Il Punto Unico di Accesso e l’integrazione irrinunciabile: uno studio di AgeNas
L’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali – AgeNas la scorsa settimana ha presentato i risultati preliminari della ricerca sul PUA – Punto Unico di Accesso. Condotta con un gruppo di Regioni, la ricerca ha portato alla stesura di un documento condiviso che definisce le principali caratteristiche di tipo organizzativo che connotano il PUA, quale “modello innovativo” all’interno del sistema dei servizi sanitari e sociosanitari territoriali. Luogo di integrazione sociosanitaria, professionale e gestionale, il PUA è attivo da più di 180 giorni in 5 delle 8 regioni partecipanti alla ricognizione.
8 Ottobre 2008
Chiara Buongiovanni
L’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali – AgeNas la scorsa settimana ha presentato i risultati preliminari della ricerca sul PUA – Punto Unico di Accesso. Condotta con un gruppo di Regioni, la ricerca ha portato alla stesura di un documento condiviso che definisce le principali caratteristiche di tipo organizzativo che connotano il PUA, quale “modello innovativo” all’interno del sistema dei servizi sanitari e sociosanitari territoriali. Luogo di integrazione sociosanitaria, professionale e gestionale, il PUA è attivo da più di 180 giorni in 5 delle 8 regioni partecipanti alla ricognizione.
Istruzioni per l’uso nel documento sul PUA
L’AgeNas si è impegnata negli ultimi 2 anni in una ricerca sulla Continuità assistenziale che ha portato alla redazione di un documento di carattere operativo che potesse essere direttamente fruibile dai soggetti operanti in ciascun contesto regionale. Presentando il Documento finale “Indicazioni per la definizione del Punto Unico di Accesso alla rete dei servizi sanitari e sociosanitari”, i curatori spiegano che la necessità di questo percorso di lavoro è stata supportata nel tempo dalla consapevolezza che un tale strumento potesse apportare miglioramenti in termini di maggiore equità dei sistemi organizzativi territoriali, garanzia di uniformità dei LEA e particolare attenzione all’ampia fascia dei soggetti fragili in continua espansione nella popolazione.
Il lavoro nato da una ricerca condotta da Fondazione Gigi Ghirotti, Federsanità – ANCI Toscana, Agenzia Regionale Sanitaria Marche e le regioni Toscana, Abruzzo, Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Sardegna e Veneto, affronta le questioni relative al PUA partendo dagli elementi essenziali per la sua definizione (mission, obiettivi, funzioni, attività svolte, sede, operatività, relazioni con altri contesti), analizzando poi i suoi principali strumenti (segnalazione, valutazione multidimensionale, progetto di assistenza individuale – PAI, presa in carico, care manager, continuità assistenziale). Articolato in un Front office – con funzioni di orientamento e accompagnamento – e in un Back office destinato a relazionarsi con la rete dei servizi e a garantire la presa in carico attraverso valutazione multidimensionale, il PUA richiede la specificazione di protocolli operativi oltre che una modificazione dell’organizzazione del lavoro basata su integrazione e condivisione di percorsi assistenziali.
Prime esperienze regionali nella rilevazione AgeNas
La ricerca, che sarà pubblicata prossimamente, in allegato al documento sul PUA propone una prima rilevazione dell’esperienza regionale del PUA per le 8 Regioni partecipanti.
5 di queste hanno attivato il PUA da più di 180 giorni e tutte lo hanno fatto entro 6 mesi rispetto a quanto previsto dalla programmazione regionale. Il bacino di utenza non è inferiore ai 30.000 abitanti, con molte realtà che superiorano i 50.000. Quasi tutti hanno una modalità organizzativa sia di tipo strutturale che funzionale e in tutte le Regioni il PUA è sociosanitario. Destinatari principali sono le persone non autosufficienti, con disabilità e con patologie croniche, con accesso orientato anche alle persone con problemi psichiatrici e dipendenze patologiche. Funzioni prevalenti sono accesso e accoglienza, raccolta di segnalazione, orientamento, gestione della domanda e attivazione di prestazioni per bisogni semplici e avvio della presa in carico per bisogni complessi. Sugli aspetti operativi, si rilevano differenze tra le realtà regionali in termini di composizione della Unità di valutazione multidimensionale – UVM, di strumenti di valutazione multidimensionale e di definizione del “momento” di avvio della presa in carico da parte dei servizi.
La rilevazione, spiegano i curatori, ha consentito una maggiore puntualizzazione del documento PUA, ha evidenziato la necessità di precisare i costi mentre si è rilevato che una vera e propria sperimentazione sul campo si potrà effettuare solo quando si avranno esperienze avviate.
Le risposte del PUA alle istanze del territorio
Se è vero, come Inglese spiegava, che il cuore del problema è da una parte la capacità di prendere in carico in maniera efficace ed efficiente cronicità e disabilità e dall’altra integrare i diversi profili professionali a disposizione delle politiche sanitarie pubbliche, il PUA si configura proprio come il primo servizio a disposizione del cittadino, in una modalità organizzativa atta a facilitare accesso unificato alle prestazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali.
Intervenendo ai lavori come voce di Federsanità ANCI, Piernatale Mengozzi poneva una domanda "di base": Tutto questo mondo di professioni, di strutture, di palazzi e di soldi per chi lavora e per che cosa lavora? Con la duplice funzione di porre i servizi in relazione con i bisogni della popolazione e di concretizzare il diritto a un accesso equo e trasparente, il PUA si propone come uno strumento organizzativo decisamente incentrato sulla persona.
In questo panorama disegnato “a più voci”, il PUA sembra rispondere a una esigenza funzionale prima che operativa, rispondendo all’esigenza di integrazione istituzionale, gestionale e professionale comunemente avvertita dalle organizzazioni e dalle professioni della sanità sul territorio: dai MMG, che come rileva il segretario Milillo sono gli unici che finora hanno lavorato sulla “presa in carico” prima ancora che sulla prestazione, dalle Aziende sanitarie – che con Francesco Ripa di Meana paventano il rischio di vedersi imposto un modello in cui la funzione di integrazione viene confusa con l’unità operativa – oltre che dalle professioni infermieristiche e dell’assistenza sociale.