Smart working nella PA: tra attese, dichiarazioni ed esperienze, uno sguardo al dibattito in corso

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Lo smart working è tutti i giorni sulle pagine dei principali quotidiani nazionali e in rete il dibattito è molto acceso. Si attendono gli sviluppi di quanto prospettato dal Ministro Renato Brunetta, che parlando del ritorno in presenza per i lavoratori pubblici ha annunciato che lo smart working non sarà abolito, ma sarà riservato a una quota massima del 15 per cento dei dipendenti. Verranno introdotte regole precise nei rinnovi contrattuali che il Governo tramite l’ARAN sta negoziando con i sindacati. Il timore diffuso è che si perda parte dell’esperienza acquisita durante l’emergenza. Ma diverse amministrazioni stanno andando avanti nei percorsi avviati

8 Settembre 2021

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Michela Stentella

Direttrice testata www.forumpa.it

Photo by Giu Vicente on Unsplash - https://unsplash.com/photos/c7Ev87qEkRc

Nel luglio scorso, appena chiuso il nostro FORUM PA 2021, avevamo pubblicato un articolo per fare il punto su quanto emerso dai confronti sul tema smart working nelle giornate di evento. Era parsa evidente soprattutto una necessità: superare l’interpretazione confusa e semplificata (ancorché comprensibile e necessaria) affermatasi nel periodo emergenziale, per recuperare i principi alla base del vero smart working. Nell’ultimo anno e mezzo, infatti, abbiamo messo questa etichetta su quelle che, in molti casi, sono state forme più o meno avanzate di “remote working” adottate per necessità, in tempi brevissimi e senza preparazione.

Smart working: la PA a un bivio

Fare smart working – come abbiamo ricordato in tante occasioni, anche parlando con esperti del tema e raccogliendo le esperienze delle amministrazioni che per prime (e in tempi non sospetti) avevano avviato importanti sperimentazioni (qui tutte le interviste del percorso #RestartItalia con tante testimonianze in tal senso) – non significa “lavorare da casa” né semplicemente conciliare esigenze di vita e di lavoro, ma affermare un nuovo modello organizzativo, basato sui principi di flessibilità (nel tempo e nello spazio), autonomia, responsabilizzazione, raggiungimento di obiettivi e risultati. In questo senso (e solo così) lo smart working diventa un importante strumento e fattore abilitante per l’innovazione e la modernizzazione della PA, che lo ricordiamo è indicata come premessa indispensabile per l’attuazione del PNRR. Dalla riflessione di quei giorni di luglio emergeva quindi l’immagine di una PA ad un bivio, la stessa immagine che appare quanto mai attuale in questo momento in cui il dibattito sullo smart working è caldissimo.

La posizione del Ministro Renato Brunetta: smart working al 15 per cento e regole contrattuali

Partiamo dalle dichiarazioni del Ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, che ha annunciato la volontà di ristabilire la “presenza in ufficio” come modalità “ordinaria” di svolgimento della prestazione lavorativa. In particolare, il 5 settembre scorso il Ministro, a margine del forum The European House-Ambrosetti, ha annunciato che lo smart working nella PA non sarà abolito, ma che dopo il ritorno in presenza sarà riservato a una quota massima del 15 per cento di dipendenti. Sarà per questo emanato un Decreto della Presidenza del consiglio, mentre un altro passo necessario è l’estensione dell’obbligo di green pass a tutti i lavoratori pubblici per l’ingresso negli uffici. Il Ministro Brunetta ha legato l’obiettivo di “riportare in ufficio” la stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici anche al rilancio dell’economia, all’aumento dei consumi e alla crescita del PIL.

Oggi poi nel corso di un question time alla Camera il Ministro Brunetta ha dichiarato: “Lo smart working, che è stata la risposta emergenziale al lockdown per i dipendenti pubblici, può essere pensato come modello per il futuro? Bisogna fare attenzione, perché questa modalità, costruita dall’oggi al domani spostando l’organizzazione del lavoro pubblico dalla presenza al remoto, a casa, è senza contratto, senza obiettivi, senza tecnologia. Non è smart working, è lavoro a domicilio”. Serve quindi una piattaforma tecnologica adeguata e servono regole contrattuali, che riguardano per esempio le fasce orarie e il diritto alla disconnessione, la produttività e la misurazione dei risultati, la strumentazione e le indennità. Queste regole, ha detto il Ministro, ci saranno entro due mesi e verranno inserite nei rinnovi contrattuali che il Governo tramite l’ARAN (l’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) sta negoziando con i sindacati.

A questo proposito e intervenendo nel dibattito, Antonio Naddeo Presidente ARAN e coordinatore della Commissione tecnica dell’Osservatorio nazionale del lavoro agile, istituita presso la Presidenza del Consiglio, ha sottolineato: “Sono assolutamente d’accordo sull’utilizzo dello smart working nella PA come modalità di lavoro innovativa con benefici anche sulla produttività. Chiedo però: quello fatto fino ad ora è smart working, lavoro agile oppure home working (lavoro da casa)? Quello di cui si decantano risultati positivi in termini di produttività è stato lavoro agile? Ci sono voluti interventi normativi per derogare alla disciplina vigente sul lavoro agile. Non ci sono regole contrattuali sulla regolazione del rapporto di lavoro, tanto è che ogni amministrazione ha applicato regole e istituti economici diversi (pagamento o meno dei buoni pasto, lavoro straordinario …). Non ci sono piattaforme tecnologiche certificate. Nessuna amministrazione ha adattato la sua organizzazione (costruita sulla presenza in servizio) all’utilizzo del lavoro agile. I dirigenti possono certificare l’esercizio della prestazione effettuata con l’home working? Queste solo alcune delle cose che dimostrano che non si può continuare tranquillamente poggiandosi su queste basi, ma occorre programmare per i prossimi anni l’utilizzo di questa modalità di lavoro con tutto ciò che serve. Legge, contratto, investimenti tecnologici, formazione e ruolo dei dirigenti”.

Il dibattito in corso

Smart working, non solo lavoro a distanza

Torniamo quindi alla nostra riflessione iniziale e al dibattito in corso: il tema della “presenza in ufficio” è solo un aspetto della questione, certamente importante – anche perché impatta su tutta una serie di fattori legati alla sostenibilità ambientale, alla vivibilità soprattutto nelle grandi città, al rilancio di alcuni territori come evidenzia il movimento South working – ma ovviamente non esaustivo. Anzi, rischia di tenere alta l’attenzione esclusivamente sull’aspetto “fisico” del luogo di lavoro, dimenticando che il fulcro del ragionamento dovrebbe essere il cambiamento organizzativo in ottica di miglioramento dei servizi, produttività ed efficienza. Tutti aspetti che, sembra banale dirlo, nell’era della digitalizzazione non dipendono direttamente dalla presenza, ma da elementi più strutturali: una connessione efficiente per tutti, piattaforme in grado di abilitare un nuovo modo di lavorare, mentalità e competenze (digitali e trasversali), capacità manageriali, capacità di misurare performance, obiettivi e risultati, capacità di analisi e programmazione (elemento centrale del POLA, il Piano Organizzativo del Lavoro Agile, che migra ora verso il PIAO, il Piano integrato di attività e organizzazione che come si legge nel Decreto Reclutamento, accorperà, tra gli altri, i piani della performance, del lavoro agile, della parità di genere, dell’anticorruzione).

Da un lato, quindi, lo smart working spinge (lo ha già fatto in questi mesi) la trasformazione digitale, mettendo in evidenza le carenze e spingendo a cercare soluzioni, dall’altro per essere realizzato necessita di ridisegnare radicalmente i processi interni…una volta fatto questo, si potrebbe paradossalmente fare smart working anche stando in ufficio, perché è il modello di lavoro che cambia non il luogo dove viene svolto. Tanto più che, anche nel mondo privato, si sta andando verso forme di lavoro “ibrido”, con giornate in presenza (in postazioni condivise) alternate a giornate di lavoro da remoto, a seconda delle esigenze produttive.

Lavoro ibrido: una prospettiva aperta per pubblico e privato

Importanti realtà hanno già intrapreso questa strada. Citiamo Bankitalia che ad agosto ha firmato l’intesa con i sindacati: a partire da gennaio entrerà a regime un modello standard flessibile, utilizzabile in gran parte delle strutture, che prevede uno zainetto di 100-120 giornate all’anno da remoto utilizzabili, anche consecutivamente, fino a 10-12 giorni al mese, e un modello più contenuto, ma sempre flessibile, di 50 giornate all’anno per le attività che si svolgono in modo più efficiente in presenza. E Generali che a fine luglio ha siglato l’accordo con le sigle sindacali sul progetto “Next Normal” che regolamenterà l’istituto dello smart working dopo la fine del periodo emergenziale: da due a quattro giorni in remoto a settimana legati alle mansioni, con la possibilità di andare oltre per alcune categorie come i neo genitori; una pianificazione delle giornate su piattaforma informatica ad hoc con possibilità di lavorare da casa, spazi di coworking o altri luoghi che consentano il rispetto delle regole di sicurezza e di protezione dei dati; contributi forfettari per le spese; limite alle 18 per le riunioni in videocall, con pausa obbligatoria di 10 minuti tra un meeting e l’altro, per citare alcune misure.

Lo smart working come opportunità, a partire dall’analisi di processi e servizi

Per tornare alla PA, è proprio sui modelli organizzativi che si è soffermata la FLP – Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni Pubbliche, che ha preso una posizione netta rispetto alle dichiarazioni del Ministro Brunetta, evidenziando il rischio di “innescare un ritorno al passato, ripristinando modelli organizzativi burocratici e ipergerarchici che allontanerebbero sempre più la PA dal Paese, mortificando le tante professionalità presenti e i processi innovativi innescati in questi mesi”. Il Segretario generale, Marco Carlomagno, ha sottolineato: “Il lavoro agile è una straordinaria opportunità e in questi mesi si è dimostrato indispensabile non solo per prevenire il contagio, ma soprattutto per modernizzare le nostre Amministrazioni, il loro modo di lavorare e di rapportarsi con i cittadini, rendendo più semplici, accessibili e fruibili i servizi resi alla collettività”.

Certamente le criticità non sono mancate, ma per molti è stata anche una grande occasione per una presa di coscienza del proprio ruolo. Lo hanno ricordato Mariano Corso, Responsabile Scientifico, Osservatorio Smart Working Politecnico di Milano, e Marco Bentivogli, ex segretario della Fim Cisl, oggi coordinatore dell’associazione Base Italia, in un commento “sofferto” (come lo ha definito lo stesso Corso) uscito nei giorni scorsi su la Repubblica. Gli autori sottolineano come alcune amministrazioni usino già da anni lo smart working come leva di modernizzazione e come il lavoro a distanza (esteso durante la pandemia a circa metà dei lavoratori pubblici) abbia consentito di evitare la paralisi dei servizi pubblici. Un’esperienza preziosa che non va persa, anche se bisogna certamente uscire dalla logica dell’emergenza. Come? Partendo da un’analisi approfondita delle prestazioni rese dai diversi enti che identifichi cosa ha funzionato e cosa no, quali servizi pubblici hanno visto un peggioramento e quali un miglioramento per produttività e qualità per il cittadino, quali hanno richiesto interventi tecnologici, formativi e di ridisegno di processi e servizi. Capire quindi dove è opportuno prevedere un ritorno al lavoro in presenza e dove consolidare i risultati raggiunti. Insomma, investire sui fattori abilitanti che hanno innovato e generato performance e governare le criticità, intervenire laddove il lavoro agile non ha funzionato e capire il perché, prevedendo poi di conseguenza investimenti mirati in digitale e formazione.

Le esperienze di PA e territori: un valore da non perdere

Intanto alcune amministrazioni provano a fare un bilancio della propria esperienza durante la pandemia, altre vanno avanti con l’impostazione tracciata nel POLA (in attesa del nuovo Piano integrato di attività e organizzazione).

L’esempio di INPS: lavoro ibrido e produttività

Una grande amministrazione come INPS, per fare un esempio, prevede il lavoro agile due giorni a settimana, lasciando ai dirigenti la facoltà di aumentare questo limite e il 5 settembre scorso il Presidente Pasquale Tridico, partecipando al 42esimo Premio Ischia Internazionale di Giornalismo ha detto: “Se la pubblica amministrazione è capace di controllare le performances dei dipendenti, lo smart working può entrare anche negli enti pubblici. La pandemia ha offerto questa opportunità: certamente bisogna controllare, ma già da tempo in Inps accade che si lavori per obiettivi, e si valorizzino le prestazioni dei dipendenti. Se c’è sicurezza per lo Stato, lo smart working è possibile”. Inoltre, ha aggiunto “con lo smart working è possibile un aumento di produttività sia nel pubblico che nel privato. È un’opportunità evolutiva del mondo del lavoro. In Inps nel 2020 c’è stato un aumento del 13% della produttività dell’Istituto”. Ora una grande occasione arriva dal PNRR che “offre innovazione, ma anche la possibilità di assumere e cambiare il modo in cui anche nel settore pubblico eravamo abituati a lavorare”.

L’esempio della Provincia Autonoma di Trento: il “Distretto Trentino intelligente”

Per chiudere, una novità che arriva dalla Provincia Autonoma di Trento, che da anni è un esempio virtuoso di sperimentazione dello smart working: la Giunta provinciale ha appena approvato il “Piano strategico per la promozione del lavoro agile nella provincia di Trento – progetto Dal lavoro agile al distretto Trentino intelligente”, che punta, in attuazione degli indirizzi approvati nel dicembre 2020, a dare una prospettiva di medio lungo periodo per la nuova normalità post pandemia proponendo sia alle organizzazioni pubbliche che a quelle private proposte per lo sviluppo del lavoro agile come possibile fattore di innovazione organizzativa ma anche socio-economico territoriale. Il Piano individua un obiettivo tendenziale per il quale su 240.000 occupati in Trentino, tra privato e pubblico, i profili professionali potenzialmente interessati alle varie forme di lavoro agile possano comprendere circa 120.000 lavoratori e che, di questi, nei prossimi anni, possano essere “lavoratori agili” da 42.000 a 70.000 lavoratori. Attraverso l’incentivazione mirata e modulare del lavoro agile, nascerà quindi il “Distretto Trentino intelligente”, inteso come territorio maggiormente sostenibile, connesso, vivibile, inclusivo e competitivo. Il Piano, come ha sottolineato sul suo profilo LinkedIn Luca Comper, Dirigente Generale Unità di missione strategica Affari generali della Presidenza, Segreteria della Giunta e Trasparenza, “ha avuto nella sua costruzione e vuole avere nella sua implementazione un approccio sistemico, partecipato, esperienziale e trasversale tra settore pubblico e privato”. Tra i soggetti che hanno contribuito, le associazioni di categoria del Trentino, le Pubbliche amministrazioni del territorio, le organizzazioni sindacali, Trentino School of Management, Ocse sede di Trento, Dipartimento di Economia e Management dell’Università degli Studi di Trento. L’obiettivo del Piano è interpretare lo smart working non solo come occasione di trasformazione digitale e organizzativa, ma anche come spinta per rendere il territorio maggiormente sostenibile e in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030, e le organizzazioni come protagoniste dell’innovazione economico sociale.

Conclusioni

Insomma, se alziamo lo sguardo e ampliamo la visione sono davvero tanti gli aspetti che impattano nel dibattito sullo smart working, E, ancora una volta, molti stimoli e risposte possono arrivare proprio dai territori e dalle amministrazioni che su questo stanno lavorando in prima persona: quelle che erano già preparate e hanno quindi reagito in maniera più strutturata ed efficace e quelle che si sono trovate dall’oggi al domani buttate in mare senza salvagente, hanno dovuto in qualche modo ingegnarsi per trovare una risposta e ora chiedono di essere ascoltate.

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