Smart working: dare il giusto valore al tempo
In attesa del POLA (Piano Organizzativo del lavoro agile) di Roma Capitale, una riflessione sul tempo che dedichiamo al lavoro da casa. Perché il lavoro agile richiede la giusta preparazione tecnica, ma soprattutto la giusta predisposizione mentale per far sì che vita privata e lavoro non interferiscano l’una con l’altro
5 Gennaio 2021
Rosalba Reda
Roma Capitale
Valore e tempo: due termini che già singolarmente rappresentano espressione di un concetto esteso e profondo e, se affiancati l’uno all’altro, portano alla luce l’esigenza di una riflessione più attenta e accurata; due concetti la cui identità è stata mutata, stravolta dall’emergenza sanitaria che ci ha costretti a riorganizzare le nostre vite e anche la modalità con cui ci approcciamo al lavoro.
Si trovano online molteplici articoli e studi sul tema, nei quali si riportano punti di vista e analisi sui diversi aspetti della vita lavorativa in tempo di smart working (citiamo fra tutti la pubblicazione ENEA sull’indagine nazionale) e nei quali si pone spesso l’accento su una moltitudine di aspetti positivi che l’adozione di questa nuova modalità lavorativa ha introdotto nelle nostre vite sia dal punto di vista ambientale – con, ad esempio, la riduzione delle emissioni di Co2, oppure con il risparmio energetico – ma anche dal punto di vista strettamente personale con benefici in tema di salute, risparmio di consumi e recupero del tempo perduto nel tragitto lavoro-casa.
Secondo l’ultima indagine presentata il 3 novembre dall’Osservatorio del Politecnico di Milano, sono circa 6,58 milioni le persone che svolgono attualmente la propria attività lavorativa in regime di smart working e che quindi affermano, attraverso il prodotto del loro lavoro, che il cambiamento tanto atteso e di cui tanto si è discusso è di fatto, in parte, già avvenuto. Il lavoro agile, o smart working che sia, è una realtà già affermata che richiede oggi un ulteriore sforzo a livello manageriale: concepire una modalità nuova di lavoro da remoto, sostenibile e a misura di lavoratore.
Roma Capitale, forte della sua identità nazionale, da sempre accoglie e amplifica le sfide che le vengono lanciate in tema di sviluppo e assume il suo ruolo di primaria importanza quando si tratta di progettare, realizzare, espandere le infrastrutture alla base dei processi di crescita, incastonando fra le sue peculiarità l’esigenza di essere diretta espressione del bisogno di rinnovamento, della necessità di ripartire dal concetto di design human centred, della volontà di ripartire dal capitale umano. Il management di Roma Capitale deve, dunque, affrontare la quotidiana sfida del rinnovamento, attraverso una ripartenza che sta alla base di un processo che, di fatto, non si è mai realmente arrestato: una trasformazione del rapporto PA-Dipendente che passa finalmente dal know where al know how. Da questa vision, da questo bisogno di cambiamento, ha origine il progetto di Change Management: il programma rivolto in prima istanza all’area dirigenziale dell’Ente (con ulteriori moduli dedicati a tutta la platea di dipendenti) con lo scopo di fornire gli strumenti utili alla transizione verso l’adozione di un nuovo modello organizzativo e gestionale (a partire da quello ADKAR (Awareness, Desire, Knowledge, Ability, Reinforcement). Già da qui diventa evidente il ruolo strategico del Dipartimento Partecipazione, Comunicazione e Pari Opportunità che esplicita la sua centralità in tutti i progetti trasversali di Roma Capitale, nonché di promotore di engagement fra l’Ente e il personale a servizio del Paese.
Ripartire dal proprio lavoro, ripartire dal capitale umano, sfruttando la scia della spinta tecnologica: così un progetto di ampio respiro e matrice si amplifica e trasforma nella cassa di risonanza di Roma Capitale.
Quegli aspetti, dunque, che finora sono stati etichettati come elementi secondari, per via dell’emergenza sanitaria abbattutasi su tutto il Paese, diventano oggi di grande rilievo nella fase di governance del progetto, allo scopo di ridurre al minimo quelle distorsioni che già irrimediabilmente si riflettono sulle nostre vite da smart worker, in ottica di ottimizzazione delle risorse e della qualità del lavoro reso; prima fra tutti la gestione del tempo.
È ormai risaputo che lavorare da remoto espone facilmente al rischio di un eccessivo prolungamento dell’attività lavorativa, e che quest’ultima finisce spesso per non essere adeguatamente separata dalla vita personale e dalle attività familiari. Il distanziamento sociale che viene a crearsi fra colleghi per via dell’assenza fisica dall’ufficio, il timore di perdere eventuali incarichi e responsabilità, la convinzione di avere sempre tempo per svolgere alcuni compiti e portare a termine gli obiettivi prefissati per il gruppo di lavoro, induce alcuni soggetti ad un impegno di tempo ed energie in misura di gran lunga superiore a quella prevista dai normali orari e impegni che l’attività lavorativa richiederebbe. Tutte queste attività causano, pur se con diverse modalità di innesco psicologico, un eccessivo prolungamento dell’orario lavorativo che finisce inevitabilmente per assumere una consistenza liquida e confini indefiniti e spalmarsi e distribuirsi su fasce orarie non lavorative fino a travalicare inevitabilmente il confine tra lavoro e vita privata.
Nell’ottica di un miglioramento della nostra attività lavorativa, oltre che di riorganizzazione dei nostri spazi psicofisici, è necessario attenzionare un aspetto importantissimo inerente l’attività in lavoro agile: la qualità del tempo che dedichiamo ai nostri progetti. Il pensiero che sta alla base del concetto tanto stressato di diritto alla disconnessione è esemplificabile nella serie di domande che ciascuno dovrebbe porsi in relazione alla propria capacità di gestire il tempo: “Che valore dai al tuo tempo? Quanto vale per te un minuto?” E ancora: “Sei sicuro di dare la giusta importanza al tuo tempo libero?” Molto spesso la risposta non c’è, perché altrettanto spesso dimentichiamo di indagare la natura delle nostre abitudini, dalle quali quasi sempre facciamo fatica a staccarci, perché esse ci restituiscono una illusoria sensazione di confort e sicurezza.
Roma Capitale, consapevole dell’impatto che si avrà su quella percentuale di dipendenti che vorrà fruire delle misure previste dal POLA (potenzialmente la platea è di circa 14.000 dipendenti), si impegna a restare vigile sul benessere del lavoratore e a garantire, fra gli altri, il diritto alla disconnessione.
In attesa di una riorganizzazione capillare delle attività di lavoro da remoto e del passaggio verso una modalità ordinaria di lavoro agile, (come già previsto con il c.d. Decreto Rilancio in linea con quanto richiesto dall’articolo 14, comma 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124, come modificato dall’art. 263, comma 4-bis, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34) le pubbliche amministrazioni si stanno via via predisponendo, anche attraverso la previsione di gruppi di lavoro più ampi del singolo Ente (fra gli esempi di buone pratiche sulla riorganizzazione del lavoro da remoto particolare rilevanza assume il progetto VELA – Smart Working per la PA), a recepire le indicazioni fornite dal Dipartimento della Funzione Pubblica con la pubblicazione delle Linee guida sul Piano Organizzativo del Lavoro Agile.
Alla luce delle considerazioni esposte diventa di fondamentale importanza che ciascuno acquisisca la consapevolezza del fatto che è necessario anzitutto riorganizzare la propria attività lavorativa e quindi la propria dimensione psicofisica del vivere il lavoro, utilizzando piccole accortezze per rivivere al meglio i propri spazi interiori ed esteriori. Il lavoro agile richiede la giusta preparazione tecnica ma soprattutto la giusta predisposizione mentale per far sì che vita privata e lavoro non interferiscano l’una con l’altro, rendendo inadeguata sia la qualità del lavoro che quella del proprio tempo libero.
Rispettare le scadenze, ma anche se stessi e i propri tempi, è alla base di un equilibrio imprescindibile che porterà enormi benefici in termini di qualità della vita e dei rapporti umani. Lavorare da a casa ha i suoi indiscutibili vantaggi che col tempo, e con la giusta guida, impareremo a riconoscere e apprezzare.
“Our dilemma is that we hate change and love it at the same time; what we really want is for things to remain the same but get better…” (Sydney J. Harris): “Il nostro problema è che odiamo il cambiamento e lo amiamo allo stesso tempo; ciò che realmente desideriamo è che le cose rimangano uguali ma migliori…”