EDITORIALE
Spid: che cosa manca per garantirne il successo
Come emerge dai tanti contributi del nostro speciale dedicato al Sistema Pubblico di Identità Digitale, sono ancora tanti i tasselli che dovranno andare a posto per assicurare un successo a questo progetto. Spid è una infrastruttura fondamentale per diffondere il digitale tra cittadini e imprese, ma è anche un “mai tentato prima” in Italia e dai caratteri rivoluzionari
11 Marzo 2016
Nello Iacono e Alessandro Longo
E’ partito il 15 marzo Spid e chissà dove arriverà. Diventerà davvero quel mazzo di chiavi unico- per tutti i servizi- che attendevamo da anni?
Chissà. A un’analisi, come quella che risulta dai tanti contributi del nostro speciale dedicato al Sistema Pubblico di Identità Digitale (Spid), sono ancora tanti infatti i tasselli che dovranno andare a posto, per assicurare un successo a questo progetto. Successo per cui tutti coloro che tengono all’innovazione dell’Italia dovrebbero fare il tifo, beninteso. Spid è una infrastruttura fondamentale per diffondere il digitale tra cittadini e imprese. Ma è anche un “mai tentato prima”, in Italia, e dai caratteri rivoluzionari. E’ tale, per prima cosa, per come è stato concepito- con un ruolo forte dei soggetti privati, che si spera abbattano le barriere dove finora analoghi progetti pubblici sono naufragati. Rivoluzionario anche per le ambizioni di fondo- disseminarsi tra enti pubblici e soggetti privati diversissimi tra loro, conducendoli sulla via- finora fallita- della digitalizzazione di massa.
Non bisogna essere pessimisti per partito preso. Ma è anche nostro compito conservare il pensiero critico nell’osservare l’avventura, preziosa e necessaria, dello Spid. Parte adesso, sì. Ma è come un treno di altri tempi. Sappiamo che è partito, adesso ancora soltanto con i servizi di Inps e della Toscana, non sappiamo quando (e dove) arriverà, se riuscirà davvero- entro febbraio 2018- a conquistare tutti gli italiani e a imporsi su tutti le pubbliche amministrazioni. Più una certa quota di servizi privati che è bene adottino il sistema, per darne un senso e una sostenibilità economica.
> Questo articolo fa parte del dossier “Speciale Cantieri, i protagonisti raccontano Spid: cosa è ora, come sarà”
Già l’essere arrivati all’avvio del 15 marzo, con solo pochi mesi di ritardo rispetto al piano iniziale, è comunque da considerare positivamente. Teniamo conto anche del tempo abbastanza breve che ha portato Spid dall’ideazione alla messa in campo, oltre alle poche risorse di cui dispone ancor oggi l’Agenzia per l’Italia Digitale (Agid).
Positivo è anche l’inquadramento di Spid come tassello fondamentale di un disegno più ampio, che ha ormai l’etichetta di “Italia Login” e che definisce lo scenario in cui “la PA va dal cittadino”, e cioè la disponibilità dei servizi digitali pubblici nella casa digitale di ciascun cittadino.
Positiva è anche la convinzione, condivisa prima di tutto da Agid e dagli attori principali istituzionali, che Spid non abiliti soltanto lo sviluppo e la fruibilità dei servizi digitali pubblici, ma che sia una grande opportunità prima di tutto per il mercato, e per i servizi dei privati che grazie a Spid possono avere una spinta di diffusione notevole.
Se però valutiamo la presenza delle condizioni per la fase successiva di “execution”, che adesso si apre, risulta evidente che con urgenza debbano essere prese decisioni e messe in atto azioni in più ambiti. Bisogna ristrutturare e riconfigurare il programma per come oggi lo vediamo definito.
E questa necessità è esplicitata da un’affermazione condivisa in maniera unanime anche dal tavolo di lavoro, riservato ad esperti e direttori IT delle Amministrazioni pubbliche che FPA, Poste Italiane (uno dei primi Identity Provider italiani) e INAIL hanno organizzano lo scorso 10 marzo al fine di analizzare come SPID sia stato recepito dalle Amministrazioni, a seguito dell’emanazione dei regolamenti attuativi emanati dall’Agid e a seguito delle prime sperimentazioni.
Spid è un programma di carattere primariamente organizzativo e non tecnologico, ha a che fare con la trasformazione digitale delle PA, e non con il semplice cambiamento del sistema di autenticazione ai servizi digitali. Ma perché quindi possa svilupparsi come tale, è un programma da riconfigurare nell’ambito che gli è proprio, in termini di governance, di regole, di attori coinvolti. Vediamo come, partendo dai principali problemi che sono sempre più evidenti (e non più eludibili).
Regole e norme per costo e portabilità dell’identità digitale
Poiché il cittadino deve essere “convinto” ad acquisire le credenziali Spid, in qualche modo facendo sì che si inneschi anche una sorta di “pressione dal basso” verso l’allineamento dei servizi pubblici e privati su Spid, è importante rimuovere gli ostacoli principali che alimentano diffidenza. Soprattutto in una popolazione che per un terzo non ha mai navigato su Internet.
Alcune delle regole che praticamente tutti gli italiani hanno imparato, come utenti di cellulari, è che i costi devono essere trasparenti anche in prospettiva e che cambiare operatore è sempre possibile e non costa nulla. Spid, invece, è dichiaratamente gratuito solo per i primi due anni e la portabilità, assicurata per legge, sarà quasi sicuramente a pagamento. Ma, anche questo, non è certo. Sembra invece certo che il sistema di terzo livello (quello che garantisce massima sicurezza anche con l’uso di smart card) e ancora non certificato, sarà a pagamento.
Tra l’altro, questo degli Identity Provider è un mercato oggi con bassa concorrenza e pochi operatori, anche a causa della soglia elevata di capitale sociale (10 milioni di euro) che, riproposta nel nuovo Cad oggi in discussione, sbarra l’accesso alla gran parte delle imprese italiane. Il dubbio che, alla fine, tutto avrà un costo (e non si sa quale) è più che lecito.
Se si pensa che sia necessario creare un contesto di “fiducia” per il cittadino, non ci siamo .
Come si fa a scegliere un operatore senza aver chiare le differenze di costo appena tra due anni e quali saranno i costi (e altre eventuali difficoltà, come la possibile ri-autenticazione) per cambiare? E poi, se le credenziali Spid diventano necessarie per l’accesso ai servizi digitali pubblici, è giustificabile verso il cittadino che non siano gratuite?
Queste incertezze, che possono minare la fiducia del cittadino, non sono un caso. Non sono una disattenzione degli Identity Provider. Sono invece un “peccato originale” del modo in cui è stato concepito Spid: senza costi per lo Stato e sulle spalle dei privati. Scelta che, oltre a consentire un risparmio per le casse pubbliche, è motivata da una idea di fondo (che ritroveremo anche in altri progetti dell’Agenda digitale): usare i privati come grimaldello per cambiare le cose, laddove il pubblico finora è apparso ingessato sul cammino della trasformazione digitale. Il rovescio della medaglia è appunto il salto del buio, non solo perché è cosa mai tentata prima ma anche perché i privati vorranno un ritorno economico del sistema e ancora non sanno come riuscirci. Appare evidente a tutti che se tra due anni chiederanno il conto ai cittadini, in tanti si toglieranno Spid e il progetto fallirà.
Disponibilità dei servizi
Un altro fattore chiave per il successo dell’iniziativa Spid è che siano disponibili i principali servizi digitali pubblici.
Si parte con 300 servizi disponibili, e le amministrazioni via via aderenti incrementeranno il numero dei servizi. Ma non tutte le amministrazioni sono pronte. Alcune sono in cammino e prima dell’estate renderanno disponibili i servizi con Spid, ma molte (gran parte dei comuni medio-piccoli e piccoli, la maggioranza dei comuni) sono ancora ai blocchi di partenza.
Come affermato ad esempio dal coordinatore Anci per l’Agenda Digitale Alessandro Delli Noci, forse non sono più di 200 i comuni oggi in grado di percorrere la strada della riconfigurazione dei servizi in ottica Spid. Il percorso, per gli altri, è tutto da costruire, in termini di competenze digitali oggi mancanti e di organizzazione (ad esempio associando tra loro i comuni). E in assenza di una visione digitale, il rischio che si facciano condurre dai vendor di tecnologie è altissimo.
Forse il piano triennale IT di Agid conterrà anche delle linee di accompagnamento per la trasformazione digitale delle PA, forse il nuovo impulso dato da Anci e dalla nuova organizzazione delle Regioni porterà a definire la visione, la roadmap e gli strumenti e le azioni di accompagnamento. Ma ancora non ci sono. E se ne avverte la mancanza.
In più, poiché uno dei principali benefici che si possono “toccare” (e quindi tra le maggiori leve per la richiesta delle credenziali Spid) è quello del “pin unico” (come presentato all’opinione pubblica dal governo ), finché rimane la necessità di gestire più credenziali (anche per servizi diversi erogati dallo stesso ente), ecco che il beneficio non appare visibile e concreto.
L’utilità appare limitata e se, come sembra, chi ha già percorso la lunga procedura di acquisizione delle credenziali presso alcuni enti (Agenzia Entrate, Inps) sarà costretto a ripercorrerla, il contesto non sembra favorevole per la corsa dei cittadini alle credenziali Spid. Se non obbligati a farlo, e malvolentieri.
Fruibilità dei servizi
L’Italia è uno dei Paesi europei con più basso tasso di utilizzo dei servizi digitali anche tra gli utenti di Internet e in termini di utilizzo di servizi di e-government che richiedono la compilazione di moduli siamo al 17,9% (contro una media europea del 32,1%). Questo dato non ha a che fare con il numero di servizi disponibili (qui l’Italia è in linea), ma con la loro fruibilità.
Lo sforzo fatto con la definizione delle linee guida per il design va certamente in questa direzione, ma il design non basta . Bisogna pensare ad una ristrutturazione radicale della logica dei servizi attuali, partendo dalle esigenze e dalla logica di utilizzo degli utenti. Dal “perché” e dal “cosa”, e da qui derivarne le scelte tecniche.
Come sottolineato dal direttore IT di Inps Blandamura, i 18 milioni di pin distribuiti da Inps non hanno eliminato le code, perché i servizi non sono stati realizzati “pensando digitale”. E la digitalizzazione dell’esistente è la negazione assoluta della trasformazione digitale, oltre che un incentivo forte allo sviluppo dell’intermediazione (oggi prevalente, ad esempio, sui servizi Inps).
La semplice (per quanto impegnativa tecnicamente) migrazione dei vecchi servizi alla nuova piattaforma, non risolve il problema della fruibilità. Anche con Spid e con un nuovo design, le difficoltà di comprensione e di reperimento delle informazioni rimarranno, per i cittadini e le imprese, intatti.
Le parole chiave sono qui riorganizzazione dei processi, sviluppo delle competenze dei dipendenti, dei manager e dei fornitori. Cruciali per “vendere” il vantaggio del digitale. Ma non si vedono ancora strategie e azioni organiche su questo fronte a livello nazionale. Alcune amministrazioni lo stanno facendo, le Regioni stanno avviando l’iniziativa dei centri di competenza per agevolare il cammino. Peccato che stiamo parlando, in termini di project management, di un “cammino critico”, che determina il successo e i tempi dell’intero programma.
Una strategia e una roadmap per la trasformazione digitale
Per proporre una prima sintesi delle considerazioni fin qui esposte, è chiaro che l’attuale caratterizzazione tecnologica di Spid è il principale ostacolo da superare, da più punti di vista, del linguaggio e dalla comprensione nei confronti di una popolazione in gran parte “analfabeta digitale” e intermediata, nonostante abbia in tasca dispositivi tecnologicamente avanzati, ma anche dell’organicità di approccio verso tutti gli ambiti del modello strategico Agid.
E per la nuova fase di Spid, bisogna da subito avviare quanto meno:
- un tavolo multistakeholder (richiesto già oggi dai diversi attori privati e pubblici, ma allargato anche ai cittadini) che consenta di affrontare i punti più critici e monitorarne l’evoluzione;
- un piano triennale delle competenze digitali, un’iniziativa strategica per lo sviluppo delle competenze digitali (delle PA, dei cittadini, delle imprese) che utilizzi al meglio le tante risorse dei fondi europei, e che nel quadro della Coalizione per le competenze digitali consenta di costruire un percorso misurabile;
- una roadmap, una guida per accompagnare le amministrazioni verso la trasformazione digitale (in termini anche di strumenti), che non può che coinvolgere attori esterni alle direzioni IT.
Occorre rapidamente uscire dalle discussioni dei soli “addetti ai lavori” ed essere consapevoli del salto culturale e organizzativo necessario. Rapidamente. Perché tecnicamente siamo partiti bene, ma non basta.