Connected Health tra innovazione organizzativa e sfide tecnologiche

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L’integrazione della Connected Health e della Telemedicina prometteva di migliorare il rapporto tra sistema sanitario e cittadino, facilitando la transizione tra ospedale e domicilio e potenziando l’interazione e l’empatia digitale. Sebbene ogni cosa sembri dipendere da una rivoluzione digitale, l’assistenza sanitaria territoriale si sviluppa principalmente su un livello organizzativo. In vista del prossimo FORUM Sanità 2024, ne abbiamo parlato con Alberto Ronchi, Direttore dei Sistemi Informativi dell’Istituto Auxologico Italiano e Presidente di AISIS, Mattia Altini, Responsabile del Settore Assistenza Ospedaliera della Regione Emilia-Romagna e Presidente SIMM, Massimo Braganti, Ex Direttore Generale di aziende sanitarie e ospedaliere

11 Ottobre 2024

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Patrizia Fortunato

Content Editor, FPA

Foto di Frans Vledder su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/uomo-in-canotta-bianca-e-pantaloncini-neri-appeso-alla-barra-di-metallo-nero-sotto-il-cielo-blu-VT8l5wC_pTA

Speravamo un po’ tutti che la Connected Health e la Telemedicina potessero migliorare il rapporto tra sistema sanitario e cittadino. Immaginavamo una transizione fluida tra assistenza ospedaliera e cure a domicilio, con maggiore possibilità di interazione, maggiore empatia digitale, con accesso migliorato alle cure, con i vantaggi del telemonitoraggio e della teleassistenza dei pazienti cronici, la cui presa in carico è uno dei principali problemi che il sistema sanitario ha avuto negli anni precedenti. Sino a scoprire che l’introduzione di tecnologie innovative si innesta su un cambiamento che è prima di tutto culturale e di processo all’interno delle organizzazioni.

Il PNRR, M6C1 “Reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale”, si propone come una soluzione concreta per l’incremento della telemedicina e dell’assistenza domiciliare, delineando un futuro in cui tecnologia e umanizzazione delle cure si integrano. Ma il connubio tra tecnologia e umanizzazione delle cure pone in realtà diversi interrogativi: dalla sfida di rendere fruibili e di far percepire come vantaggiosi per l’utente finale (personale medico e pazienti) i nuovi servizi implementati alla centralità dei processi di comunicazione tra le diverse unità operative e realtà territoriali; dalla capacità di progettare servizi davvero centrati sull’utente all’importanza di fare squadra e creare un ecosistema tra enti e aziende del territorio; dalla scarsità di capitale umano al personale non adeguato per competenze nelle strutture sanitarie. Solo per citarne alcuni.

Di tutto questo abbiamo parlato con Alberto Ronchi, Direttore dei Sistemi Informativi dell’Istituto Auxologico Italiano e Presidente di AISIS, Mattia Altini, Responsabile del Settore Assistenza Ospedaliera della Regione Emilia-Romagna e Presidente SIMM, Massimo Braganti, Ex Direttore Generale di aziende sanitarie e ospedaliere, in vista del prossimo FORUM Sanità 2024 e della loro partecipazione come relatori allo scenario “Connected Health e il futuro digitale dell’assistenza sanitaria”.

Ronchi: “verso un sistema sanitario integrato: territorio-ospedale, pubblico-privato”

“Il DM 77/2022 sull’assistenza territoriale è più organizzativo che tecnologico”.

Introduce nuovi modelli organizzativi e assistenziali, come le Centrali operative territoriali, le Case della Comunità, l’infermiere di famiglia o comunità. Ronchi enfatizza l’importanza della componente organizzativa nel sistema sanitario, descrivendo la necessità di ridisegnare i percorsi di cura per i pazienti e di garantire risposte assistenziali adeguate. La complessità del modello organizzativo assistenziale, spiega Ronchi, si articola su due livelli principali.

“Dovremmo avere un percorso di cura misto su due assi: territorio-ospedale, pubblico-privato”.
Innanzitutto, è necessario ridisegnare l’aspetto territoriale. Sebbene il decreto miri a uniformare l’assistenza su tutto il territorio nazionale, affidando la fase attuativa alle regioni, alle aziende sanitarie e, in parte, ai comuni, “alcune regioni si sono concentrate solo sulle grandi aziende ospedaliere, trascurando l’assistenza territoriale”. Per esempio, permangono differenze tra nord e sud nella presa in carico di anziani in Assistenza Domiciliare Integrata, dal 3,8% nel Nord-est al 2,6% nel Sud, nonostante la quota di anziani assistiti in ADI (una funzione da integrare all’interno della Casa della Comunità) è complessivamente in aumento, passando dal 2,9% nel 2019 al 3,3% nel 2022 (dati Istat, ultimo Rapporto sul Benessere equo e sostenibile).
Il secondo livello cruciale nel modello organizzativo assistenziale è il rapporto tra pubblico e privato. Se la spesa sanitaria è al 6,4% del PIL, poco più rispetto al 6,3% del 2023, e se gli esperti concordano nel dire che difficilmente si muoverà da questa percentuale, perché, allora, rinunciare al mix di offerta pubblico-privato?
“Il cittadino dovrà poter usufruire della possibilità di iniziare o proseguire il suo percorso di cura sia in ambito pubblico che privato”.
Da un punto di vista tecnologico si sta lavorando sull’implementare di sistemi che vadano a supportare l’assistenza territoriale. Nel 2026 sarà pienamente operativo il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) 2.0, un punto unico di accesso che raccoglie dati e documenti digitali di tipo sanitario e socio-sanitario riguardanti l’assistito. “Questa creazione e alimentazione di base dati centrale – evidenzia Ronchi – fa sì che teoricamente tutti i provider, pubblici o privati, possano accedere a questa massa di dati per curare meglio il cittadino”.
“Questo è il primo step. Il secondo step è quello della piena operatività dell’infrastruttura di telemedicina, che vede Agenas come soggetto attuatore, o, in generale, dei sistemi che disegneranno i percorsi dei pazienti”. È notizia recente l’avvio della fase di popolazione dati della Piattaforma Nazionale di Telemedicina con la collaborazione di alcune Regioni pilota.
Alla nostra domanda su quanto sia importante promuovere una cultura di management dei sistemi informativi in ambiente sanitario che sia non solo tecnologica, ma anche proattiva e multidisciplinare, Ronchi sottolinea come governare tutto questo (a progetti finiti, adesso siamo in una fase di delivery) richieda una grande capacità.
“Il governo di tutto questo sarà estremamente complicato, soprattutto perché le risorse sono limitate. Governare male un’organizzazione così complicata vorrà sicuramente dire sprecare risorse; dall’altro lato governarla bene vorrà probabilmente dire produrre delle efficienze, anche per i cittadini”. Favorire la deospedalizzazione, potenziare la qualità delle cure a casa o nei luoghi di prossimità, è un chiaro esempio di questa efficienza.

Spostando poi l’analisi sull’umanizzazione delle cure, è importante considerare diversi aspetti.

“Negli Stati Uniti si sono già accorti che la disponibilità di un’enorme quantità di dati provenienti dagli esami del sangue, dalle radiologie, porta molti medici a vedere il paziente come un insieme di numeri, immagini e descrizioni, perdendo di vista il fatto che dietro c’è la persona. È un trend, questo, che nella scienza medica si sta dibattendo, da un punto di vista etico ma anche pratico”.
“Ci sono due filoni – precisa Ronchi -. Il filone più tecnocrate, che guarda i dati, i numeri, la genetica, e il filone umanistico, che cerca di privilegiare il dialogo col paziente. È evidente che non si può fare a meno né dell’uno né dell’altro. La digitalizzazione ci ha portato a una ricchezza informativa che non si può trascurare. E ce ne porterà sempre di più. D’altro canto, molta gente è ormai affetta da polipatologie: si alza l’età media, è una rarità il malato under 60 (specialmente in Italia), molti sono over 65”.

‘Nel 2022 (ultimo anno disponibile per questo indicatore) il 49,0% degli anziani di 75 anni e più si trova in condizione di multicronicità e con gravi limitazioni, in peggioramento rispetto a quanto osservato nel 2021 (47,8%)’, dati istat.
“Non possiamo trascurare il fatto che questi pazienti devono essere trattati come persone, comprendendo i loro bisogni principali al di là delle malattie. È da qui che bisogna partire, utilizzando i PROM (Patient Related Outcome Measures), che mirano a comprendere direttamente la percezione del paziente sul suo stato di salute e a identificare le cure e i trattamenti che migliorano significativamente la sua qualità della vita”.

Altini: “un futuro più aderente ai bisogni dei cittadini”

A Mattia Altini piace sottolineare che il sistema sanitario nazionale e regionale, insieme agli operatori della salute, esiste per rispondere ai bisogni dei destinatari dei servizi. “Non c’è un altro motivo per cui il sistema esiste; esiste per rispondere ai bisogni dei destinatari”.

“Nella mia concezione di sistema sanitario universalistico, e riprendendo illustri pareri che, in ambito costituzionale, definiscono i destinatari non come pazienti, ma come persone, abbiamo il dovere, almeno morale ancor prima che giuridico, di far fronte ai loro bisogni”.

Solo successivamente si potrà riflettere sulla titolarità dei bisogni delle persone.

Per Altini, uno dei punti più delicati nella sussistenza del sistema oggi è l’attenzione al capitale umano, che, a causa di errori storici di programmazione, non è equamente distribuito tra le diverse discipline.

“Siamo un po’ lenti nell’essere veloci nel modificare i profili professionali; per cui il digitale rappresenta un grande strumento di avvicinamento che consente di essere vicini senza essere geograficamente nello stesso punto”.

In passato, l’ospedale doveva assumere un mediatore culturale per assistere questo tipo di pazienti; ora è come se avessimo “mega mediatore culturale sul cloud”. Il digitale è dunque una grande opportunità. Si pensi, ad esempio, agli assistenti digitali conversazionali che permettono di semplificare il rapporto fra sistema sanitario e persone, facilitando interazioni più empatiche e abbattendo potenzialmente le barriere di accesso ai servizi per tutti: migranti, persone con disabilità, pazienti anziani.

Il sistema – precisa Altini – deve evolvere verso una capacità di presa in carico. Una specie di drone buono del sistema sanitario nazionale che ti accompagna nella medicina di iniziativa.

La tecnologia è uno strumento potentissimo di umanizzazione, oltre a rendere i luoghi di cura simili a quelli domestici e a garantire l’attenzione del personale, facilita la comunicazione. Il digitale probabilmente è l’unico strumento che permetterà di migliorare  il rendimento delle performance del sistema sanitario senza aumentare i costi del personale.

Braganti: “Sanità Digitale: la chiave vincente è una formazione adeguata”

La telemedicina, specialmente in situazioni o territori particolarmente disagiati dove è difficile raggiungere i pazienti al loro domicilio, può rivestire un’importanza assolutamente rilevante e può effettivamente fare la differenza. Tuttavia, c’è una criticità: come strumento di rilevazione dei dati, la telemedicina può essere utilizzata efficacemente, ma richiede l’uso dei device e una formazione adeguata sia per i pazienti sia per i caregiver. E allora, l’interrogativo che si pone Braganti è “come garantire una formazione che consenta effettivamente l’utilizzo di questa tecnologia da parte di tutti gli attori coinvolti?”.

Diverso è il caso in cui si utilizzi parte della tecnologia messa a disposizione del personale infermieristico o di assistenza domiciliare, che potrebbe permettere di trasmettere i dati a un centro specializzato e, di conseguenza, migliorare il livello di assistenza nei confronti del paziente. E qui la preoccupazione aumenta: come formare coloro che dovrebbero utilizzare questa tecnologia, garantendo un buon funzionamento e l’accesso a informazioni dai centri specializzati per alleviare il disagio, specialmente nei pazienti fragili?

C’è un ulteriore elemento di delicatezza che Braganti evidenzia. Nell’utilizzare questi strumenti si cerca di standardizzare il livello di assistenza, ma una standardizzazione dell’assistenza è nemica della qualità. Sarebbe ottimale garantire un’assistenza personalizzata per ogni cittadino. Tuttavia, “per questioni medico-legali e tecnico-legali, più riesco a definire procedure standardizzate e a stabilire regole, più i professionisti sanitari possono evitare situazioni di possibile responsabilità derivante dal loro operato”.

Bisognerebbe adattare la situazione caso per caso, valutando le diverse tipologie di intervento che possano consentire una personalizzazione, ma che garantiscano comunque livelli di sicurezza agli operatori nel fornire assistenza a domicilio. Con il PNRR sono arrivate molte risorse, ma la preoccupazione di Braganti è che la tecnologia da sola non sia sufficiente.

Quale sarebbe la soluzione a questo punto tra umanizzazione delle cure e standardizzazione?

Non c’è una ricetta universale. Ogni individuo è unico, e ogni soggetto ha una storia a sé. Di sicuro, più il medico riesce a standardizzare, più riesce a evitare che un comportamento possa essere visto come un possibile danno. Questo è un elemento che va tenuto presente quando si pianificano gli interventi e si considerano le azioni da intraprendere.

Braganti conclude con un appello rivolto all’amministrazione centrale e al legislatore, chiedendo di semplificare.

Non è possibile che all’interno di una Casa della Comunità coesistano circa dieci contratti di lavoro diversi. Abbiamo diverse tipologie di contratti per i medici, tutti professionisti con la stessa formazione, ma trattati diversamente. Questa diversità contrattuale complica l’organizzazione per i direttori generali. Medici di medicina generale, specialisti ambulatoriali e convenzionati non sono dipendenti del servizio sanitario e, come liberi professionisti, possono decidere come fornire assistenza, creando problemi organizzativi.

E questo incide anche sul tipo di assistenza. “Se creo una Casa della Comunità e i medici di medicina generale non aderiscono, non vi partecipano, ho creato un progetto monco, incompleto. Diversamente, se tutti i partecipanti rientrano nel contratto del Servizio Sanitario Nazionale, si può gestire il personale con maggiore garanzia assistenziale”.

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