività didattiche negli istituti scolastici e nelle università dal 5 al 15 marzo, la Ministra Dadone emana la circolare n. 1 del 2020 con cui si spinge con maggiore decisone per l’adozione di modalità di lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni Italiane e si stabilisce, fra l’altro, anche alla luce dell’emergenza in corso, a) il progressivo superamento del telelavoro e il ricorso prioritario al lavoro agile; b) il ricorso a videoconferenza e conferenze telefoniche al posto di riunioni; c) il ricorso a modalità flessibili anche per il lavoratore che utilizzi propri dispositivi, a fronte dell’indisponibilità da parte dell’amministrazione, con uso del cloud per l’accesso condiviso a dati, informazioni e documenti.

Lo Smart Working nelle amministrazioni centrali

È il via libera: a ruota, le diverse amministrazioni centrali (limitiamoci a queste), presso le quali già erano in essere diposizioni relative alla disciplina dello Smart Working, adottano speditamente gli atti amministrativi conseguenti per adeguarsi alla straordinarietà della situazione, prevedendo modalità semplificate di accesso ma attraverso determinazioni, tuttavia, non sempre coerenti.

Presidenza del Consiglio dei ministri

Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri viene prevista, il 4 marzo, l’autorizzazione a prestare lavoro agile per un numero di giornate mensili non superiore a 10, sostanzialmente raddoppiando quanto sino a quel momento previsto.

Ministero dell’economia e delle finanze

Con comunicazioni del 4 marzo e, successivamente, del 6 marzo, il Ministero dell’economia e delle finanze, individua, fino a nuova disposizione, un numero massimo di 15 giornate mensili in lavoro agile, favorendo i dipendenti affetti da patologie croniche o con multimorbilità ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita, quelli  maggiormente esposti al contagio e quelli con particolari esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche in relazione ai provvedimenti di chiusura di asili nido, scuole dell’infanzia, scuole primarie e secondarie di primo grado.

Agenzia per la coesione territoriale

L’Agenzia per la coesione territoriale, il 5 marzo, opta per dare priorità, sino al 22 marzo, a chi sia portatore di patologie, si avvalga dei mezzi pubblici per raggiungere la sede lavorativa, su cui gravi la cura dei figli a seguito della contrazione dei servizi scolastici o abbia necessità di prestare assistenza a familiari per particolari patologie, anche non rientranti nella casistica relativa alle legge l04 del 1992.

Ministero della Giustizia

Il Ministero della Giustizia, con direttiva del 4 marzo, nell’individuare le attività delocalizzabili, mira a favorire, in ordine di priorità, ma senza limiti numerici di accesso, coloro che siano affetti da patologie tali da esporli ad un maggiore rischio di contagio, lavoratori con figli in condizioni di disabilità grave, lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del congedo di maternità, dipendenti sui quali grava la cura dei figli minori, anche in conseguenza della sospensione o contrazione dei servizi degli asili nido, della scuola per l’infanzia e della scuola primaria di primo grado e, infine, dipendenti che raggiungano la sede di lavoro con mezzi pubblici, percorrendo una distanza di almeno cinque chilometri.

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Ministero del lavoro e delle politiche sociali

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con decreti del 2 marzo e, successivamente, del 5 marzo, prevede, sino al 31 marzo, un numero di giornate lavorative non superiore a dieci per ciascun lavoratore autorizzato, rivedibile sulla base dell’evoluzione dell’emergenza epidemiologica, favorendo, in particolare, i portatori di patologie che li rendono maggiormente esposti al contagio, chi ha soggiornato o è transitato, a partire dal quattordicesimo giorno antecedente il 2 marzo, nelle cosiddette “zone rosse”, nonché coloro su cui gravi la cura dei figli di minore età, nei limiti di durata del periodo di sospensione dei servizi e delle attività didattiche.

Ministero dello sviluppo economico

Il Ministero dello sviluppo economico, con nota del 6 marzo, non pone limiti per l’attivazione dell’accesso, indicando, tuttavia, priorità per il i lavoratori con patologie che li rendono più esposti al contagio, per quelli conviventi con familiare affetto da patologie a rischio, per gli ultrasessantacinquenni, per coloro che debbano provvedere alla cura e custodia dei figli minori a seguito della chiusura delle scuole e per i lavoratori con disabilità, anche cognitiva. È facoltà del responsabile degli uffici prevedere rotazioni in caso vi siano impatti negativi sull’organizzazione del lavoro.

Fermiamoci qui: è evidente come, sotto l’ombrello delle indicazioni generali fornite dal Dipartimento della funzione pubblica, le diverse amministrazioni si siano attrezzate, con immediata reattività, per far fronte all’emergenza attraverso il potenziamento dello Smart Working, inteso, in questo frangente di straordinarietà, come un modo per ridurre la compresenza dei lavoratori nelle sedi di lavoro e limitare, così, il diffondersi del contagio. La particolarità della situazione giustifica, evidentemente, la spiccata creatività con cui le diverse strutture hanno inteso disciplinare l’ampliamento del lavoro agile, pur contemplando, in modo poco comprensibile, non solo criteri preferenziali spesso diversi ma, in più, un numero di giornate dedicate al remoto assolutamente variabile e improntato a una ratio che non è facile scorgere.

Smart Working, facciamo ordine

Serve, tuttavia, a questo punto, fare ordine in tavola. Sappiamo che la fine della sperimentazione del lavoro agile nel settore pubblico è stata decretata sulla base dell’emergenza: è stata una decisione di buon senso, puntando a utilizzare una leva importante per limitare la presenza negli uffici. Ed è evidente che il valore aggiunto in termini di ripensamento organizzativo che l’adozione dello Smart Working potenzialmente comporta lascia in questa fase il passo alla primaria esigenza di evitare, per quanto possibile, ogni fenomeno aggregativo. Ebbene, se il quadro generale è quello illustrato e l’urgenza è quella di evitare i luoghi affollati e i contatti ravvicinati mantenendo la distanza di almeno un metro (come recitano testualmente le ormai note raccomandazioni del Ministero della salute), allora occorre convenire che le misure sin oggi adottate sono poco più di un pannicello caldo. La gravità della situazione, le cui conseguenze sono ancora in parte poco prevedibili, impone, senza mezzi termini, di sgombrare gli uffici pubblici.

Gli accorgimenti sinora previsti, approntati con grande sforzo e sotto una pressione difficilmente immaginabile per far fronte all’emergenza sanitaria attraverso la spinta all’utilizzo del lavoro agile sono, purtroppo, insufficienti. Quale il senso di chiudere scuole e università se lavoratori in tutto il Paese continuano in gran numero a condividere stanze e open space per ore e ore al giorno? Diciamolo chiaramente: non si tratta più di dare priorità a categorie di individui o ampliare il numero di giornate lavorabili da remoto su base volontaria, ma di impedire, ora e subito, la prossimità delle persone in un momento critico per arrestare la diffusione del contagio.

Conclusioni

Gli eventi hanno scavalcato, impetuosi, le misure immaginate, nate già obsolete: l’emergenza richiede, senza troppi giri di parole, atti straordinari. Si prendano decisioni drastiche, draconiane: tutti a lavorare lontano dalle quattro mura degli uffici, con una presenza nelle sedi delle tante amministrazioni ridotta al minimo assolutamente necessario per le funzionalità che richiedano la presenza fisica, dirigenti in primo luogo. La macchina dello Stato non si ferma e le attività ordinarie possono continuare adattandosi in fretta. Lo si decida ora e per il tempo necessario, consapevoli della eccezionalità della misura e del dovere di fare subito tutto quel che sia opportuno per contribuire a bloccare l’epidemia.

Quando il peggio sarà passato, avremo magari imparato una volta per tutte, grazie ad una terapia shock, che l’organizzazione del lavoro pubblico può e deve cambiare in profondità, che possono salvaguardarsi con efficacia le esigenze di conciliazione fra lavoro e vita privata e che le relazioni di fiducia potranno finalmente prendere il posto dell’esasperato formalismo che ancora governa troppa parte dei nostri regolatori e delle nostre burocrazie. Domani, però: oggi preme fare presto ed essere, una volta tanto, smart.

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