Dipartimento in sanità: si può fare. L’analisi di Americo Cicchetti

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Aprendo un workshop sul tema, Elio Guzzanti aveva spiegato perché il Dipartimento è funzionale alla mission del nostro SSN. Nella stessa occasione il prof. Cicchetti ha presentato lo studio pilota sull’analisi organizzativa dei dipartimenti, commissionato dal Siveas al suo gruppo di lavoro. Quali gli spunti principali? Insomma, questo Dipartimento si può fare? Se si, dove si intoppa? Su cosa e come lavorare per accelerare l’integrazione decisionale, organizzativa e professionale che il Dipartimento postula, per vederlo realizzato dopo ben 37 anni?

26 Gennaio 2010

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Chiara Buongiovanni

Articolo FPA

Aprendo un workshop sul tema, Elio Guzzanti aveva spiegato perché il Dipartimento è funzionale alla mission del nostro SSN. Nella stessa occasione il prof. Cicchetti ha presentato lo studio pilota sull’analisi organizzativa dei dipartimenti, commissionato dal Siveas al suo gruppo di lavoro. Quali gli spunti principali? Insomma, questo Dipartimento si può fare? Se si, dove si intoppa? Su cosa e come lavorare per accelerare l’integrazione decisionale, organizzativa e professionale che il Dipartimento postula, per vederlo realizzato dopo ben 37 anni?

Il Dipartimento è davvero un modello organizzativo appropriato per la realtà italiana?
Certamente il Dipartimento è un modello organizzativo che risulta appropriato per la realtà italiana, soprattutto per i contesti caratterizzati da alta complessità organizzativa come i policlinici universitari, le aziende ospedaliere universitarie e non. In questi contesti esiste una grande frammentazione e c’è quindi bisogno di trovare dei meccanismi di coordinamento che siano riferiti ai percorsi dei pazienti, cioè che prendano a riferimento le esigenze assistenziali piuttosto che le caratteristiche professionali degli operatori. Il Dipartimento nasce proprio con questa finalità.

Guarda/leggi l’intervista a Elio Guzzanti "Elio Guzzanti, il Dipartimento in sanità e l’interdipendenza organizzata"

Perchè il Dipartimento si è affermato come un obbligo di legge piuttosto che come soluzione organizzativa spontanea?
E’ vero, la "genesi giuridica" del Dipartimento è un’anomalia che nasce da una difficoltà di natura culturale. Diciamo pure che il Dipartimento sarebbe adeguato per la struttura del nostro SSN, ma non risulta appropriato alla cultura dominante. Però, piuttosto che immaginare un nuovo modello organizzativo la direzione sarà di agire sulle resistenze.

Quali sono le resistenze che ne impediscono una realizzazione “sostanziale” e non solo formale?
Il Dipartimento basa il suo funzionamento sulla collaborazione multi–professionale, in sostanza sull’attitudine dei professionisti e del personale infermieristico a condividere con gli altri il proprio modo di lavorare. Questo contrasta un po’ con la tipica formazione professionale, caratterizzata invece dalla difesa dell’autonomia e della discrezionalità, Per cui, pur rappresentando il Diparitmento la soluzione organizzativa più consona alla mission aziendale, gli operatori non ne hanno mai avvertito la necessità.
La difficoltà principale, dunque, nasce dalle resistenze nel concepire e organizzare il lavoro in squadra, resistenze rilevabili sia tra i medici dirigenti che tra questi e il personale infermieristico.

Si rilevano miglioramenti progressivi in questo senso?
Si, direi che di passi in avanti negli ultimi 30 anni ne sono stati fatti parecchi. Da un lato la legge ha forzato alcuni cambiamenti, dall’altro, a partire dal 1992,  c’è stata una maggiore pressione culturale, soprattutto sui medici, perché cominciassero ad assumere un’attitudine positiva rispetto al lavoro in gruppo, dovendo rispondere ad obiettivi sia aziendali che interaziendali. Una spinta importante è stata data anche dall’evoluzione della pratica clinica. L’affermarsi della medicina basata sulle prove di efficacia, la cd “evidence based medicine”, porta necessariamente la decisione del medico ad omogeneizzarsi rispetto a quella dei colleghi, poiché determina una base condivisa di evidenze di efficacia. Questo favorisce la condivisione delle soluzioni rispetto a quanto succedeva nel vecchio paradigma decisionale della medicina, secondo il quale il medico prendeva una decisione sulla base della sua esperienza, scienza e coscienza e sulle caratteristiche del singolo paziente. Questi processi stanno facilitando l’adozione di quei modelli organizzativi che si basano sulla collaborazione multi- professionale e, tra questi, in prima linea c’è il Dipartimento.

Leggi "Possiamo dare le stelle ai Dipartimenti nel SSN?" sintesi dello studio pilota "Creazione di una struttura di monitoraggio per l’analisi organizzativa e gestionale del Dipartimento ospedaliero nella prospettiva del governo clinico"

Come rimuovere gli ostacoli alla realizzazione sostanziale del Dipartimento?
Posto che l’ostacolo è raffigurato dall’irrigidimento delle nostre aziende in un modello decisionale-organizzativo che impedisce di mettere a frutto i principi di collegialità e integrazione, bisognerà immaginare delle azioni di sovvertimento.
In primo luogo bisogna che le aziende generino degli incentivi affinché il cambiamento risulti sostanziale piuttosto che formale: fissare degli obiettivi da affidare ai direttori e ai comitati di Dipartimento e collegare questi obiettivi a degli incentivi, anche di natura economica. Altra direttrice fondamentale è lo sviluppo di competenze manageriali per coloro che desiderano impegnarsi più nella gestione che nella clinica. Su questo punto va detto che, all’interno degli attuali Dipartimenti, certamente è utile sviluppare sensibilità manageriali attraverso corsi post lauream o training aziendale, ma per fare il salto culturale ci vuole un cambiamento anche nel percorso di studi. Questo è un po’ più complicato perché le Facoltà di medicina si muovono molto lentamente, spinte da una lato da un’esigenza di cambiamento, dall’altro dalla necessità di difendere i valori fondanti della professione che potrebbero essere edulcorati per la presenza di altri elementi.

La leva che spinge l’organizzazione dipartimentale è l’efficacia e la continuità del percorso di cura. Ma che impatto ha sulla questione della sostenibilità della spesa?
Nell’immediato il Dipartimento costa "qualcosa" all’azienda. C’è da registrare il costo di gestione operativa della struttura, ma i costi sostenuti dovrebbero presto essere controbilanciati dai vantaggi che vengono da una migliore organizzazione del lavoro. Facendo un esempio molto semplice: se si condivide un percorso di cura è difficile duplicare la stessa analisi o radiografia e questa mancata duplicazione va considerata un risparmio secco. Evidentemente si fanno meno cose e si fanno solo quelle più utili. Una volta che l’organizzazione è entrata appieno nei meccanismi di integrazione si dovrebbe arrivare quanto meno a una ottimizzazione delle risorse.

Dalla Ricerca da lei curata emerge che la soddisfazione sul lavoro per infermieri e tecnici aumenta all’aumento del decentramento decisionale, mentre lo stesso non succede per il personale clinico…
Personalmente attribuisco a questo dato una valenza positiva piuttosto che negativa. Dobbiamo infatti considerare da dove partiamo: se il punto di partenza è  un’ atteggiamento culturale che porta a guardare con diffidenza ad un modello organizzativo che limita l’autonomia individuale, il fatto di registrare questa sorta di "indifferenza" diventa quasi positivo. Se non altro non ci sono atteggiamenti ostativi. In aggiunta, va considerato che il dato contrasta con quanto emerso dalla stessa analisi fatta quattro anni fa, quando si registrava una percezione più negativa. La mia previsione per il futuro è che registreremo un atteggiamento positivo, proprio perché siamo nel mezzo di un percorso di cambiamento culturale che si accompagna a quello organizzativo.

Guzzanti sostiene che il limite principale del Ssn è che non c’è un’azienda, ma solo un direttore generale. E’ d’accordo?
Quello che giustamente in molti osservano è che l’adozione del modello della direzione generale – ovvero di una direzione tecnica monocratica –  ha portato una serie di vantaggi, dal momento che ci consente di individuare un soggetto unico a cui attribuire la responsabilità dell’autonomia aziendale. Questo, almeno sotto il profilo tecnico, dovrebbe assicurare una maggiore efficienza decisionale.
Sappiamo che non è cosi, perche il direttore generale (io dico, giustamente) è espressione della politica e quindi è uno strumento anche dell’applicazione delle politiche sanitarie. Quello che molti contestano è la mancanza di meccanismi che controbilancino il potere dell’organo monocratico sotto il profilo organizzativo. La questione, in sostanza, è: chi da gli indirizzi all’organo monocratico? Attualmente o li determina in piena autonomia o vengono dati dalla struttura politica. Se noi inseriamo tra la struttura politica e il direttore generale un organo che sia rappresentativo delle indicazioni politiche ma che possa rappresentare anche l’azienda nel suo interno, insieme ad altre forze sociali del contesto territoriale (es. comuni, forze sindacali, fondazioni bancarie), avremo come risultato un maggiore controllo sociale sull’azione della direzione aziendale.
Queste istanze sono assolutamente ragionevoli, tanto più che in tutti i Paesi europei esiste un board, un consiglio di amministrazione che fornisce gli indirizzi al direttore generale che, da parte sua, mantiene i poteri esecutivi.
Questo è uno degli ambiti su cui si discute di più e, in sintesi, è il tema della governance dell’azienda sanitaria. Una riforma in questo senso potrebbe portare a un’accelerazione in termini di efficacia organizzativa dei Dipartimenti, aldilà di quella che può considerarsi la loro costituzione formale.
 

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