Tagliare gli sprechi, non i sorrisi. Che fine ha fatto il benessere organizzativo?
Nei miei giri nelle amministrazioni pubbliche è un po’ che vedo pochi sorrisi e molte facce scure e preoccupate. A furia di continue rincorse dei nostri candidati a chi taglia di più, certo le preoccupazioni di chi la PA deve continuare a farla funzionare ed è tenuto a erogare servizi non sono infondate, ma c’è anche un altro aspetto che oggi vorrei mettere in luce. La sparizione da qualsiasi impegno e da qualsiasi discorso sull’amministrazione pubblica del tema del cosiddetto "benessere organizzativo", su cui pure ci eravamo impegnati negli anni passati. Avevamo scritto tanto, tanti ministri avevano emanato provvedimenti, leggi dello Stato ancora in vigore ne prescrivono la tutela e l’osservazione, ma nessuno se ne occupa più. O almeno "quasi" nessuno, infatti il tema mi viene sollecitato da due fatti in controtendenza.
6 Febbraio 2013
Carlo Mochi Sismondi
Nei miei giri nelle amministrazioni pubbliche è un po’ che vedo pochi sorrisi e molte facce scure e preoccupate. A furia di continue rincorse dei nostri candidati a chi taglia di più, certo le preoccupazioni di chi la PA deve continuare a farla funzionare ed è tenuto a erogare servizi non sono infondate, ma c’è anche un altro aspetto che oggi vorrei mettere in luce. La sparizione da qualsiasi impegno e da qualsiasi discorso sull’amministrazione pubblica del tema del cosiddetto "benessere organizzativo", su cui pure ci eravamo impegnati negli anni passati. Avevamo scritto tanto, tanti ministri avevano emanato provvedimenti, leggi dello Stato ancora in vigore ne prescrivono la tutela e l’osservazione, ma nessuno se ne occupa più. O almeno "quasi" nessuno, infatti il tema mi viene sollecitato da due fatti in controtendenza.
Ma cominciamo dai dati: nel 2004 erano oltre 15mila i questionari di benessere organizzativo compilati e inviati al Dipartimento della Funzione Pubblica, dopo essere radicalmente diminuiti negli anni successivi erano sempre oltre 9mila nel 2009, poi 6.907 nel 2010, 5.726 nel 2012, infine 2.555 nel 2012. Senza ulteriori azioni viene da pensare che tra poco sarà una pratica del tutto abbandonata.
Se passiamo ai risultati è sconfortante vedere che in quasi dieci anni la percezione di alcuni aspetti della vita nelle amministrazioni non è affatto migliorata. Prendiamo ad esempio l’equità organizzativa: il valore medio delle risposte, che era 2,15 su 5 nel 2004, non si è mai discostato da quel valore arrivando al massimo a 2,41 nel 2008 e ricadendo al suo minimo di 2,09 nel 2012. Lo stesso si può dire per la percezione dello stress o per la permeabilità all’innovazione. Anche il valore medio di tutti i fattori non si sposta di molto e oscilla da un massimo di 2,76 su 5 ad un minimo di 2,42.
Non è certo questa l’unica politica di gestione del capitale umano che è stata cominciata e lasciata lì, ma mi sembra ancor più grave perché in questo caso la disattenzione non trova scusanti né nella mancanza di risorse, ne servono ben poche, né nella mancanza di supporto teorico o normativo, sovrabbondante sia l’uno che l’altro, basti pensare alla nuova istituzione dei CUG che già nella loro intestazione si chiamano "Comitati Unici di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere chi lavora e contro le discriminazioni". Perché allora questa disattenzione?
Credo che ancora una volta dobbiamo interrogarci su come stiamo affrontando la crisi: la tattica rischia sempre più di far premio sulla strategia e il breve periodo sulle politiche lungimiranti. Certo la campagna elettorale non aiuta e i programmi delle forze in campo su questo tema sono per il momento sconfortanti, ma forse è proprio questo il momento di ricominciare a pensare.
In controtendenza mi sono arrivate, come vi dicevo, due sollecitazioni diverse, ma che entrambe mi aiutano ad essere un po’ meno pessimista.
La prima viene da un grande ente, il CNR, che non solo ha messo in piedi una coraggiosa ricerca sul benessere organizzativo di tutti i suoi dipendenti, ma l’ha accompagnata con una riflessione approfondita e una restituzione corretta sia ai lavoratori, sia all’opinione pubblica. Andate a guardarvi la sezione del sito: è veramente interessante.
La seconda viene invece dal mondo privato e mi arriva dal mio amico Toni Muzi Falconi, come sempre acuto osservatore dei fenomeni, che porta in Italia l’esperienza del Regno Unito sul coinvolgimento dei lavoratori nelle strategie aziendali come fattore di successo dell’impresa. Il movimento che in UK si chiama "Engage for success" e in Italia "Impresaperta", sarà presentato a Milano il prossimo 19 febbraio presso l’Urban center in Galleria.
L’idea di partenza è abbastanza semplice ed è sintetizzata dalla presentazione di "engage4success" che lascio in inglese perché è insieme semplice e difficilmente traducibile con la stessa sintesi:
Employee engagement is a workplace approach designed to ensure that employees are committed to their organisation’s goals and values, motivated to contribute to organisational success, and are able at the same time to enhance their own sense of well-being.
Il fondatore in sintesi così descrive il suo movimento:
“This is about how we create the conditions in which employees offer more of their capability and potential.” – David Macleod
A sua volta il Manifesto del Movimento italiano "impresaperta" comincia così:
Esiste un modo migliore di lavorare, di favorire la crescita delle persone, delle organizzazioni in cui lavorano e del Paese: coinvolgere direttamente quelli che un lavoro ce l’hanno, contribuendo a liberarne energia, capacità e potenzialità, stimolando motivazione, partecipazione e produttività.
Siamo manager e professionisti italiani che operano in organizzazioni pubbliche, private e sociali. Ci proponiamo di tematizzare, rivolgendoci in primis alla classe dirigente sociale, economica, culturale e politica del Paese, l’enorme potenziale espresso da un consapevole coinvolgimento dei lavoratori nei processi delle organizzazioni.
Anche io credo che esista un modo migliore di lavorare, ma che non ci venga regalato da nessuno, ma vada perseguito con intelligenza e con una continuità dello sforzo che mi pare ora manchi del tutto, e non solo in questo.