Quinta puntata della rubrica “Le persone al centro. La strada maestra per innovare la PA” a cura di Antonio Naddeo in collaborazione con FPA. Oggi torniamo a parlare di smart working, un tema di cui si è tanto discusso durante il periodo pandemico, ma che non ha perso di attualità e rilevanza. Quale senso dare oggi al dibattito sullo smart working nel lavoro pubblico? I nuovi contratti prevedono sia il lavoro agile vero e proprio, che il lavoro da remoto: due forme diverse, tra cui le singole amministrazioni possono scegliere, ma prima di fare qualunque scelta si deve partire da un percorso di riorganizzazione interna
13 Gennaio 2023
Lo smart working è una scelta organizzativa della singola amministrazione che chiama in campo la responsabilità dei dirigenti. Questa la premessa da cui parte Antonio Naddeo, Presidente dell’ARAN, per tornare a parlare di lavoro agile nella PA e lo fa in questa nuova puntata della rubrica “Le persone al centro. La strada maestra per innovare la PA” realizzata in collaborazione con FPA.
I nuovi contratti collettivi nazionali di lavoro introducono due forme di smart working: da un lato il lavoro agile in senso stretto (senza vincolo di orario e senza vincolo di luogo), dall’altro il lavoro da remoto (con vincolo di orario e di luogo). Prima di effettuare qualunque scelta è però necessario passare da un processo di riorganizzazione delle singole amministrazioni. Non può esserci, infatti, una modalità moderna di lavoro agile all’interno di una PA pensata solo per il lavoro in presenza.
Le amministrazioni, quindi, devono lavorare in primis sull’organizzazione, poi devono capire se una delle due modalità previste dai contratti è adatta alle proprie esigenze e, infine, essere in grado di valutare l’attività del dipendente, a prescindere dal fatto che questa avvenga in presenza o a distanza.
“Un’efficace azione per sviluppare lo smart working va nell’interesse sia dell’amministrazione che dei lavoratori e delle lavoratrici”, conclude Naddeo.