Vertici apicali degli Enti Locali tra risparmi e rischi di corruzione… e se stessimo sbagliando strada?
Grande confusione sotto il cielo di Roma in questi giorni. Va infatti in scena un bizzarro spettacolo che ha come protagonisti: l’odioso fenomeno della corruzione, che sembra aver decisamente alzato la testa (seppure l’ha mai abbassata); un decreto legislativo ponte sugli Enti locali; due figure come quella del direttore generale e quella del segretario generale che fanno fatica a spiegare agli altri chi vogliono essere. Che fanno insieme questi mal assortiti attori? provo a raccontare la storia a modo mio e vediamo se vi risulterà chiara…
23 Febbraio 2010
Carlo Mochi Sismondi
Grande confusione sotto il cielo di Roma in questi giorni. Va infatti in scena un bizzarro spettacolo che ha come protagonisti: l’odioso fenomeno della corruzione, che sembra aver decisamente alzato la testa (seppure l’ha mai abbassata); un decreto legislativo ponte sugli Enti locali; due figure come quella del direttore generale e quella del segretario generale che fanno fatica a spiegare agli altri chi vogliono essere. Che fanno insieme questi mal assortiti attori? provo a raccontare la storia a modo mio e vediamo se vi risulterà chiara…Cominciamo dai quattro protagonisti.
Il malcostume legato al malaffare politico e alla corruzione è sulle prime pagine dei giornali: con gran tempismo abbiamo avuto quasi in contemporanea la relazione annuale della Corte dei Conti che parla di un fenomeno cresciuto del 229%; l’arresto di un consistente numero di mariuoli, politici o funzionari che fossero, colti con le mani nel sacco; lo scandalo gigantesco legato alle opere in regime di “emergenza” , di cui non vediamo ancora l’intera dimensione, ma che sembra essere enorme; il coinvolgimento di politici in enormi giri d’affari per riciclaggio di denaro illecito.
A questo hanno fatto seguito come sempre dichiarazioni disparate che hanno negato, ridimensionato, stigmatizzato, enfatizzato, denunciato e proposte più o meno meditate di nuove leggi, destinate ahimè ad essere nuove grida di manzoniana memoria.
Qui entra in scena il nostro secondo attore dal nome difficile: Atto Camera 3146 per la conversione del decreto legislativo 2/2010. Il decreto legislativo così nominato costituisce un ponte traballante tra una finanziaria che è entrata a gamba tesa in un campo delicato come quello dell’organizzazione degli enti e un disegno di legge sulla carta delle autonomie che sembra sempre sul punto di partire e che non parte mai. Serve quindi a mettere una toppa allo strappo che nel dibattito sul futuro del federalismo ha fatto la legge finanziaria, che ha malamente anticipato, a solo fine di far cassa, temi e provvedimenti che avrebbero dovuto essere organicamente definiti da una legge quadro, come appunto si spera sarà la “Carta delle Autonomie”.
Gli altri due protagonisti son ben noti ai miei lettori: da una parte la figura del segretario generale del comune o della provincia, che è rimasta nel guado di una riforma incompiuta, organo terzo e garante del controllo, ma ormai scelto dal Sindaco e da lui quindi nei fatti dipendente per non restare a spasso e senza incarico. La categoria cerca giustamente un rilancio cui ha diritto, e di cui abbiamo sempre più bisogno, ma lo cerca dalla parte sbagliata: non per far meglio con più indipendenza ed autorevolezza la funzione per cui è nata, ma verso una responsabilità diretta nella gestione che trasformerebbe il controllore in controllore-controllato che è un ossimoro, oltre che un pericolo per la corretta gestione.
Il direttore generale è non meno impantanato: figura nata nell’epoca delle grandi riforme Bassanini come immissione dall’esterno di un manager di stretta fiducia del sindaco o del presidente, in molti casi è stato simbolo di una gestione innovativa e moderna dell’ente. In molti casi, non sempre però, perché, segnato dal peccato originale che permette al sindaco di “fare senatore un cavallo”, il ruolo è stato assegnato a volte al politico trombato, a volte alla corrente di minoranza del partito di maggioranza, a volte semplicemente a “l’ amico di”.
Oggi c’è stata una resipiscenza, anche se un po’ tardiva, e la categoria, con la sua Associazione, l’ANDIGEL, si è autoregolata creando un elenco certificato da un autorevole ente terzo (la fondazione Alma Mater del’Università di Bologna) da cui poter con sicurezza scegliere professionalità riconosciute ed adeguate al compito. Purtroppo si tratta ancora di un adempimento su base volontaria.
La trama della commedia è semplice: nel clima di polverone causato dalla corruzione sempre più evidente, improvvide semplificazioni hanno suggerito a qualche esponente politico di introdurre nel decreto legislativo 3146 controlli ulteriori validi solo per gli Enti locali. Nel frattempo, mentre si grida alla necessità di unire maggiore severità nei controlli a maggiore efficienza e rispetto dei tempi per non dover essere costretti a cadere nella brace delle decretazioni d’urgenza, ci si castra da soli tagliando la figura manageriale per eccellenza negli Enti locali e spingendo la figura di controllo a fare un altro mestiere.
Siamo a questo punto, ma il sipario non è ancora calato e io spero che ci sia ancora un atto per ristabilire l’ordine e il lieto fine.
Ma basta con la metafora dello spettacolo e proviamo a far chiarezza. A mio parere alcuni punti fermi possono già essere definiti:
- La corruzione e il malaffare non si combattono con nuove leggi, che spesso sono solo specchietti per allodole, ma isolando corrotti e corruttori, applicando con rigore le leggi che ci sono e lasciando lavorare la magistratura, introducendo nella PA sempre maggior trasparenza e libertà d’accesso a tutti i livelli e gestendo la cosa pubblica presto e bene perché è nell’inefficienza, nei ritardi, nell’opacità che nasce il seme della sfiducia e della disperazione che spesso sono piante pioniere della corruzione.
- Gli Enti Locali non sono certo l’ambiente in cui si svolgono i “grandi” illeciti. Come abbiamo ampiamente visto con la storiaccia della Maddalena, i tavoli dove si trattano gli affari faraonici sono almeno nazionali. Ma certamente è nei Comuni e negli altri enti territoriali che avvengono molti dei fenomeni più odiosi, quelli che coinvolgono piccoli imprenditori concussi o cittadini che aspettano invano quelli che sono solo loro diritti.
- Introdurre però, come sembra nelle intenzioni del Ministro Calderoli, norme ad hoc per i controlli negli Enti Locali in un decreto legislativo come il 3146 che, come si è visto, è già così confuso e contraddittorio, non è solo inutile e offensivo, rischia di aggiungere caos al caos.
- Ma cosa fare allora se è vero che per la natura stessa degli illeciti è negli Enti Locali che i controlli di legittimità e di legalità devono essere particolarmente diffusi ed efficaci? Ma cosa fare se è negli Enti locali che si deve soprattutto perseguire la massima efficienza, la cultura del fare e del non rimandare, la gestione manageriale della cosa pubblica, perché è lì che si incontrano PA e cittadini?
A mio parere in questo contesto rimane assolutamente valida l’opzione di dotarsi di due funzioni apicali con ruoli e professionalità diverse: il segretario generale che deve essere garante della legalità e della legittimità, sempre meno dipendente dalla figura politica, sempre più terza parte, sempre casomai più legato alla fiducia dell’organo elettivo (consiglio, magari a maggioranza qualificata) che costituisce in democrazia l’estremo garante e l’attore principe del controllo strategico; il direttore generale che deve invece essere l’esecutore intelligente delle politiche, il tecnico che attua il programma della maggioranza pro tempore alla guida del Comune o della provincia, il buon gestore delegato a fare presto e bene, rispettando i tempi, come variabile chiave dell’azione amministrativa. - Castrarsi per un piatto di lenticchie (risparmiare uno stipendio) della possibilità di avere le due figure, almeno negli enti più grandi, vuol dire impoverire sia la gestione sia il controllo perché è dalla dialettica delle due funzioni che nasce la buona amministrazione. Farlo poi, come lo si è fatto, con una norma di una legge finanziaria al solo scopo di giustificare tagli di trasferimenti agli Enti locali è scorretto oltre che irrispettoso dell’autonomia organizzativa degli Enti.
Se questa è la situazione mi permetto di invitare l’ANCI e gli stessi sindaci e presidenti di provincia a difendere con il massimo vigore possibile questa autonomia e a contrastare con forza le pretese di questo decreto e di questa finanzaria di limitarla per legge.
Agli amici di ANCI queste cose non le devo certo insegnare io: le sanno benissimo.
Sanno benissimo quanto sia preziosa la libertà e quanto sia odioso un vincolo nell’organizzazione che venga, uguale per tutti, dal governo nazionale. Sanno che è più importante non cedere su questo punto che non avere qualche piccola concessione finanziaria, che ha la consistenza di una piuma quando c’è vento.