Un nuovo procurement per innovare l’Italia: con quattro parole chiave

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30 Novembre 2015

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Carlo Mochi Sismondi, presidente Fpa

Giovedì scorso è stata presentata la grande ricerca annuale dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano. Una delle quattro parti di questa, a cui ho personalmente collaborato, era dedicata a come la PA centrale e locale acquista prodotti e servizi di ICT. Stiamo parlando del più grande buyer italiano d’innovazione, con circa 6 miliardi di acquisti; stiamo parlando del più potente driver d’innovazione di cui disponiamo. Tema rilevante quindi, su cui spenderei quattro parole.

Prima parola: misura

Non esistono informazioni chiare su quanto spenda la PA italiana nel procurement di tecnologie digitali. Le stime più attendibili certificano la spesa in 6 mld € per il 2014, pari al 3% degli acquisti della PA. Tale spesa è in calo (di almeno il 2% all’anno) ed è inferiore a quella di altri paesi EU. Più che tagliarla (vedi art. 29 della “finanziaria”) sarebbe opportuno misurarla e riqualificarla.

Non abbiamo quindi misure chiare ed oggettive dell’intera spesa, ma neanche delle sue componenti principali: basti pensare al numero dei data center che oscilla dagli 11.000 indicati da Agostino Ragosa in un’audizione parlamentare quando era a capo dell’AgID ai 985 censiti dalla Fondazione Bordoni, che sono sempre troppi ma di un ordine di grandezza inferiori.

Misurare è necessario, misurare è possibile, misurare costa, ma non misurare costa di più .

Seconda parola: fiducia

Le procedure di procurement pubblico innovativo già disponibili grazie all’attuale normativa (Pre-Commercial Procurement, dialoghi competitivi e dialoghi tecnici) sono scarsamente usate dalle PA italiane. Dal 2012 in Italia sono state fatte 84 procedure di dialogo competitivo su un totale europeo di 6.765. Oltre il 65% di tali procedure è stata effettuata in due soli paesi: Francia (con 2.506 procedure) e Regno Unito (1.893 procedure). Il restante 35% è frazionato tra il resto dei paesi europei, con Polonia (333 procedure) Germania (262 procedure), Finlandia (258 procedure) e Paesi Bassi (244 procedure) aventi un minimo di esperienza in più degli altri. Solo 5 dialoghi competitivi italiani hanno riguardato l’attuazione dell’AD.

I dirigenti pubblici non usano gli strumenti innovativi perché non hanno certezze, temono un aggravarsi dell’infausta pratica dei ricorsi, non sono incentivati a farlo, hanno paura di una Corte dei Conti che, a torto o a ragione, viene vista come una minaccia invece che come una risorsa. Rassicurare e dare fiducia alla dirigenza pubblica è necessario almeno quanto rassicurare i medici per debellare i milioni di accertamenti inutili della “medicina difensiva”. A differenza di quella la “ burocrazia difensiva” non è bulimica, semplicemente non fa. Nulla avviene quindi che non sia consueto, foolproof, automatico.

Terza parola: responsabilità

L’Italia non ha ancora recepito le direttive europee 23, 24 e 25 del 2014 che forniscono procedure innovative di procurement pubblico (Partenariati per l’Innovazione, nuovi dialoghi competitivi e procedure competitive con negoziazione) e incentivano i Partenariati Pubblico Privati (PPP).
Le direttive e le prassi in tutta Europa si muovono verso una maggiore discrezionalità delle stazioni appaltanti e di una maggiore responsabilità nella scelta da parte dei dirigenti preposti, limitando gli automatismi e le scelte “automatiche” che derivano da algoritmi del genere del “massimo ribasso”. In Italia avviene il contrario: la patologia diventa fisiologia.

In questo momento storico in Italia la parola discrezionalità è percepita come pericolosa e scandalosa, rimanda ad arbitrio e a clientelismo se non addirittura a corruzione e malamministrazione. Eppure è proprio la discrezionalità del dirigente e del politico dotati di autonoma responsabilità che è il rimedio sovrano contro la corruzione. Se in tutti i Paesi europei e nelle delibere della Commissione europea sugli appalti pubblici si aumentano le discrezionalità dei dirigenti e delle stazioni appaltanti una ragione ci sarà. E’ lapalissiano infatti che nessun automatismo, nessun algoritmo che sostituisca la libera, onesta e lungimirante scelta fatta per il bene comune, può salvarci dalla corruzione. Anzi più meccanismi automatici metteremo, più ci trincereremo dietro a regole, norme, commi, scudi di autotutela o di diritto amministrativo più la corruzione la farà da padrona. Nell’aria pulita della responsabilità la corruzione non alligna, nelle stanze polverose, piene di muretti burocratici dietro cui difendersi e di inutili certificati antimafia, cresce invece indisturbata. Perché la corruzione si pasce di norme e di commi e vede come il fumo negli occhi lo sguardo limpido di chi ha il coraggio di scegliere e di essere valutato sui risultati.

Quarta parola: coerenza

Consip e AgID rivestono ruoli chiave nello scenario ipotizzato dalla legge finanziaria, ma non sono sufficienti a trasformare il procurement pubblico da freno a volano di digitalizzazione del paese. E’ necessario poter contare su un numero limitato, ma significativo di stazioni appaltanti regionali qualificate, usando quando opportuno anche le società ICT in house delle regioni. È necessario, per rendere sostenibile il sistema, lavorare poi su tre ambiti: migliorare le competenze di PA e provider di soluzioni digitali, ridefinire le partnership tra pubblico e privato e snellire, radicalmente le procedure con cui è gestito il procurement pubblico. Ma ancor prima di questo è necessario che AgID e Consip diventino garanti della coerenza dei processi di acquisto con le linee guida del Paese in tema di digitalizzazione della PA.

Finché a due ASL limitrofe sarà concesso di indire due gare simili (ma non uguali) per due data center in modo che ciascun DG possa star seduto sui suoi dati, finché la razionalizzazione delle strutture ICT del paese non passerà anche per il controllo delle gare, finché AgID non potrà dire chiaramente per quali scopi e per quali progetti è possibile comprare ICT e per quali è meglio non farlo, fino ad allora saremo costretti a chiudere le porte di una stalla da cui i buoi saranno già scappati da un pezzo.

Misurazione, fiducia, responsabilità e coerenza sono quindi indispensabili per un procurement che sia driver di innovazione e di sviluppo, ma non bastano: ci vuole anche certezza delle risorse . Nessuno, sia pubblico o sia privato, può pianificare e dirigere se deve aspettare ogni 15 ottobre un coniglio diverso uscire dal cilindro di leggi di stabilità, leggi che di stabile hanno solo la loro totale imprevedibilità e la loro vulnerabilità strutturale a qualsiasi estemporanea incursione.

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