Smart Working nella PA: cosa emerge dalla Ricerca 2021 dell’Osservatorio del Politecnico di Milano

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Al termine della pandemia si prevede che lo smart working rimarrà o sarà introdotto nel 62% delle PA e coinvolgerà 680mila lavoratori pubblici. Circa una pubblica amministrazione su quattro manifesta però molta incertezza sul futuro di questo modello organizzativo nel post-emergenza. Crescono nel frattempo i modelli di lavoro ibrido

4 Novembre 2021

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Michela Stentella

Direttrice testata www.forumpa.it

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Mentre prosegue il dibattito sulla fine dello smart working emergenziale nella PA (è di oggi la notizia della mozione unitaria di maggioranza approvata alla Camera che recepisce da un lato tutte le condizionalità per lo smart working fissate nel decreto del Ministro Brunetta sul ritorno in presenza, dall’altro la piena autonomia organizzativa attribuita alle singole amministrazioni, che definiranno nei Piao – Piani integrati di attività e organizzazione le modalità operative per il lavoro agile), l’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano ha presentato ieri l’edizione 2021 della sua ricerca annuale.

La Ricerca fa il punto sullo smart working in Italia, nel settore privato e in quello pubblico, e offre spunti e previsioni su quanto potrebbe accadere nei prossimi mesi. La principale evidenza, in questo senso, è che lo smart working non finirà: l’intenzione è di mantenerlo nell’89% delle grandi aziende e nel 62% delle pubbliche amministrazioni. Ma lato PA c’è al momento molta incertezza su cosa si potrà effettivamente fare nel post emergenza.

Ecco i punti chiave che emergono dalla ricerca relativamente al settore pubblico.

Diminuiscono i “lavoratori agili” nel 2021. A marzo 2021, a un anno dal primo lockdown, l’Osservatorio stima che siano stati 5,37 milioni gli smart worker italiani, di cui 1,44 milioni nella PA. Nel secondo trimestre il numero ha iniziato progressivamente a diminuire fino a 4,71 milioni, con il calo più consistente proprio nel settore pubblico (1,08 milioni). A settembre il numero complessivo degli smart worker si è attestato a 4,07 milioni, di cui 860mila nella PA, con una media di 3,6 giorni a settimana.

La pandemia come “occasione” per introdurre lo smart working. Progetti di smart working strutturati o informali sono presenti nel 67% delle PA (contro il 23% pre-Covid). Fra le PA che hanno definito o stanno definendo un progetto di smart working, l’85% afferma che il progetto non era presente prima dell’emergenza e che è stata la pandemia l’occasione per introdurlo.

L’impatto sulle prestazioni. Sia le grandi imprese che le PA evidenziano un deciso miglioramento di efficacia ed efficienza (migliorata per il 30% delle PA, contro il 16% che dichiarano un peggioramento). L’aspetto ritenuto più negativo è quello della comunicazione tra colleghi, peggiorata per il 48% delle PA, mentre solo un 16% dichiara un miglioramento.

Le prospettive. Al termine della pandemia si prevede che lo smart working rimarrà o sarà introdotto nel 62% delle PA e coinvolgerà 680mila lavoratori. Nella PA c’è però molta incertezza sul futuro: un quarto non sa se lo smart working potrà restare o iniziare nel post-Covid. Crescono intanto i modelli di lavoro ibridi, alla ricerca di un miglior equilibrio fra lavoro in sede e a distanza: nelle PA sarà possibile lavorare a distanza mediamente per due giorni a settimana.

“La pandemia ha accelerato notevolmente l’evoluzione dei modelli di lavoro verso forme di organizzazione più flessibili e intelligenti nella PA – sottolinea Alessandra Gangai, Direttrice del Tavolo di Lavoro Smart Working nella PA – Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano -. Se nel 2019 lo Smart Working era presente solo nel 23% degli enti pubblici, oggi ne dichiara la presenza il 67%. Il 25% delle pubbliche amministrazioni ha inoltre avviato interventi di modifica degli spazi dell’organizzazione per adattarli al nuovo modo di lavorare. I benefici evidenziati dall’introduzione del lavoro da remoto sono notevoli: l’82% delle PA ha registrato un netto miglioramento della conciliazione fra vita privata e lavorativa delle persone. A questo, si aggiunge un significativo miglioramento dell’inclusività (31%), dell’efficienza (27%) e dell’efficacia (30%) nello svolgimento del lavoro, e anche dell’engagement delle proprie persone (23%)”.

“Oggi, però, circa 1 PA su 4 non sa quale sarà il futuro di questo modello organizzativo al termine dell’emergenza e preoccupa l’intenzione di tornare prevalentemente al lavoro in presenza; un arretramento che si scontra con le aspettative dei lavoratori e gli obiettivi di digitalizzazione, sostenibilità e inclusività del nostro Paese – conclude Gangai -. Ora è necessario costruire il futuro del lavoro sul vero Smart Working, che non è una misura emergenziale, ma uno strumento di modernizzazione che spinge a un ripensamento di processi e sistemi manageriali all’insegna della flessibilità e della meritocrazia, proponendo ai lavoratori una maggiore autonomia e responsabilizzazione sui risultati”.

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