Trasparenza: l’intervento è riuscito, il paziente è morto…
A volte le azioni che mettiamo in campo per attuare le nostre intenzioni, non le realizzano come vorremmo.
Rispetto al modo con cui è stato affrontato il tema della trasparenza nella PA, tramite “l’accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle PA” voluta dal Decreto Legslativo 14 marzo 2013, n. 33, la distanza tra intenzioni e risultati rischia di essere molta. Riceviamo e pubblichiamo un interessante contributo da parte di Vittorio Severi Dirigente Comune di Cesena sul tema della "trasparenza dinamica".
15 Maggio 2013
Vittorio Severi*
A volte le azioni che mettiamo in campo per attuare le nostre intenzioni, non le realizzano come vorremmo.
Rispetto al modo con cui è stato affrontato il tema della trasparenza nella PA, tramite “l’accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle PA” voluta dal Decreto Legslativo 14 marzo 2013, n. 33, la distanza tra intenzioni e risultati rischia di essere molta.
L’accessibilità totale alle informazioni
Il decreto richiede di pubblicare alcune informazioni e moltissimi dati. Dati e informazioni non sono sinonimi. Perché i dati diventino informazioni bisogna che ci sia accordo sul loro significato. Per costruire un modo comune di dare significato alle attività della pubblica amministrazione e quindi renderle valutabili, cosa che rappresenta una necessità primaria per il nostro sistema, serve una storicizzazione di dati raccolti sulla base di indicatori condivisi e la possibilità di confronto tra realtà diverse. Un modo di dare significato significa un linguaggio, una cultura. Quanti incarichi sono stati assegnati, quanto personale ha un ente, il costo di produzione di un servizio, i dati interoperabili dei centomila e mila acquisti… tutti questi numeri non dicono quasi nulla senza termini di confronto scelti con un motivo ragionato e ampiamente condiviso.
Il confronto
Alla PA locale, questo confronto serve come il pane, e deve avvenire rispetto ai risultati attesi, quelli che i piani strategici (della performance o chiamiamoli come ci pare..) hanno prospettato ai cittadini, deve avvenire con quanto è successo nel tempo in quella realtà, con ciò che succede negli altri enti locali, in Italia e in Europa, almeno. La mancanza della cultura dell’accountability sociale, del controllo di gestione e di sistemi basati sulla raccolta informatizzata di dati omogenei, rappresentano gli ostacoli più importanti alla realizzazione di quella accessibilità totale in grado di favorire effettivamente “ un controllo diffuso sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, realizzando le condizioni di garanzia delle libertà e dei diritti che integra il diritto ad una buona amministrazione, come recita il Decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Anche se faticoso, il superamento di questi ostacoli costituisce l’unica via di riscatto alla PA.
L’impegno
Per ottenere un risultato effettivo, è necessario cominciare col dare a questo sforzo un segno diverso rispetto ai connotati che ha assunto, cioè diverso dai connotati di una straordinaria azione di controllo ispettivo, con la minaccia incombente di sanzioni. Deve diventare soprattutto una azione di segno culturale, che mira ad un apprendimento profondo della P.A., a partire dalla sua dirigenza. Diversamente, cioè se il senso del lavoro di rendicontazione non sarà co-prodotto, si continuerà ad affermare quella logica adempimentale che porta sempre più distante dai cittadini il senso di quello che la PA produce e porta a diminuire la considerazione dei risultati effettivi che essa raggiunge. Questa logica, inoltre, impedisce a chi lavora nella PA di operare con la consapevolezza di ciò che il proprio impegno realizza per la costruzione di valore sociale. E questo fatto è altrettanto grave. Il decreto, le procedure previste ed i protocolli operativi potrebbero essere applicati alla perfezione senza che cambi alcunché; come si dice in questi casi: “l’intervento è riuscito…. il paziente è morto.”
Da questo punto di vista, la mole di adempimenti burocratici che richiedono i disposti combinati delle varie spending review, dei nuovi controlli, uniti a quelli qui richiamati per la trasparenza, distoglie ingenti risorse umane e economiche dal “fare per i cittadini”, spostandole su un rendere conto troppo spesso generico, che non trova corrispondenza diretta con la rendicontazione che serve per fornire elementi di verifica al patto che cittadini e amministratori hanno fatto nel momento elettorale. Si corre il rischio che la massiccia eruzione contemporanea di dati polverizzati vada a formare una fitta cortina fumogena, che nasconde ancora di più la realtà che si vuole osservare. La rilevazione dei costi standard poteva essere un momento di avvio per questo percorso, ma si è finalizzata in modo ristretto e gli strumenti costruiti sono inservibili a livello diffuso; i numerosi tentativi di individuare indicatori salienti, per i cittadini e per gli stessi produttori, rispetto ai servizi realizzati dai Comuni, finora non hanno sortito effetto.
Cosa serve?
Una nuova fiducia, un controllo auto ed etero che si alleano, una stagione formativa nuova, un impegno diverso nei confronti dei cittadini: che non siano chiamati dietro lo specchio unidirezionale della trasparenza a indicare i colpevoli della PA, come in un film poliziesco, ma che possano collaborare con una PA che sa ascoltarli in modo attivo, non solo nei momenti di valutazione, ma nei momenti di costruzione delle politiche, mettendo a disposizione informazioni vere e possibilità di analisi e confronto. Visto da questa prospettiva, il fatto che la realtà degli enti locali nel nostro paese sia molto eterogenea, rappresenta una opportunità. I punti di forza diversi, presenti nel sistema, possono essere risorse per criticità presenti in zone diverse, perchè non possiamo permetterci di lasciare ciascuno perso nei propri problemi. Spingere per una seria assunzione di responsabilità da parte degli enti locali, non significa non farsi carico delle loro difficoltà per supportarli a superarle. Tra le manovre evolutive per la PA locale, ci potrebbero essere: l’elaborazione partecipata di un sistema di autocontrollo e di benchmark, la realizzazione di una banca delle risorse della PA locale, l’affiancamento e lo scambio di buone pratiche, la mobilità formativa di dirigenti e funzionari e tante altre idee che una seria interlocuzione tra centro e territori potrebbe fare emergere. Ciò che dobbiamo evitare è che continui ad affermarsi l’istanza del controllo esterno sull’adempimento privo di significato, la logica della punizione somministrata dalla specchiata autorità superiore: punizione per chi poi? per i cittadini forse, perché la burocrazia ha sviluppato anticorpi molto robusti e si sa difendere senza cambiare.La responsabilità di questo cambiamento è sulle spalle di tutti gli attori, locali e centrali. A questi ultimi umilmente si potrebbe chiedere un po’ di coerenza nel rapporto con gli Enti Locali, evitando di sovrapporre istanze contraddittorie tra i ministeri, ma facendo passare tutte le misure avanzate verso le autonomie territoriali al vaglio di un effettivo ed unico check point di coerenza.
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*Vittorio Severi – Dirigente Comune di Cesena