Un palazzo o una casetta? Lo stato della comunicazione pubblica in Italia
Dopo la presentazione dell’edizione 2010 delle "Interviste in pubblico" fatta nel numero scorso, Stefano Rolando presenta il secondo grande appuntamento di FORUM PA 2010 dedicato alla comunicazione pubblica. L’evento in agenda per il pomeriggio del 19 maggio si propone di analizzare, come evidenzia lo stesso Rolando, "come evolva la comunicazione pubblica in Italia e in Europa".
30 Marzo 2010
Stefano Rolando*
Dopo la presentazione dell’edizione 2010 delle "Interviste in pubblico" fatta nel numero scorso, Stefano Rolando presenta il secondo grande appuntamento di FORUM PA 2010 dedicato alla comunicazione pubblica. L’evento in agenda per il pomeriggio del 19 maggio si propone di analizzare, come evidenzia lo stesso Rolando, "come evolva la comunicazione pubblica in Italia e in Europa".
Di per sé una fiera è sostanzialmente comunicazione. Una fiera che espone prodotti, pensieri e processi della Pubblica Amministrazione è – pour cause – comunicazione pubblica.
Cogliere come evolva la comunicazione pubblica in Italia e in Europa è dunque utile per riflettere su come si relazionano cornice e contenuto anche in occasione dell’evento FORUM PA a metà maggio 2010.
Altrove (Rivista italiana di comunicazione pubblica, FrancoAngeli, prossimo fascicolo n. 40/2010) sarà meglio illustrato l’edificio a quattro piani (compreso quello terra) che il sistema compiuto, in giro per il mondo, ha nel corso degli anni innalzato. Premettendo che vi sono territori (città, regioni, paesi) che si presentano senza edificio alcuno. Alcuni con palafitte e capanne. Altri con innalzati uno o due piani. Pochissimi che hanno raggiunto il tetto.
Schematicamente:
il piano terra – accesso preliminare – è costruito per svolgere servizi di comunicazione elementare, che potremmo definire anagrafica (chi sono, dove sto, che competenze tratto);
il primo piano – più robusto front line – è costituito in Italia dal livello per lo più concepito dal corpo normativo che si è andato producendo nel corso degli anni ’90 e che è approdato alla legge 150/2000; dunque servizi puntuali, accesso e accompagnamento alla fruizione di atti e norme; il tutto sia in rete che in realtà fisiche;
il secondo piano è costituito – per la verità ben più in Europa che in Italia – dal presidio inevitabilmente pubblico ai processi di democrazia partecipativa, ovvero alla gestione procedurale di ciò che va sotto il nome di “dibattito pubblico” in cui il cittadino, per lo più attraverso forme associative organizzate, interagisce con istituzioni e decisori prima delle decisioni, su temi di interesse generale e spesso nei processi de jure condendo; uno spazio in cui si sviluppano le distinte forme di comunicazione sociale, politica e amministrativo-istituzionale;
il terzo piano è costituito – in un quadro culturale che permea tuttora più le imprese che le istituzioni – dalla gestione dinamica del patrimonio simbolico accumulato ed espresso da ogni singola istituzione in rapporto al suo territorio e alle sue competenze (branding).
Quest’ultimo livello – che dovrebbe prevedere un ruolo di brand manager anche collocato in alta posizione funzionariale o in posizione di significativo presidio politico (o meglio entrambi) – ha una dimensione tecnica in cui converge l’esperienza della comunicazione di impresa e quella della comunicazione istituzionale, pur se con distinte strategie, in un campo d’azione (più ampio del marketing territoriale) che assume il profilo strategico della identità competitiva.
Nel breve spazio di un segnale culturale (questi editoriali) non si può dire di più. Il pomeriggio di mercoledì 19 maggio sarà destinato a FORUM PA a indagare con uno sguardo trasversale questo schema. Risulta chiaro che, accettando la metafora del “palazzo”, l’asse verticale è un asse logico, interattivo, che influenza reciprocamente i piani. Non è difficile dire che lo “schema compiuto” è esperienza rara nelle amministrazioni italiane. Ma non assente. E – magari con tratti meno netti – anche talvolta percepito come percorso ineludibile. Ma fintanto che sistema economico e soggetti pubblici non convergono sulla mutua utilità di indagare quali sono le sinergie necessarie per procedere, la comunicazione pubblica (o di pubblica utilità, che è nome più appropriato nel quadro di quel dialogo) appare a ciascuno nei brandelli di esperienza che si presentano variegati.
L’Italia aveva fatto segnare uno scatto in avanti alla fine degli anni ’90, arrivando anche ad intuire il passaggio dal primo al secondo piano. Poi si è seduta. La sua casetta a un piano ora si nota. Ma per difetto.
*Stefano Rolando è Professore di Teoria e tecniche della comunicazione pubblica – Università IULM – Milano