Smart working, modelli organizzativi innovativi per smart cities

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L’attività lavorativa è un elemento cardine della vita delle comunità urbane e dell’organizzazione della città perché incide, in modo significativo, sulla qualità della vita delle persone e delle famiglie e sulle prospettive di sviluppo economico e sociale. Il quesito che si intende affrontare in questa sede è se sia possibile, per gli organi di governo di una città, aprire nuove prospettive di sviluppo a politiche integrate in materia di energia, mobilità, welfare, parità di genere e inclusione sociale attraverso azioni condivise di indirizzo e di sostegno, rivolte alle amministrazioni e alle aziende che operano nel territorio, perché innovino i propri modelli organizzativi del lavoro.

16 Marzo 2015

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Marina Penna e Bruna Felici*

L’attività lavorativa è un elemento cardine della vita delle comunità urbane e dell’organizzazione della città perché incide, in modo significativo, sulla qualità della vita delle persone e delle famiglie e sulle prospettive di sviluppo economico e sociale. Il quesito che si intende affrontare in questa sede è se sia possibile, per gli organi di governo di una città, aprire nuove prospettive di sviluppo a politiche integrate in materia di energia, mobilità, welfare, parità di genere e inclusione sociale attraverso azioni condivise di indirizzo e di sostegno, rivolte alle amministrazioni e alle aziende che operano nel territorio, perché innovino i propri modelli organizzativi del lavoro.

E’ evidente che si sta parlando di politiche “smart”, cioè realizzabili attraverso processi interconnessi e che, a regime, riducano i consumi di risorse e i costi a carico dei lavoratori, dei datori di lavoro e della collettività e abbiano la capacità di incidere su una risorsa scarsa a valore unico: il tempo, che nella nostra società è diventata misura di qualità della vita ed ha acquisito un valore crescente, anche economico.

Un’interessante esperienza del Comune di Milano ha fatto da “apripista” e dimostrato che “si può fare”. Il punto centrale consiste nel far cadere la convinzione ipostatica che la produzione ottimale di un bene o un servizio sia necessariamente quella che vincola chi lavora ad una sede e ad un orario prestabilito.

Questa convinzione, che, soprattutto in Italia, permea profondamente le regole e le prassi lavorative di aziende e amministrazioni, si fonda su assiomi ampiamente contraddetti dalla comunità scientifica e dall’evidenza sperimentale di chi ha adottato modelli innovativi di organizzazione del lavoro.

Sotto l’aspetto scientifico, la psicologia del lavoro, trattando le complesse dinamiche tra processi di organizzazione del lavoro, produttività e salute ha riaffermato la centralità del “fattore umano” dimostrando che lo stress lavoro correlato e la scarsa produttività derivano dagli stessi elementi di pressione[1]. Le soluzioni al diffuso peggioramento della qualità dei prodotti e all’impersonalità dei servizi che si riscontrano in modo diffuso nelle società industrializzate passano, dunque, inevitabilmente per il coinvolgimento “cognitivo” del lavoratore nell’attività dell’organizzazione e possono propagare, a cascata, i propri effetti anche sugli altri ambiti della vita sociale.

Allo stesso risultato conducono le conclusioni dell’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano[2] che ha analizzato le esperienze e le trasformazioni delle aziende che hanno accolto le sfide dell’innovazione rivolgendole anche all’interno della propria organizzazione del lavoro.

La giornata del lavoro Agile

L’esperienza del Comune di Milano, da considerare come una buona prassi, è costituita dalla prima Giornata del Lavoro Agile[3], che si è svolta il 6 febbraio 2014 e che sarà ripetuta, quest’anno, il 25 marzo. Essa ha posto il tema dello sviluppo urbano secondo un’ottica multifunzionale. La città è pensata non solo come spazio dell’abitare e della relazione, della produzione e del consumo di beni e servizi, ma anche come luogo per sviluppare nuove pratiche e modalità di lavoro in spazi condivisi.

L’evento promosso dall’amministrazione comunale, è stato presentato come prima sperimentazione del nuovo Piano territoriale degli orari, per “un’organizzazione del lavoro che segua le trasformazioni della città”. Ha visto la partecipazione, su base volontaria, di oltre 100 tra soggetti pubblici, aziende private, studi professionali, ed ha coinvolto oltre 5mila lavoratori. Si è trattato di un percorso inclusivo ratificato da un protocollo di intesa sottoscritto dalle Federazioni e Associazioni in rappresentanza delle aziende e dei lavoratori[4].

La città per un giorno è divenuta laboratorio partecipato di sperimentazione, di tempi e modi per la mobilità sostenibile, di utilizzo di luoghi multifunzione e servizi variamente accessibili e fruibili dai cittadini, di conciliazione di ambiti di vita e di lavoro.

Il territorio, per la densità abitativa e per l’estensione geografica che caratterizza il suo tessuto produttivo, si presenta come un spazio di osservazione ideale di una grande area metropolitana che va ben oltre il confine regionale.

Sebbene in versione light rispetto all’idea evoluta di smart working , la giornata del Lavoro Agile rafforza la convinzione che nuove forme di organizzazione del lavoro possano contribuire a trasformare lo stesso mondo del lavoro, impattando positivamente sull’efficacia e produttività delle aziende, sulla qualità della vita delle persone e sulla migliore gestione degli spazi collettivi.

Lo smart working nelle prospettive collettiva, individuale e aziendale

I dati raccolti a Milano sono coerenti con quanto è noto da tempo sulle aziende e le istituzioni che hanno già adottato analoghe misure sul lavoro a distanza.

Dal punto di vista collettivo agire in maniera intelligente sull’organizzazione del lavoro in termini di tempi e luoghi, significa incidere significativamente anche sulla mobilità privata con un potenziale impatto sul livello delle emissioni e sui consumi energetici e in generale sulla qualità complessiva dell’ambiente urbano. L’Italia oltre ad essere uno dei paesi europeo con il più alto tasso di motorizzazione si caratterizza per l’alta mobilità delle sue grandi aree urbane; nelle maggiori città italiane il 59,4% degli spostamenti è effettuato con l’automobile, contro il 38% di Madrid o il 40% di Londra[5]. La giornata Agile ha permesso di evitare in un solo giorno circa 150mila km di percorrenza ottenendo così un risparmio nel consumo di carburante pari a circa 13mila litri.

Sul piano individuale, il risparmio di ore per gli spostamenti nel tragitto casa-lavoro si traduce spesso in un incremento del tempo dedicato alla famiglia, alla casa, alle proprie attività personali di relazione. Si tratta di un aspetto che, ancor più che al dato quantitativo[6], rimanda al ruolo della dimensione qualitativa nella vita quotidiana, come d’altronde ben illustrato anche dalle conclusioni della Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi[7].

Osservare il benessere e il progresso sociale, secondo una visione che si è ormai consolidata, significa uscire dalla tradizionale lettura contabile della performance economica per andare verso l’osservazione di un modello complesso e complementare per la presenza di più fattori. Tra questi ve ne sono diversi che appartengono alla dimensione della relazione sociale, che è data dall’insieme delle capacità e possibilità dei singoli di scegliere liberamente i modi e i tempi della partecipazione attiva anche alla vita comunitaria.

Il tema della socialità è centrale nelle politiche centrate sulle “smart communities” ; il legame esistente tra gli aspetti sociali e l’assetto urbanistico delle città, impone che la sperimentazione di nuovi modelli di mobilità o di organizzazione del lavoro, debba essere accompagnata da una riflessione sulla riqualificazione delle periferie o più in generale da una idea per una città del futuro[8].

Non meno interessante il punto di vista delle aziende secondo le quali l’introduzione di nuove forme di organizzazione del lavoro determina diversi benefici che vanno ben oltre, anche in questo caso, del mero dato numerico legato al risparmio dei costi. Molte infatti dichiarano di osservare una maggiore motivazione dei propri dipendenti, un migliore equilibrio tra lavoro e vita familiare, la riduzione del tasso di assenteismo, l’incremento delle prestazioni e della produttività dei singoli[9]. Per realizzare reali vantaggi comuni, va promossa una cultura aziendale realmente coordinata e collaborativa, che sappia uscire da una logica di controllo diretto per una visione di delega e di lavoro per obiettivi. Nel concetto di smart working convergono molteplici visioni attinenti le sfere personale, aziendale, istituzionale e collettiva: l’approccio “smart” consiste nel tenere in considerazione e valorizzare in un sistema organico le complesse interconnessioni attraverso le quali queste visioni si esplicano all’interno comunità.

Lo smart working può essere, quindi, inteso come uno strumento di politica partecipata attraverso cui sviluppare la capacità di intervenire in modo consapevole, sfruttando le potenzialità delle tecnologie della comunicazione per “connettere” gli interessi concorrenti in un quadro complessivo di mutuo scambio e di mutuo apprendimento.

Un problema culturale

La reale forza propulsiva per operare un cambiamento organizzativo è soprattutto nella volontà di operare un salto culturale. Questo è evidente soprattutto nella Pubblica Amministrazione italiana, in genere impreparata ad accogliere quei processi di innovazione in cui gli investimenti in ICT generano valore solo se affiancati da azioni complementari sull’organizzazione, sulla formazione, sulla revisione dei processi e sul management.

La giornata del Lavoro Agile testimonia come, quando si tratta di modificare modelli di comportamento obsoleti, il successo va ricercato nel buon avvio di un processo dimostrativo e non nel conseguimento di risultati specifici che arrivano quando le dimensioni del processo hanno raggiunto la “massa critica”.

La fase critica è l’avvio del cambiamento di una organizzazione, quando si inizia a porre in discussione quelle regole, ipostaticamente accettate, che danno forma alla resistenza al cambiamento delle abitudini.

Poco importa se il progresso sociale e tecnologico ha svuotato di significato molte delle regole organizzative del lavoro, esse continuano a costituire il metro di giudizio del funzionamento delle organizzazioni, specie quelle pubbliche che, per garantirne il rispetto, mantengono i propri sistemi organizzativi vincolati all’esecuzione di processi formali, invece di attrezzarli per perseguire obiettivi e risultati. Di qui le artificiose costruzioni e la stolida burocrazia che si ripercuotono negativamente sullo sviluppo e sulle relazioni sociali ed economiche delle città.

Lo smart working, ideale visione di un lavoro liberato da vincoli fisici e temporali, rappresenta una opportunità di trasformazione e di evoluzione per le organizzazioni e per il benessere delle città. Le amministrazioni cittadine possono svolgere un ruolo importante nell’indirizzare e sostenere questi processi avviando piattaforme di collaborazione per la pianificazione di interventi di ampio respiro che diffondano e diano spessore alle azioni dimostrative, indirizzandole ad un progetto di sviluppo e di organizzazione della città.

 

*ENEA – UC Studi e Strategie



[1] Vedi ad esempio: R. Karasek e T. Theorell “Autonomia e Salute sul lavoro”.
[2] “Smart Working: ripensare il lavoro liberare energia, 2012”.
[3] Possibilità di lavorare in luoghi diversi dal consueto luogo di lavoro. Il 90% circa dei partecipanti ha lavorato da casa, secondo un modello più vicino all’attuale telelavoro che allo smart working.
[4] I soggetti aderenti all’iniziativa: ABI, AIDP, Anci Lombardia, Assolombarda, CGIL Milano, CISL Milano Metropoli, UIL Milano e Lombardia, SDA Bocconi School of Management, Unione Confcommercio Milano Lodi Monza e Brianza, Valore D.
[5] Studio Aci, Fondazione Caracciolo, 2013.
[6] Nel caso di Milano l’indagine ha evidenziato un risparmio medio giornaliero di quasi due ore ciascuno.
[7] La misurazione delle performance economiche e del progresso sociale, Rapporto della Commissione Sarkozy sulla misura della performance dell’economia e del progresso sociale, 2009.
[8] “Un’altra idea guida nel mio progetto con i giovani architetti è quella di portare in periferia un mix di funzioni. La città giusta è quella in cui si dorme, si lavora, si studia, ci si diverte, si fa la spesa. Se si devono costruire nuovi ospedali, meglio farli in periferia, e così per le sale da concerto, i teatri, i musei o le università. Andiamo a fecondare con funzioni catalizzanti questo grande deserto affettivo.” Renzo Piano, Il rammendo delle periferie. Il Sole24ore del 26/1/2014.
[9] Cfr nota 2 e ricerca “Telelavoro, tra cultura e tecnologia”, realizzata dal gruppo di lavoro Unindustria, il Gruppo di lavoro Innovazione e Tecnologie del Sindacato Romano Dirigenti Aziende Industriali e il Dipartimento di Ingegneria Elettronica dell’Università di Roma Tor Vergata, 2011.

 

 

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