​Il punto di vista del Careggi sul sistema assistenziale centrato sul Valore

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A S@lute 2017 un incontro sui nuovi scenari per una medicina centrata sul Valore. L’impostazione della giornata è stata ispirata dalle sfide dell’evoluzione della sanità e della rete degli ospedali del futuro prossimo. Monica Calamai, Direttore Generale del Careggi ha esposto la visione della sua direzione rispetto a questi temi

13 Settembre 2017

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Patrizia Fortunato

Il volto della sanità pubblica sta cambiando rapidamente e vede un momento intermedio dove il vecchio e il nuovo sistema culturale si mescolano. Le difficoltà nel percorrere la strada dell’innovazione non sono solo di tipo economico e di investimento; ad arginare il salto definitivo c’è l’insieme dei valori del passato e della storia, oltre il quale serve la condivisione di una visione.L’azienda ospedaliera universitaria Careggi la chiave di volta per il cambiamento l’ha trovata ispirata dall’evoluzione della sanità e della rete degli ospedali del futuro prossimo: la medicina centrata sul Valore. Riportiamo il punto di vista di Monica Calamai, Direttore Generale del Careggi. A conferma di una visione che sta elaborando da diversi anni, confrontandosi con soggetti di nazionalità non italiana e grazie a letture recenti di riviste specializzate come critical care, a Lei piace pensare che l’evoluzione dell’ospedale di domani possa vedere la sottolineatura di una medicina di valore di 10 goals fondamentali, che fanno parte di questo cambiamento.Esaminiamo alcuni di questi obiettivi.Uno di questi è rappresentato da strutture ospedaliere che saranno sempre più small e maggiormente specializzate. Già questo lo si vede parlando di aziende ospedaliere universitarie, di Policlinici, di ospedali di alta specializzazione. “Questo – puntualizza Calamai – non solo grazie a una tecnologia che ha fatto negli ultimi anni passi da giganti in tempi più contratti andando a modificare allo stesso tempo quella che è la capacità tecnica dei singoli professionisti e costringendo a una rivisitazione di quelli che sono i modelli organizzativi che hanno caratterizzato sino a ora la gestione degli ospedali, ma anche grazie a tutta un’evoluzione che dovrà forse essere ancora più accentuata di prevenzione delle malattie, quindi di un atteggiamento predittivo e preventivo, prima ancora che la patologia o le patologie molteplici insorgano”.L’obiettivo successivo è rappresentato dagli ospedali che gestiscono il paziente acuto. Si dovrebbe tendere a ridurre il tempo di degenza per il rigore della spesa, ma anche perché l’ospedale è un induttore di patologie, di infezioni ospedaliere. Emerge con chiarezza la necessità di avere una rete clinica. “Il paziente acuto – continua Calamai – vuol dire che arriva il paziente in acuzia vera, viene gestito e viene dimesso. È chiaro che questo comporta la realizzazione di una rete territoriale in stretta connessione con l’ospedale che oggi ancora è da costruire. Mancano effettivamente quelli che sono dei medical center territoriali che si prendano cura in modo prevalente del paziente dimesso, che siano dei riferimenti effettivi. Meno letti, ma intensivi che siano cioè dei punti tecnologici da attivare con minore o maggiore intensità a seconda della gravità e della severità del paziente che si presenta. Il letto assistito, monitorizzato, tecnologicamente avanzato ha dei costi importanti perché richiede un personale, pronto a spostarsi all’interno di quella che è la rete a seconda delle necessità, con un livello di specializzazione superiore a quella che è la media a garanzia di un’assistenza altamente qualificata. Il percorso assistenziale è qualcosa che va ben oltre la complessità della patologia e richiede gente con un livello di specializzazione che non può essere generalista”.Tocca fare un salto di qualità e puntare sull’empowerment delle risorse umane. “Quando si parla di ospedali più piccoli, più specializzati, si deve anche pensare a un territorio sempre più diffuso, ma con caratteristiche tecnologiche e di specializzazione diverse da quelle che abbiamo oggi. La robotizzazione, la telemedicina, piuttosto che la tecnologia avanzata, avrà un effetto importante che è quello di ridurre in modo diretto quello che è lo staff, i numeri, il personale si qualifica e si riduce”. Calamai pensa ad alcune esperienze di confronto a livello internazionale, al medical Center della University of California, dove tutta una serie di attività vengono svolte già oggi con i robot, come la distribuzione del vitto e dei farmaci. Su questa partita, per quanto non sia pubblicizzata, c’è un avanzamento imponente e si potrebbe ipotizzare a macchine che assistono e aiutano in questo anche a domicilio.“Quando parliamo di ospedali – sottolinea il DG – parliamo di ospedali più facili da usare (l’espressione more user-friendly è significativa) non solo perché più piccoli e specializzati con letti che si trasformano in postazioni tecnologiche, assumono caratteristiche ambientali diverse, con centri commerciali e ristoranti interni. Il paziente, appena gli è possibile, e gli accompagnatori devono avere la possibilità di riprendere contatto con un contesto che sia socialmente accettabile e gradevole. Tutto questo diventa possibile perché sempre di più l’innovazione tecnologica – questo è un altro obiettivo da considerare – consente già ora di strutturare una serie di sensori che permettono al singolo soggetto di essere costantemente monitorato, all’interno dell’ospedale e nella domiciliarità. Di qui la possibilità di poter dimettere anche prima, di trasformare l’intera presenza dell’ospedale, ma anche l’intera rete. Inoltre, la telemedicina, intesa come il monitoraggio in remoto di tutta una serie parametri fondamentali rispetto alla patologia che va tenuta sotto controllo, permetterà di ripopolare pezzi di territorio che spesso vengono abbandonati perché non sufficientemente assistiti anche da un punto di vista sanitario”.La relazione tra i pazienti e i professionisti della Salute, come l’engagement dei parenti più stretti, va strutturata in un sistema assistenziale centrato sul valore. Questo sarà argomento di un incontro durante S@lute 2017, organizzato in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Careggi. “Credo – continua Calamai – sia un percorso da ben gestire, ma inevitabile, con una serie di vantaggi perché comporta un maggior confort all’interno di strutture che si vanno a qualificare per specialità e per confort alberghiero, una maggiore adattabilità del tutto al singolo paziente, quindi una taglia uguale per tutti varrà sempre meno. La cura personalizzata sarà il mantra e il master che già esiste in alcuni settori, come quello dell’immunologia e dell’oncologia. Qui subentra anche un’educazione del paziente e dei parenti che è già incominciata su alcune patologie”.Quella che può sembrare una visione avveneristica, al Careggi è realtà, come anche in alcune parti del mondo: in Seoul, nel sud Corea, e per altri aspetti anche negli USA.“La ridotta ospedalizzazione, quella solo altamente qualificata sarà aiutata da una sempre minore invasività degli interventi sul paziente, grazie alla robotica”. Al Careggi, recentemente, hanno fatto sette trapianti in chirurgia robotica da espianto a cuore fermo. Impensabile solo cinque anni fa. Cosa potrà accadere di ulteriore?Un altro elemento importante è una rapida mobilizzazione del paziente, a cui probabilmente le macchine aiuteranno. Chiaramente una mobilizzazione rapida, in un percorso gestito con modalità ideali comporta una minore possibilità di riammissione”. Il Careggi interviene tempestivamente sul paziente evitando il ritorno per cause simili dal ricovero iniziale; una delle cose che sa facendo, ma che è anche uno degli indicatori che a livello nazionale viene valutato, è quello di evitare le riammissioni dei pazienti entro i 30 giorni dopo la dimissione, frutto di una gestione più o meno adeguata all’interno del percorso ospedaliero. La continuità fra ospedale e territorio sarà fondamentale e qui si apre per Calamai una partita lunga “chi è che deve seguire il paziente a domicilio? È sempre l’équipe dell’ospedale che in remoto interviene quando è possibile intervenire a distanza oppure interviene muovendosi e spostandosi sul paziente a domicilio?”.Ancor molto c’è da fare sulla formalizzazione degli standard nazionali qualitativi, quantitativi, organizzativi, strutturali e tecnologici dell’assistenza sanitaria territoriale, mentre oggi “tutto il mondo si caratterizza per una prospettiva di vita sicuramente allungata e quindi con delle patologie che hanno a che fare con la cronicità e con la cronomobilità dove la gestione, a parte nelle fasi acute, vede la sua collocazione migliore in un contesto territoriale”. Oggi abbiamo degli standard nazionali relativi solo all’assistenza ospedaliera (Decreto Ministeriale n° 70/2015). “Quel decreto – afferma il DG – accenna alle reti, alla rete ictus, alla rete del 118, alla rete dei grandi traumi, che non sono sufficienti perché poi c’è un margine lasciato interamente a livello regionale, quindi non dà uniformità sul territorio nazionale. Oggi si parla di Casa della salute, ma le case della salute non possono essere gli ex distretti”. Il Careggi gli standard li ha adottati tutti, è a un livello di riorganizzazione buono anche rispetto ad altri ospedali italiani. Calamai ci riporta l’esempio del decreto 402 sulle scuole di specializzazione che è andato a modificare completamente il paradigma per cui si è passati da specializzazioni secondo il numero di posti letto a specializzazioni su referto. Nel giro di questi quattro anni il Careggi ha ridotto circa 500 letti, completamente modificato l’approccio assistenziale di alcune specialità.Conclude il DG “non può essere che il nostro approccio e la nostra presa in carico del paziente rimanga quello paternalistico del passato dove l’atteggiamento era del buon padre di famiglia. Quello che diventa fondamentale è quello di un cittadino sempre più informato che decide della propria salute e quindi questo comporta che deve essere messo a conoscenza del suo quadro clinico, delle possibilità diagnostiche, delle possibilità terapeutiche. Gli ospedali devono fare forse il salto più grosso di qualità nella presa in carico del paziente che non è carta. Cambia completamente il tipo di cultura e mentalità, cambia il tipo di relazione. Non a caso negli Stati Uniti stanno parlando di medicina di valore, hanno tutto un breeding che riguarda la percezione del paziente dell’ospedale”.Il livello di costruzione della relazione e del followup del paziente nella fase di post dimissione è importante, tanto nell’ospedale quanto nella gestione territoriale. “Questo – afferma Calamai – è un vulnus grosso che almeno noi in Italia nella sanità continuiamo ad avere e che rappresenta uno di questi punti di cui non possiamo fare a meno, compreso nell’affrontare la discussione sul fine vita e la scelta individuale”.Vi aspettiamo a S@lute 2017 (20-21 settembre)

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